7) Passato e presente

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“Ma-ma come voi vi conoscete già” a rompere il silenzio venutosi a creare è Bra, guardando alternatamente me e la donna che abbiamo di fronte. Solo in questo momento noto Trunks che, tenendole ancora la mano, è fermo un passo avanti a lei, evidentemente ha avuto la stessa idea di farle vedere i cigni. Beh a lei sono sempre piaciuti i cigni... Ma cosa diavolo vado a pensare!
“Ehm sì Bra, frequentavamo la stessa scuola da giovani” risponde Bulma avvicinandosi maggiormente a noi. Io al contrario non riesco più ad aprire bocca, mi sento la gola inspiegabilmente secca.
“BRA! Ehi Bra eccoti finalmente, sono ore che ti cerco” avvicinandosi di qualche passo Radish non può fare a meno di notare la presenza della donna ma anziché aiutarmi ad uscire da questa situazione scomoda fa l’unica cosa che non gli farò mai passare liscia.
“Principessa l’hai già vista la fontana di cioccolato?” all’udire la parola magica gli occhi di Bra si illuminano come due fanali.
“Cioccolato? Aspetta... Si tratta di cioccolato fondente o al latte?” chiede pensierosa dopo aver fatto un solo passo verso il capellone.
“Fondente mi pare ovvio. Cioccolato al latte? E cosa siamo? Barbari? Dai andiamo prima che si ci fiondino tutti quanti” esclama l’infame prendendo in braccio mia figlia “Trunks vieni anche tu dai, ci sono Goten e Pan che ci tengono i posti e in più siete con lo sposo quindi saltiamo la fila” infame! Ma stai pur certo che questa gliela farò pagare cara una volta in ufficio.
Il trio si allontana sotto il nostro sguardo e di nuovo tra noi cade il silenzio.
È davvero bella Bulma. Il tempo sembra essere stato generoso con lei che sembra dimostrare meno dei suoi trentasei anni. Adesso porta i capelli tagliati corti in un ordinato caschetto e il vestito blu scuro che indossa la fascia alla perfezione mettendo in risalto il suo fisico perfetto.
Facendo appello a tutte le mie forze mi obbligo a spostare lo sguardo sul laghetto, appoggiandomi poi con i gomiti sulla staccionata.
“E così tu sei il padre di Bra. Devo dire che mi cogli di sorpresa, non avevo fatto il collegamento con il cognome di tua madre e lei è così diversa da te, almeno fisicamente... Anche se avrei dovuto capirlo dalle risposte che dà” questa volta è lei ad interrompere quel silenzio cominciando a parlare a macchinetta. Ah Bulma,neanche  in questo il tempo ti ha cambiata... Non riesci ancora a tollerare i miei silenzi.
“Sì, caratterialmente ha preso da me”
“Cosa è successo a sua madre? Chery mi ha accennato qualcosa ma è stata molto vaga a riguardo” vedo che neanche la sua curiosità è sparita.
“Non c’è molto da dire. Sei anni fa, il giorno di San Valentino, mi ha lasciato Bra davanti la porta di casa per poi sparire dalle nostre vite”
“E non l’hai più cercata?” chiede sconcertata.
“E tuo marito? Come mai non è qui con te?” decido di cambiare argomento facendole capire alla mia solita maniera quanto poco mi andasse a genio la sua domanda. In risposta Bulma sbuffò appoggiandosi a sua volta alla staccionata a pochi centimetri da me.
“Io e Yamcha abbiamo divorziato l’anno scorso, per questo motivo ho deciso di tornare qui con mio figlio. Pensavo che Trunks te lo avesse detto, a quanto ho capito siete diventati amici in questo periodo”.
“Non sono solito interessarmi alla vita altrui, credevo che almeno questo di me l’avessi capito” rispondo con il mio solito tono scostante e sulla difensiva. Sì ammetto di aver preso in simpatia Trunks, è un ragazzo molto intelligente e se la cava bene nelle arti marziali ma da qui ad essere amico di un ragazzino di tredici anni...
