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Joey pov

Passa le giornate sdraiato sul suo letto, a fissare il soffitto.

Proprio come in questo momento, è sdraiato e osserva un punto nel vuoto.
Non sa cosa fare, non ha amici, non ha voglia di uscire, ha paura del mondo, delle persone, non vuole conoscere nessuno.
È solo dalla mattina alla sera, nemmeno i suoi genitori gli vogliono bene, per il semplice fatto che è diverso dagli altri, si trucca, si veste in modo anticonvenzionale, e suo padre pensa che sia gay, infatti è così, ma è una cosa che il piccolo Joey non può dire, suo padre è un omofobo di merda quindi è costretto a stare zitto.
E oltre tutto quello schifo, i suoi sono sempre a lavoro e quando tornano lo sgridano perché è asociale e credono che non combinerà mai niente nella vita. Perché stressarlo così a soli 13 anni...

La scuola poi è il posto peggiore per lui. Tutti lo guardano male, sparlano per via di come si veste e dei suoi capelli neri e lunghi fino al punto vita, e come se non bastasse, ogni tanto gli fanno anche dei dispetti.
Le sue giornate sono vuote, tristi, fredde, noiose.
Piange e basta, odia sentirsi così solo.
Vorrebbe solo un abbraccio da qualcuno, magari dai suoi genitori, o da sua sorella, ma non vedono il suo dolore, lui non lo vuole far vedere, non vuole essere un peso per nessuno e non vuole elemosinare un po' di affetto.

"Joey, a scuola, alzati" dice sua madre aprendo la porta della sua camera e andando a chiamare anche sua sorella Anne.

Il ragazzo si mette le mani in faccia dalla disperazione e dopo pochi secondi, a stento, si alza.

Rimane a fissare il pavimento, non ha voglia di andarci, ma almeno così occupa il suo tempo.

Si guarda allo specchio, si pettina i capelli, mette la matita nera nella rima inferiore del occhio, prende le prime cose che vede nell'armadio e le indossa, mette il suo unico paio di scarpe e prende lo zaino.

Cammina per andare in cucina, ma si ferma dopo pochi passi perché vede nella stanza di Anne, sua madre e sua sorella abbracciarsi per qualche secondo.

-Perché a me no?-

"Hey nano, andiamo dai" Dice suo padre continuando a camminare verso la porta.

Joey gli va dietro per poi entrare in macchina. Pochi istanti dopo arriva anche sua sorella che si siede dietro con lui.

Per tutto il tragitto da casa a scuola Joey non dice una parola, a parte "a dopo" quando arrivano a scuola.

"Mi raccomando, non farti rubare le cose anche oggi" dice suo padre ridacchiando per poi andare via.

-In bocca a lupo Joey-

A piccoli passi, dopo un respiro profondo, entra a scuola.
Passano le 5 ore ancora una volta in solitudine, e si avvia verso l'uscita

Sta volta fuori ad aspettarlo non c'è nessuno, di solito suo padre lo va a prendere dopo la scuola, ma in realtà non è la prima volta che succede, quindi non è molto sorpreso.

Il piccolo Joey cammina piano attraversando la strada, e si siede su delle scale di un portoncino di fronte alla scuola.
Non ha voglia di tornare a casa, non ha fame, non ha sete, in questo momento non prova nulla, vuoto, solo un grandissimo vuoto.

Odia questa sensazione, la odia tantissimo, è come se non fosse umano, è come se qualcuno avesse schiacciato sull'interruttore "spegni", come se avessero tolto delle pile da un giocattolo.
Quello che prova ora è solo un enorme tristezza.
Si sente avvolto da un'aura nera, che pur essendo invisibile, pesa.

Alzando lo sguardo vede tutti i suoi compagni di classe e non solo, andare via con amici, o parenti. Felici, spensierati, sorridenti. Fissa tutti fino a quando poco alla volta la scuola rimane vuota. C'è solo un ragazzo.

Non uno a caso.

È quello pazzo della scuola che temono tutti.

Lo sta fissando, e si sta avvicinando sempre di più a lui.

-che cosa?
sta venendo da me?
si oddio sta proprio venendo verso di me-

"ciao, sono Corey"




ciao, a questo capitolo ci tengo un po' più degli altri anche se è corto, ma rimedio nel prossimo :)  bye

"I've felt the hate rise up in me" ||JOREY||Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora