POV Vegeta
Sto tornando a casa. Dopo quattro lunghi anni di inferno sto finalmente tornando a casa, sto tornando da lei. Non la vedo dal giorno in cui sono partito. Le avevo ordinato di non presentarsi all'imbarco, anche se una piccola parte di me sperava che, come ogni volta, facesse di testa sua. Neppure quella volta deluse le mie aspettative e quella fredda mattina di gennaio lei era lì, immersa in quella massa di gente intenta a salutare i propri cari in partenza da dietro un nastro rosso che impediva loro l'accesso all'area riservata. Aveva gli occhi lucidi ma non mi avrebbe dato la soddisfazione di vederla piangere, troppo orgogliosa, come me del resto. Non mi avvicinai, bensì le riservai un mezzo sorriso e un cenno con la mano, il tipico saluto militare che lei non perdeva occasione di scimmiottarmi da quando entrai nell'esercito, a cui lei rispose allo stesso modo.
"Caspita Prince... Non ci hai mai detto che la tua ragazza fosse un così bel bocconcino" Napa... Se c'è stata una minima possibilità che il gigante di due metri che mi è accanto potesse starmi in qualche modo simpatico adesso poco ma sicuro vorrei solo torcergli il collo. Ero già sul punto di fargli rimangiare quelle parole a suon di pugni ma, per fortuna o per sfortuna, intervenne Radish "Tappati la bocca Napa. Non saresti all'altezza di Bulma neanche se fossi l'ultimo uomo sulla faccia della Terra. E non ti conviene sapere cosa è successo all'ultimo che ha fatto un commento così". Un ghigno mi appare inevitabilmente sul viso al ricordo di come Bulma ha gonfiato di pugni quel maiale di Oscar dopo un apprezzamento sul suo fondoschiena. Abbassai la visiera del cappello fin sopra gli occhi e, con il borsone in spalla, mi avviai all'imbarco bagagli, senza più voltarmi indietro.
È quasi impossibile ottenere un congedo temporaneo durante missioni in zone rosse, ancor di più se per forze maggiori ti ritrovi ad essere il responsabile della tua unità che prima vantava ben 50 dei migliori soldati e ora ridotta a soli 6 elementi. Il capitano Gelo morì durante una spedizione destinata a sfollare un villaggio che sarebbe raso al suolo da una milizia armata e da 19 rimanemmo solo 6: io, Radish, Napa, Kakaroth, Raice e Chery. Pochi giorni dopo ricevetti la mia prima onorificenza con relativa medaglia per aver riportato in salvo i miei compagni e la maggior parte dei civili, nonostante i numerosi caduti nelle nostre schiere. Era il nostro terzo anno lì.
Ora era tutto finito e, insieme ai miei 5 compagni, avevamo appena lasciato l'aeroporto militare. Non avevo avvisato nessuno del mio ritorno, solo mio padre ne era a conoscenza avendo letto il fascicolo della squadra. Non volevo nessuno ad intralciarmi, la mia meta era una e non avevo bisogno di nessuno per raggiungerla.
I miei passi echeggiano nel corridoio vuoto, nelle finestre al mio lato destro scorgo il mio riflesso. Sembro un'altra persona con indosso l'alta uniforme, due medaglie, una d'oro e l'altra d'argento, nuove di zecca brillano sul mio petto, il capello sotto il braccio destro, la mano sinistra avvolta in un guanto bianco, gemella della destra, nascosta nella tasca dei pantaloni, mentre nella tasca della giacca una scatoletta di velluto sembra pesare come un macigno.
Mi dirigo con passo sicuro per quei corridoi che mi sembra di conoscere come le mie tasche per via di tutte le volte che me li ha descritti nelle sue lettere. Manca poco ma una volta voltato l'angolo mi gelo sul posto, come se uno dei tanti colpi che ho prontamente schivato durante tutte le sparatorie a cui ho partecipato mi avesse colpito dritto al cuore, mandandolo in frantumi. Silenzioso come sono arrivato giro i tacchi allontanandomi da quella visione che ha rovinato ciò che di più caro e bello avessi al mondo.