“Un tempo credevo di sapere tutto di te, a quanto pare mi sbagliavo”
“Eri la persona che mi conosceva meglio al mondo... Proprio per questo avresti dovuto sapere quanto detesto le menzogne e le prese per il culo” mi mordo la lingua immediatamente dopo aver detto quelle parole che sono venute fuori senza che potessi controllarle.
“Se è per questo sapevo anche della tua predilezione per mantenere le promesse, ma non hai mai mantenuto quella fatta a me” risponde inviperita di rimando.
“Oh no, non ti azzardare a scaricare su di me la colpa di ciò che è successo perché qui l’infame non sono io” sbotto fulminandola con lo sguardo.
“Infame io? Apriti bene le orecchie brutto scimmione che non sei altro e ascolta bene ciò che ti dirò: io non ho fatto nulla di cui mi debba vergognare, al contrario di qualcun altro” sta per andarsene quando la richiamo “Ne sei sicura Bulma?” quasi stento a riconoscere la mia stessa voce, così fredda e apatica da far accapponare la pelle.
“Cosa vorresti insinuare?”
“Che io ho mantenuto la promessa perché sono tornato, ma tu non mi hai aspettato”

I miei passi echeggiano nel corridoio vuoto, nelle finestre al mio lato destro scorgo il mio riflesso. Sembro un’altra persona con indosso l’alta uniforme, due medaglie, una d’oro e l’altra d’argento, nuove di zecca brillano sul mio petto, il capello sotto il braccio destro, la mano sinistra avvolta in un guanto bianco, gemella della destra, nascosta nella tasca dei pantaloni, mentre nella tasca della giacca una scatoletta di velluto sembra pesare come un macigno.
Mi dirigo con passo sicuro per quei corridoi che mi sembra di conoscere come le mie tasche per via di tutte le volte che me li ha descritti nelle sue lettere. Manca poco ma una volta voltato l’angolo mi gelo sul posto, come se uno dei tanti colpi che ho prontamente schivato durante tutte le sparatorie a cui ho partecipato mi avesse colpito dritto al cuore, mandandolo in frantumi. Davanti ai miei occhi, Bulma, la mia splendida ragazza che amo più di ogni altra cosa al mondo, sta baciando un altro uomo. Le sue braccia la avvolgono tenendola stretta al suo petto, sul quale sono poggiate le mani di Bulma. Attaccato alla sua gonna, un bambino dai grandi occhi azzurri e di all’incirca due anni fissa i due esclamando con la sua flebile voce di bambino “Mamma? Mamma?” per attirare l’attenzione della donna.
Non appena sento la nausea attanagliarmi lo stomaco a causa di quello spettacolo, silenzioso come sono arrivato giro i tacchi allontanandomi da quella visione che ha rovinato ciò che di più caro e bello avessi al mondo.

“Non è possibile. Io…” il suo sgomento si può già leggere nel viso insieme alla sua confusione.
“Risparmia il fiato. Non credo che ci sia poi molto da poter dire” questa volta però sono io ad andarmene prima che possa dire chissà quale altra menzogna. Bulma cerca più volte di richiamare la mia attenzione finché non mi ferma afferrandomi per un braccio.
“E invece ne ho di cose da dire, mio caro. Perché quel giorno stesso, per colpa tua, del tuo fottuto telegramma e della tua solita presunzione di poter capire sempre tutto con un’occhiata, è iniziato il mio inferno personale” sbotta richiamando la mia attenzione.
“Di che cazzo di telegramma parli?” urlo a mia volta, infastidito dalle sue accuse senza fondamento.
“Il telegramma con cui dopo quattro anni passati chissà dove hai deciso di mettere fine alla nostra storia. E vuoi sapere perché mio marito non è qui con me? Te lo dico subito: abbiamo divorziato perché, nonostante tutto ciò che mi ha detto per anni, a Yamcha non è mai andata a genio l’idea di fare da padre al figlio di un altro” le sue parole mi piovono addosso come acqua ghiacciata congelandomi fin dentro le ossa.
