XVII: Litigioso trasferimento

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"Ti tengo il letto caldo"  Rileggo ancora un'ultima volta l'sms di Miguel, arrivato in tarda mattinata, proprio all'ora di pranzo. Rosso e corrucciato, lascio passare almeno una decina di minuti prima di replicare.

"Ho già iniziato a mettere via la mia roba. Dove e quando ci vediamo?" Ormai il messaggio è già inviato, perciò mi affretto a specificare: "Non a casa dei nonni".

Il suo messaggio è immediato. "Dove e quando vuoi, io ci sarò."

"Verso le sei. Ti invio la posizione."

"Ok" Poi spengo il cellulare e quasi col fiato sospeso attendo che l'ora X arrivi.

Non ho molto con me, perché sono partito leggero anche prima di trasferirmi a Sunset Lane: il mio armadio è una modesta raccolta di qualche felpa, una manciata maglioni e due paia di pantaloni. Tutto entra in un borsone a tracolla, che mi fa sbandare e inclinare il corpo a destra quando cammino.

Con le cuffiette nelle orecchie e Wonderwall degli Oasis sparata in testa, l'idea di starmi per infilare nella tana del lupo non sembra nemmeno tanto tremenda. Alzo la testa verso il cielo, inspirando il profumo di pioggia che ancora deve arrivare, poi attraverso la strada e mi ritrovo in una piccola piazzetta nel centro del vicinato, non molto lontana da casa dei nonni, ma abbastanza perché non notino con chi sto davvero andando a vivere. E' proprio questa la posizione che ho inviato a Miguel Hebrew. Mentre osservo la cronologia dei messaggi e aspetto il suo arrivo avverto un nugolo di sensazioni - prima di tutte l'ansia - che mi scuotono lo stomaco. Ah, la paura. Vecchia, odiosa amica.

Ed eccola che arriva: una BMW blu notte. La stessa che ho visto ieri sera, accostata alla strada di fronte al portico dei nonni. La stessa che ricordo di aver visto nel parcheggio dell'ospedale. Era lui, allora! Mi azzanno l'interno della guancia, sforzandomi di non arrossire nel ricordare che deve aver notato le effusioni fra me e Dimitrij. Purtroppo non posso ritornare indietro nel tempo. Mi tolgo una cuffietta e mi avvicino al bordo del marciapiede quando il finestrino si abbassa, inclinandomi in avanti per scambiare con lui un'occhiata, quasi ad assicurarmi che si tratti dello stesso uomo che ho visto in ospedale e, prima ancora, in carcere.

Dall'interno arriva un buon profumo di pulito amalgamato a quello del fumo. Il conducente si sporge, dopo essersi accostato al marciapiede, e solo pochi metri ci dividono. Nella bocca carnosa gli pende una sigaretta stretta, di quelle sottili e lunghe, e gli occhi azzurro mare spiccano sulla pelle abbronzata mentre mi osserva, con le sopracciglia appena inarcate. "Tutto lì ciò che hai?"

Glielo si legge in quello sguardo celeste intenso, leggermente socchiuso per scrutarmi meglio, scomparendo dietro una nube di fumo per il breve momento che servirà all'aria per circolare. Corruccio leggermente le labbra, quasi a dirgli "Sì, allora? Non sono un tipo alla moda!" Poi mi raddrizzo, inalando l'odore della sigaretta. Non mi aspettavo fumasse anche lui. Fa spallucce, una risposta secca e accondiscendente, come se non servissero parole per comunicare, nonostante tutti gli anni passati.

«Serve un passaggio?» esordisce infine, con labbra piene e invitanti piegate in un mezzo sorriso, come rubini incastonati nel bronzo di quel viso perfetto e rude.

«Direi di sì...» mormoro e mi sento un po' timido, mentre giro intorno alla macchina e mi siedo al posto a fianco del guidatore, posizionando il borsone ai miei piedi. "Cosa dovresti capire? Forse che ti amo?" Mi ritornano in mente quelle parole e fisso con insistenza l'airbag, senza riuscire a guardarlo negli occhi.

«Su, andiamo a casa An- Noah.» La voce si spezza e il secondo nome scivola fuori quasi con forza. Con la coda dell'occhio, noto che il suo sguardo scivola via nello stesso istante, si posa sull'orizzonte, il tramonto sempre più prossimo a scandire la fine di un'altra giornata.

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⏰ Ultimo aggiornamento: Mar 20, 2022 ⏰

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