Mi sveglio di soprassalto e in un bagno di sudore a causa di questo sogno che non vuole saperne di lasciarmi riposare. Sono passati ormai 10 anni da quel giorno eppure non potrebbe essere più vivo nella mia memoria, come se fosse accaduto solo ieri. Con una mano mi asciugo il sudore dalla fronte per poi ravvivare i capelli neri che, come sempre, sfidano la forza di gravità rimanendo in quella innaturale forma a fiamma mentre l'occhio mi cade sulla radiosveglia. Le 3:30. Fanculo. Un'altra notte che passerò in bianco, perché di dormire ormai non se ne parla, ma ormai credo di esserci abituato. Non ho neanche il tempo di formulare questi pensieri che un fulmine, seguito dal boato di un tuono apparentemente vicino, squarcia con il suo bagliore la tranquillità della notte, preannunciando un temporale coi fiocchi. Come da routine, ecco che un suono di passi si fa sempre più vicino alla mia stanza finché l'intruso non apre la porta, come sempre dimenticandosi di chiuderla, e si affaccia al lato del letto su cui sono solito dormire.
"Bra quante volte devo ripeterti di non camminare senza scarpe? Finirai con l'ammalarti se continui così!"
"Papino ma io ho paura... Posso rimanere qui con te finché non smette? Giuro che è l'ultima volta" la sua risposta mi porta inevitabilmente ad alzarmi sui gomiti e inarcare un sopracciglio come a dire e io ci dovrei credere? Esattamente come accade ogni volta, le faccio cenno di salire sul letto e, non appena obbedisce, le rimbocco le coperte. Ebbene sì perché basta sentire l'eco di un temporale in lontananza che questa piccola codarda si fionda in camera mia, dalla quale non si schioda come minimo fino alla mattina successiva, puntualmente promettendo che sarà l'ultima volta.
"Stai comoda? Sei abbastanza al caldo?" risponde annuendo con vigore alle mie domande così mi sdraio nuovamente in posizione supina con una mano dietro la testa e l'altra accanto alla mia bambina che stringe due dita nelle sue piccole mani, come per paura che possa sparire da un momento all'altro. Mi perdo ad osservare il suo visino addormentato e non riesco a nascondere un sorriso. Bra è arrivata nella mia vita all'improvviso, senza che potessi fare nulla per evitarlo, e, come un uragano, mi ha sconvolto l'esistenza, eppure se tornassi indietro credo che non cambierei nulla.
Ho conosciuto Bra una mattina di febbraio, per precisare il 14 febbraio. Reduce da una sbornia colossale della sera precedente insieme a Radish e Chery, i miei migliori amici da tempo immemore, a causa della quale ancora adesso mi chiedo come ho fatto a tornare a casa illeso dal momento che ero ridotto a uno straccio. A causa del mal di testa quella mattina era iniziata nel peggiore dei modi e, come ogni giornata di merda che si rispetti, è andata peggiorando.
L'incessante suono del campanello mi fa svegliare di soprassalto interrompendo quel sonno pesante e senza sogni provocato dall'eccesso di alcool. Impiego qualche secondo a riconoscere la mia camera da letto e mi viene spontaneo chiedermi come sia riuscito ad arrivarci dal momento che il mio ultimo ricordo è di me, Radish e Chery seduti al tavolo di un pub per festeggiare il nostro ritorno dall'ultima missione che ci ha tenuti fuori per 4 mesi. Il campanello interrompe nuovamente le mie riflessioni ricordandomi, oltre alla presenza di qualcuno fuori da casa mia, un'incessante martellare contro le mie tempie. Alla terza volta che il campanello riprende a suonare immagino che fingermi morto potrebbe far desistere lo scocciatore dal suo intento di rovinarmi la giornata più di quanto non stia già facendo ma al quarto trillo l'idea di rompergli il cranio contro la parete è decisamente più allettante. Così, recuperati un paio di pantaloni di tuta e una canottiera viola che non credo di aver mai visto prima d'ora mi avvio a piedi nudi verso la porta, ignorando la vista offuscata. Con uno scatto, e senza neanche guardare dallo spioncino, apro il portone di legno massiccio accogliendo il nuovo arrivato con uno scocciato "Che vuoi?"
"Era ora che ti decidessi ad aprirmi. Cos'è sei sordo per caso?" mi basta sentire le prime quattro parole pronunciate da una voce fastidiosamente acuta per farmi pentire di aver aperto la porta. Davanti a me si trova una ragazza con lunghi capelli azzurri e occhi blu, le labbra tinte di un rosso acceso, decisamente volgare. Indossa un abito inguinale rosso acceso. Sembra essere uscita direttamente dalla passerella di uno squallido night club e non posso evitare di chiedermi cosa diavolo ci faccia una così fuori da casa mia alle 8 del mattino, soprattutto perché non può essere uscita da qui. Questa è la mia unica certezza perché, ubriaco o no, ho due regole fisse: non portare donne nel mio appartamento e non rivelare mai loro la mia identità; anche se non mi è difficile capire il motivo per cui ci sia andato a letto... La somiglianza con LEI è a dir poco impressionante.