“Figlio di un altro?! Ma brava... vedo che ti sei tenuta impegnata mentre ero via”
“Tsk... sempre il solito coglione che commette sempre gli stessi errori... Sai quanti anni ha Trunks? Tredici, quattordici a settembre. Fatti un paio di conti” il mio cervello si mette immediatamente all’opera riportandomi a tanti anni fa ma non ho il tempo di dire niente perché Bulma riprende a parlare “Ho scoperto di essere incinta il mese dopo quel tuo primo e unico breve congedo. Non era un argomento che volevo trattare per lettera e quindi aspettavo il giorno in cui saresti tornato, ma tu sei diventato capitano e sono passati i mesi, finché non divennero anni senza vederti”
“Mi stai dicendo che Trunks è mio figlio?... E PERCHÉ CAZZO NON MI HAI DETTO NIENTE? Hai avuto anni, ANNI, per dirmelo. Perché non l’hai fatto Bulma. PERCHÉÉÉÉ?!” ormai sto urlando senza riuscire a dare un freno alla rabbia che mi fa tremare ma Bulma non sembra spaventata. Due lacrime le solcano il viso, sciogliendo in piccola parte il suo trucco sempre perfetto, ma non sembra curarsene, troppo concentrata a fissare i suoi occhi, di un azzurro reso liquido dalle lacrime, nei miei, infuocati di rabbia e rancore. Dire che sono furioso è un eufemismo. Sono arrabbiato per come sono andate le cose tra di noi, per aver creduto che Lei avesse potuto farmi tanto male volontariamente, sono arrabbiato per non essere stato presente per mio figlio, ma soprattutto sono arrabbiato con quel pezzo di merda che ha avuto tra le sue mani due delle persone a me più care e averle fatte soffrire per anni.
“COME CAZZO AVREI POTUTO DIRTELO TRAMITE UNA FOTTUTA LETTERA, ME LO SPIEGHI?! E se anche l’avessi fatto, tu come avresti reagito? L’avresti accettato o avresti insinuato che ti avessi tradito come stai facendo adesso? Saresti tornato da noi abbandonando la missione e mettendo da parte il tuo fottuto orgoglio o saresti scappato?!” ormai è un fiume in piena di parole e lacrime.
“Sarei tornato a casa e avremmo trovato una soluzione insieme” dico convinto delle mie parole. Evidentemente però Bulma non è del mio stesso parere perché si affretta ad asciugare le lacrime con un sorriso amaro che non arriva agli occhi.
“Sì, certo. Ma a che prezzo. Se avessi rinunciato a quella missione avresti ben presto finito per odiarci. Se invece non l’avessi fatto quale garanzia potevo avere che durante uno dei tanti scontri armati a cui hai avuto parte il pensiero non ti andasse anche solo per un momento a tuo figlio. Un attimo di distrazione e Trunks avrebbe conosciuto suo padre attraverso una fotografia su una lapide. Per questo motivo ho deciso di volertene parlare di persona, ti saresti arrabbiato ma almeno avrei avuto la certezza di averti lì davanti a me ad urlarmi contro” non urla più e la sua voce è apatica, come se non avesse più la forza di lottare contro un qualcosa di molto più grande di lei, forse contro il destino stesso.
Questa volta non so come replicare soprattutto perché so che ha ragione. In un attimo la rabbia è scemata lasciando il posto ad un ingombrante senso di vuoto che mi attanaglia il petto.
“Papino, Bulma… Venite c’è il taglio della torta” la voce di Bra riporta entrambi al presente. In un attimo Bulma si risistema il trucco eliminando le sbavature provocate dalle lacrime e, stampandosi in faccia un sorriso finto, si volta verso mia figlia.
“Di già il taglio della torta, allora dobbiamo sbrigarci” e prendendola per mano si avvia verso la sala a bordo piscina, dedicata proprio al taglio della torta.
“Papino mi prendi in braccio? Non ci vedo da qui” la mano di mia figlia a contatto con la mia mi sveglia dallo stato di trance in cui sono caduto e subito mi affretto a sollevarla allacciando le sue braccia al mio collo in modo che abbia ancor più equilibrio.
“Prima di procedere con il taglio della torta vorremmo dire alcune parole” iniziò Radish con un tono serio a lui totalmente estraneo mentre con una mano avvicinava a se il corpo di sua moglie fino a circondarle la vita con un braccio “Come quasi tutti voi sapete, qualche mese fa abbiamo scoperto di aspettare un bambino. Ovviamente non è però questo ciò che ci ha spinto a sposarci, dal momento che era quasi un anno che conservavo quell’anello nella giacca in attesa del momento giusto”
“Quello che mio marito sta cercando di dire è che tutti sapete della gravidanza, ma nessuno sa ancora il sesso del bambino. Effettivamente non lo sappiamo neppure noi ed è per questo che abbiamo deciso di fare una sorpresa a tutti proprio questa sera: il colore all’interno della torta ci darà la risposta” concluse Chery.
“Se la torta sarà rosa si tratterà di una femminuccia, se sarà azzurra invece significa che sarà un maschio. Quindi se siete tutti pronti io direi di tagliare e scoprirlo” detto ciò Radish si posizionò alle spalle di Chery dietro il tavolo della torta, circondandola con le braccia e afferrando insieme a lei la spatola per dolci. Dopo pochi secondi di apnea i due sposi (che ovviamente avevano già visto il colore avendo tagliato la torta) posero la fetta su un piattino e lo sollevarono mostrando a tutti il pan di spagna di un acceso azzurro cielo.
Le urla di giubilo e gli auguri durarono diversi minuti, tanto che i due sposini non poterono neanche assaggiare la torta, che sicuramente avrebbero mangiato più tardi.

Ormai la festa è giunta al termine e con Bra addormentata in braccio mi avvio al parcheggio per recuperare la mia auto. Mio padre è già andato via circa un’ora fa e, nonostante gli accordi presi, non ha portato Bra con sé dovendo recarsi immediatamente nella capitale perciò non mi resta altro da fare che portarla a casa io stesso. A niente sono servite le mie insistenze nel fare a cambio di auto, anzi ho dovuto anche sorbirmi la predica sul “così avrò modo di capire a mie spese che nel momento in cui arrivano i figli bisogna adattare la nostra vita alle loro necessita, di conseguenza il capriccio della macchina sportiva non è più qualcosa che posso permettermi”. Tsk... come se da quando è arrivata Bra io mi sia più concesso capricci! Non per altro è la prima volta dopo quasi cinque anni che tiro fuori al mia preziosissima Sibyl dal garage.
Ricordo come se fosse ieri il giorno in cui ho deciso di prenderla, certo ci ho speso lo stipendio di tre anni ma ne è decisamente valsa la pena...

Corro come un forsennato con la mia nuova splendida Jaguar per le strade stranamente deserte. Il caldo sole di giugno splende nel cielo privo di nuvole specchiandosi sulla vernice nera della mia auto, al momento senza tettuccio; il vento mi tira indietro i capelli e se non indossassi gli occhiali da sole poco ma sicuro non riuscirei neanche a tenere gli occhi aperti. Questa bellezza non ha nulla da invidiare alla mia vecchia moto che sono stato costretto ad abbandonare dopo quattro anni e due incidenti.
Come da accordi sto andando a prendere Bulma all’università così che possa salire per prima su questo nuovo acquisto. Inizialmente dovevo prendere un’auto qualsiasi che mi permettesse di muovermi a mio piacimento ma non appena entrato nel concessionario questa bellezza sembrava chiamarmi da sopra il palchetto su cui era riposta. Non resistetti alla tentazione di provarla e già non appena misi in moto capì che non avrei più potuto farne a meno. Grazie ad un accordo con il venditore, ex collega di mio padre che conosco da quando avevo quattro anni (e che mi ha anche venduto la moto a sedici anni), sono riuscito a prendere il modello esposto. Nonostante mi abbia scalato 600 dollari per un graffio sul fianco so che impiegherò anni a pagarla del tutto, ma, ehi, si vive una volta sola no?