Non mi sono reso conto che la sconosciuta durante le mie riflessioni ha continuato a parlare e, a quanto pare, sta anche aspettando che dica qualcosa.
"Tanto per cominciare smettila di urlare perché io ci sento benissimo. Io secondo luogo, non credo di aver afferrato chi tu sia"
"Sono Marion"
"Bene Marion e cosa vuoi da me?" prima chiudevamo quella storia prima sarei potuto tornare a dormire.
"Non ho tempo da perdere quindi andrò dritta al sodo" finalmente dice una cosa giusta " L'anno scorso abbiamo fatto sesso poi forse si è rotto il preservativo o la pillola non ha fatto effetto per un raffreddore passeggero sta di fatto che sono rimasta incinta. Era tardi ormai per abortire e ho dovuto portare avanti la gravidanza. In ogni caso io la mia parte l'ho fatta ma non voglio marmocchi tra i piedi quindi è un problema tuo adesso. Si chiama Bra ma cambiale pure nome se non ti piace, la cosa non mi sfiora. Questa è la sua roba. A mai più rivederci" senza darmi il tempo di ribattere indossa i suoi occhiali da sole e si avvia giù per le scale. In un attimo mi riprendo dallo shock e la rincorro finché sono abbastanza vicino da afferrarla per un braccio.
"Cosa cazzo credi di fare? Lasciarmi qui la tua mocciosa tra i piedi?" esclamo furente. Marion con uno scatto e un'espressione scocciata si libera dalla mia presa.
"Senti, non è stato facile trovarti dal momento che sembra che tu sia una sorta di fantasma. Ma io l'ho partorita e questo basta e avanza. Non mi interessa quella mocciosa e non voglio avere nulla a che fare con lei. Tu sei suo padre, come puoi notare dai risultati delle analisi. Se non la vuoi allora portala in un orfanotrofio. Come ti ho già detto: non mi interessa. Addio." Detto ciò continuò per la sua strada senza mai voltarsi.
Dal canto mio, confuso e intontito dall'emicrania, tornai al mio appartamento dove, ad attendermi sul pianerottolo, trovai una bambina dai grandi occhi azzurri e i capelli turchini che mi fissava da dentro il suo seggiolino.
Ripensandoci adesso, visto dall'esterno dovevo essere davvero ridicolo per come mi comportavo con lei all'inizio: di prenderla in braccio non se ne parlava neanche e non vi dico cosa è successo la prima volta che le cambiai un pannolino da solo.
Inizialmente non avevo neppure intenzione di tenerla, anzi avevo già contattato l'assistente sociale per prenotare un appuntamento, ma tutto cambiò in una notte...
"Per tutte le divinità, smettila di piangere mocciosa" sbotto alzando la voce contro quella mocciosa che strilla disperata con i suoi occhioni azzurri traboccanti di lacrime. Come se non mi avesse neanche sentito, continua a piangere. Se continua così i vicini rompipalle non perderanno occasione di venire a bussare. Sapendo di non riuscire a concludere nulla, abbandono il fascicolo sul tavolo da pranzo e mi volto verso la bambina che ho lasciato sul divano, circondata da cuscini in modo che non cadesse.
"Hai fame? Vuoi il ciuccio? Cosa diavolo vuoi per smettere di piangere?" chiedo come se poi potesse anche rispondermi. Decido di darle il ciuccio ma nel momento in cui le mie dita sfiorano la sua guancia non mi sfugge la sua temperatura più alta del normale. Come se fosse la cosa più naturale del mondo, posiziono due dita sul suo collo delicato per controllare il battito cardiaco. Troppo veloce.
Cercando di mantenere la calma, avvolgo la bambina nella prima coperta che ho trovato e i poco tempo siamo in auto diretti al pronto soccorso. Per strada faccio partire la chiamata a mio padre.
-" Che cazzo hai da chiamarmi a mezzanotte e venti?" sempre di buon umore mio padre.
"Bra non sta bene, non smette di piangere e credo abbia qualche linea di febbre. La sto portando in ospedale" esclamo cercando di mantenere la calma e soprattutto di non far trasparire il mio nervosismo dalla voce.
- "E che vuoi che faccia? Che venga lì a tenerti la mano e dirti che andrà tutto bene?" a quelle parole digrigno i denti e stringo talmente forte le mani sul volante da vedere le nocche sbiancare.
"Oggi è stato il mio ultimo giorno di congedo. Non so quanto impiegherò in ospedale e potrei aver bisogno di un permesso per domani nel caso in cui non si fosse ancora ripresa"
- "Mh capisco... Per quando hai prenotato l'appuntamento con l'assistente sociale?" cosa cazzo mi ha appena chiesto????
"MA TI SEMBRA QUESTO IL MOMENTO DI CHIEDERMI QUANDO HO L'APPUNTAMENTO CON QUEL CAZZO DI ASSISTENTE SOCIALE? FAMMI UN FAVORE: FINGI CHE NON TI ABBIA CHIAMATO, CI PENSERÒ DA SOLO A BRA" riattacco la chiamata senza che abbia il tempo di aggiungere altro dopodiché lo lancio sul sedile del passeggero. Butto uno sguardo alla bambina dallo specchietto e la trovo ancora in lacrime, incurante delle mie grida di poco fa.
"Maledizione" premo sull'acceleratore. Poco m'importa se domani mi vedrò recapitare una multa per eccesso di velocità, mi basta che smetta di piangere e che cessi il dolore allo stomaco che le sue urla di dolore mi provocano.
In un batter d'occhio siamo in ospedale così slaccio il seggiolino e, tenendolo girato in modo che la mocciosa non venga presa in pieno dal vento, mi avvio verso il pronto soccorso. Miracolosamente lo trovo vuoto all'infuori di un ragazzo, palesemente ubriaco, che sta sdraiato su una panca da tra sedie occupandole tutte. A passo svelto mi dirigo allo sportello dove un'infermiera mi rivolge uno sguardo scocciato a causa delle grida di Bra che disturbano l'ambiente.
"Ho immediatamente bisogno di un medico, la bambina non fa che piangere da ore ma non riesco a capire cos'abbia"
"Non ci sono medici disponibili al momento. Prenda un numero e aspetti il suo turno. Appena qualcuno si libererà si occuperà della bambina" mi risponde annoiata riportando lo sguardo sulla rivista che evidentemente sfogliava prima del mio arrivo. E no, brutta serata per farmi incazzare.
"Mi stia bene a sentire. Mia figlia sta male ed è vostro dovere far sì che lei stia meglio quindi adesso chiamate un fottuto medico che si occupi di lei prima di non aver più un lavoro in questo cazzo di ospedale"
"Signore si calmi"
"CALMARMI? Non ho nessuna intenzione di calmarmi se lei non ha intenzione di fare il suo lavoro?!" adesso sono veramente incazzato e Bra che continua a piangere non è di certo d'aiuto ai miei nervi.
"Se le mie orecchie non mi ingannano, c'è una sola persona nella Città dell'Ovest che sbraita ordini in piena notte come fossero le 10 del mattino" una voce conosciuta alle mie spalle mi fa voltare di scatto "Sempre un piacere rivederla, capitano Prince. Anche se ammetto che i vostri ordini sbraitati a destra e a manca non mi sono affatto mancati" Raice Salazar mi accoglie con il solito sorriso gioviale, che non è cambiato per niente dai tempi dell'esercito.
"Ho tutte le mie buone ragioni per sbraitare ordini davanti ad una tale incompetenza"
"Calma capitano, non serve a nulla alzare la voce a meno che il tuo intento non sia di svegliare l'intero ospedale" continuò ridacchiando e abbandonando la formalità del "voi" per poi tornare serio e rivolgersi alla segretaria.
"Margaret somministrate una flebo di sali minerali al ragazzo steso in sala d'attesa dopodiché ri-speditelo a casa. Voi due, invece, capitano, seguitemi nel box 3... Mi è parso di capire che tua figlia non stia tanto bene". Mia figlia.
"Come hai detto?". Devo aver parlato ad alta voce perché Raice si volta di nuovo verso di me, avendomi dato le spalle qualche secondo prima per dirigersi verso il box. "Sì , tua figlia. Tutto l'ospedale avrà sentito quando l'hai urlato un attimo fa" si rivolta e mi precede nel box numero 3.
Come un automa prendo nuovamente il seggiolino e seguo il mio ex commilitone.