Arrivato a destinazione spengo il motore e scendo, dopodiché mi tolgo la giacca, che lancio sui sedili posteriori,e rimango con una maglia a mezze maniche bianca,  jeans scuri e ovviamente gli occhiali da sole.
Sono molti i curiosi che si fermano a fissare sia me che la macchina e faccio appello a tutta la mia forza di volontà per non prenderli a pugni. Fortunatamente non devo aspettare molto perché finalmente gli studenti iniziano ad uscire dall’edificio.
“Per tutte le divinità spero che tu stia scherzando?” a qualche metro da me, Bulma mi fissa con gli occhi fuori dalle orbite esattamente come i suoi colleghi che però si lasciano sfuggire anche diverse esclamazioni colorite.
“Era ora che arrivassi, credevo ci sarei diventato vecchio ad aspettarti qui fuori!” esclamo stampandomi in faccia il mio solito ghigno che so non sopporta e, ignorando il suo stato di shock, faccio il giro dell’auto per sedermi al posto del guidatore.
“Allora sali o hai deciso di voler tornare a piedi?”. Senza farselo ripetere due volte e ancora con la bocca aperta per lo stupore sale a sua volta sul sedile del passeggero lasciando la sua borsa su quelli posteriori.
“Una Jaguar… Perché mai hai preso una Jaguar?” chiede riprendendosi dallo shock.
“Perché mi piaceva, mi sembra ovvio”
“È un’auto da scapoli!” esclama gonfiando le guance per il nervoso
“È un’auto da ME”

Come per magia ecco che, arrivato nel parcheggio, trovo la protagonista del mio flashback alle prese con la sua auto.
“Trunks prova a mettere in moto” disse Bulma quasi immersa a testa in giù tra tubi e valvole del motore. Trunks obbedisce all’ordine ma la macchina non ne vuole sapere di accendersi.
“Accidenti allora è la bobina!” esclama rinunciando a riparare l’auto e chiudendo il cofano.
“Mamma parla nella mia lingua” la rimprovera il ragazzino. È evidente che si sia stancato parecchio oggi: ha le spalle curve, gli occhi socchiusi per via delle palpebre pesanti e i capelli scompigliati, una vera anomalia per lui che li porta sempre in ordine.
“Per farla breve la benzina non arriva al sistema di iniezione” spiega la turchina con un’espressione corrucciata, conoscendola starà pensando a come risolvere questo inconveniente.
“E adesso che facciamo?” ormai sono abbastanza vicino e, vedendo che non c’è nessun altro nei paraggi, decido di intervenire.
“Serve una mano?” chiedo fermandomi a qualche passo da loro.
“Grazie, ma a meno che tu non abbia un’officina meccanica tascabile c’è ben poco che si può fare” risponde Bulma cercando di non far trapelare il suo nervosismo dalla voce.
“Mi è parso di capire che è un problema della bobina e, poco ma sicuro, prima di domani la tua auto non si muoverà da qui. Ho lasciato la mia in fondo al parcheggio... ce la fate ad arrivare fino a lì?” per quanto possa essere arrabbiato con Bulma non sono così folle da lasciarli qui.
“Non è necessario. Posso chiamare un taxi o noleggiare un auto” perché questa donna non vuole mai accettare l’aiuto di qualcuno? Faccio un respiro profondo girando gli occhi al cielo per trattenermi dal risponderle come mio solito.
“Sul serio? Vuoi noleggiare un’auto alle tre del mattino? Oppure chiamare un taxi per fare un tragitto di ben 300 km?” alle mie parole Bulma risponde mordendosi il labbro inferiore in evidente imbarazzo, evidentemente non aveva pensato a tutto. “Aspettate qui, io vado a prendere la macchina e vi raggiungo.. Così non dovrai neanche camminare ancora su quei trampoli” aggiungo con un ghigno al ricordo di tutte le volte che in passato siamo usciti insieme e puntualmente a fine serata dovevo andare da solo a prendere la macchina o la moto perché lei aveva i piedi a pezzi per colpa dei tacchi che si ostinava ad indossare.