Mia figlia... Non l'ho mai definita così in tutta la settimana che ha passato a casa con me. Non l'ho mai neppure mai chiamata per nome fino a qualche minuto fa, durante la chiamata a mio padre. Lui l'ha notato? È per questo che si è comportato in quel modo?
"Sono solo delle coliche. Sono normali alla sua età. Le somministrerò un antidolorifico e per questa notte dovrebbe riuscire a dormire. Se questa notte dovesse piangere ancora dalle una camomilla e soprattutto cullala, il contatto con un genitore è molto utile per i bambini e di per sé è una delle migliori medicine."
"Ne sei sicuro? Credo abbia anche la febbre... Ha il viso in fiamme" le sue parole mi riportano alla realtà e subito mi ritorna in mente il motivo che mi ha spinto a portarla in ospedale.
"Niente febbre, il viso si è surriscaldato a causa delle lacrime e lo sforzo nel piangere. Comunque domani passa in farmacia per questi, anche se non credo ne avrà bisogno: sembra una bimba forte" Raice mi passa una ricetta, che prontamente infilo nella tasca dei jeans, mentre con l'altra mano cerca di distrarla agitando le dita davanti ai suoi occhi, le strilla sembrano essere lievemente diminuite.
"Il calmante dovrebbe fare effetto tra qualche minuto. Io ti consiglierei di andare a casa. Se ci sono ancora problemi chiamami sul mio numero privato e ti raggiungo" continuò passandomi il suo biglietto da visita sul cui retro aveva scarabocchiato il suo numero. Salutai Raice e tornammo a casa. Quella fu una notte infernale, nonostante Bra avesse smesso di strillare lo stesso non si poteva dire per il pianto, infatti per ore le sue guance continuarono ad essere bagnate di lacrime.
La mattina dopo mio padre mi raggiunse per, a detta sua, "assicurarsi che fossimo ancora vivi entrambi e che non avessi dato di matto".
"Quando sei diventato così sconsiderato da lasciare la porta-" mi svegliai di soprassalto all'udire le sue parole e una volta aperti gli occhi anziché su mio padre posai lo sguardo sulla bambina che continuava a dormire beata rannicchiata sul mio petto, stringendo nei suoi piccoli pugnetti la stoffa della mia maglia.
"Mi sembra stia bene" esordì mio padre, ripresosi in breve dallo shock, ancora in piedi al centro del soggiorno, di fronte al divano su cui mi ero appisolato. Buttai un occhio all'orologio sulla parete che segnava le 7:15.
"Si è riaddormentata neanche un'ora fa. Il calmante ha mantenuto l'effetto per neanche tre ore e da quando sono ricominciate non è più riuscita a dormire" spiegai a voce abbastanza bassa per non svegliare la bambina.
"Capisco... Tu sei riuscito a dormire?" chiese senza reale interesse guardandosi attorno.
"Per circa dieci minuti prima che arrivassi. Ma non interessa, dovevo pensare a mia figlia" risposi lasciando Bra sul divano, avvolta nella coperta e circondata di cuscini.
"Mh... Ci sono un po' di cose da modificare per rendere la casa a misura di bambino" eeehh???
"Misura di bambino? Ma di cosa diavolo stai parlando?"
"Nelle ultime 7 ore non solo hai chiamato la bambina per nome ma l'hai addirittura definita tua figlia. Scommetto che questa non è neanche la prima volta che lo dici questa notte, probabilmente anche senza aver bisogno di rifletterci, perciò mi sembra naturale che tu non abbia più intenzione di portarla all'orfanotrofio" l'aveva capito. Aveva capito tutto prima ancora che io stesso iniziassi a considerarla mia figlia, ma non mi ha imposto niente. Ha aspettato che ci arrivassi da solo.
Mi voltai verso la bambina che dormiva: il suo viso si era schiarito parecchio e solo le guance erano rimaste leggermente rosate, il suo viso era rilassato e i suoi capelli turchini sparsi sul cuscino.
"Bra Prince... Non suona male" dissi con lieve sorriso ad incresparmi le labbra.
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Scritto nelle stelle... o in un fumetto
FanfictionBulma e Vegeta si conoscono dall'inizio del liceo e fanno coppia fissa dall'ultimo di lui. Apparentemente sono una coppia perfetta anche se hanno ben poco in comune: lui giocatore di football del quinto anno, lei cheerleader del quarto; lei sempre a...