Sto per fare qualche passo sul ciottolato quando mi arriva la voce della turchina alle spalle “Se vuoi posso tenere io Bra, così non dovrai preoccuparti che possa svegliarsi”.
Spinto da non so quale motivazione decido di raggiungerla “Tsk... non basterebbe una bomba per svegliarla quando è così stanca” e dopo aver lanciato un’ultima occhiata a Bra profondamente addormentata tra le braccia di Bulma mi avvio alla mia auto.
“Non posso crederci... Sibyl! L’hai davvero tenuta nonostante hai una bambina piccola?!” chiese sconvolta alla vista dell’auto.
“Certo che sì, anche se purtroppo ha passato gli ultimi cinque anni della sua vita sotto un telo in garage” non posso non notare come Trunks, nonostante la stanchezza, stia letteralmente venerando con gli occhi la meraviglia della meccanica su cui a breve salirà.
Sto per riprendermi Bra quando la mia attenzione è catturata dall’espressione pensierosa di Bulma, ma non faccio in tempo a chiedere nulla che lei mi precede rivolgendosi a suo figlio “Trunks ti va di sederti davanti? Così io dietro tengo d’occhio Bra per farla dormire tranquilla”
“Non serve mamma, posso stare io dietro... Se la facciamo mettere un po’ più al centro può poggiarsi alla mia spalla”
“Non serve che tu stia scomodo Trunks... sui sedili posteriori c’è il bracciolo centrale” intervengo sporgendomi verso Bulma per riprendere mia figlia. Sono stato ben attento a limitare il contatto fisico con la donna ma inavvertitamente alzo lo sguardo verso il suo viso che, da sempre, mi attira come una calamita, e incontro i suoi occhi azzurri, splendenti come il cielo d’estate, rivolti a Bra. C’è qualcosa di strano nel suo sguardo, un qualcosa che io non vedo da tanti anni e che Bra invece non ha mai visto nella sua breve vita: amore materno. E pensare che sarebbe potuto essere così già da tanti anni. Già, “sarebbe potuto” ma così non è, ed è tutta colpa mia.
Mandando giù il magone che mi ha chiuso la gola, prendo Bra in braccio per adagiarla sul sedile posteriore destro e, prima di allacciarle la cintura di sicurezza, la copro bene con la mia giacca. Quando mi risollevo Trunks è già salito a sua volta mentre Bulma mi osserva con gli occhi lucidi. Non ci vuole un genio a capire che i suoi pensieri sono specchio dei miei, ma non è il momento di parlarne, e forse non lo sarà mai, così saliamo in macchina e partiamo per la Città dell’Ovest.
“Riguardo al discorso di prima...” inizio dopo essermi assicurato che anche Trunks stia dormendo.
“No, Vegeta. Non c’è nient’altro da dire. Non era destino e va bene così” mi interrompe continuando a guardare fuori dal finestrino. Ma io non demordo.
“Non so quale sia il telegramma di cui hai parlato perché la decisione di tornare con qualche giorno di anticipo è stata presa con così poco preavviso che nessuno lo sapeva all’infuori di mio padre che ha ricevuto la comunicazione dalla base. Appena atterrato non ho contattato nessuno e mi sono avviato immediatamente alla sede della Capsule Corp. Destino favorevole o avverso che sia, dovevo difendermi da quell’accusa” e il discorso cade lì.
Dopo neanche mezz’ora sono l’ultimo rimasto sveglio e ne approfitto per riflettere sull’assurda serata appena trascorsa. Trunks è mio figlio... Ancora fatico a crederci. Effettivamente però ha il mio stesso profilo e taglio degli occhi nonostante i colori siano decisamente dalla parte di Bulma, inoltre, da quanto ho potuto conoscerlo in questi mesi, è un ragazzino testardo quanto intelligente e, contrariamente a quanto sosteneva all’inizio, è portato per le arti marziali come pochi degli allievi che ho avuto nella mia classe.
Mio figlio... che non ha idea di chi sia realmente suo padre... E questa consapevolezza mi fa male come una pallottola infuocata che mi trafigge il petto.

Scritto nelle stelle... o in un fumettoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora