VII: Interrogatorio

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C'erano questi due bambini.

Non si sapeva di preciso in quale tempo, in quale spazio, o in quale mondo. C'erano semplicemente questi due bambini che ridevano, seduti sul parquet di mogano di un soggiorno, le ginocchia nude appena scorticate per i residui di qualche gioco pericoloso che avevano fatto il giorno prima, appena qualche crosticina rossa formatasi sulla pelle giovane. Due bambini seduti davanti alla tv, ad ignorare il cartone animato di cui trasmettevano sempre la stessa puntata, specie a quell'ora del pomeriggio, noiosa, lunga, infinita.

C'erano questi due bambini che non si annoiavano mai, comunque, perché c'era qualcosa di speciale fra di loro, un legame, l'amicizia indissolubile di chi condivide minuti, ore, giornate insieme, crescendo e abituandosi l'uno all'altro fino a litigare per la stanza più grande, per le coccole più lunghe, per il giocattolo più bello. Il legame c'era. O almeno così credevano, mentre facevano scontrare i loro robot di plastica in un duello più vocale, che fatto di gesti, per quante onomatopee riuscissero a formulare con le loro boccucce.

C'erano questi due bambini. Poi, ad un certo punto, non più.


***


Nell'immaginario comune le cittadine disperse fra i boschi degli Stati Uniti, specie quelle nel Maine, nella Georgia o nella Virginia, sono un vero paradiso di sciroppo d'acero e banalità. Le donne si fanno tutte la stessa piega, i ragazzini scorazzano in strada in skate e biciclette costose, gli adolescenti fanno sempre le solite stupidaggini sui social. L'ultimo un po' come nel resto del mondo, insomma. Il mio piano era fare queste cose scontate anch'io. Sarei rimasto in casa dei nonni a scostare le tendine della vecchia stanzetta di mio padre guardando da lontano le Blue Ridge Mountains, sospirando per l'arrivo di un'altra noiosa ed insopportabile giornata di scuola. Un'altra in cui avrei visto il solito postino lasciare il solito giornale sulle solite cose davanti al solito portico. Una giornata qualsiasi.

Ma mi sbagliavo.

Sulla prima pagina del giornale di oggi c'è Carter, il corridore della squadra di football del liceo. La foto è stata ripresa dai pezzi iniziali del video, mentre è ancora imbavagliato, affiancato dal pazzo che fissa nell'inquadratura con due occhi scuriti dalle cavità buie della maschera bianca. Tutto qualche attimo prima di venir sgozzato con un coltellaccio come un maiale. Nessuna immagine cruenta, però. Solo lo sguardo orripilato del ragazzo, un pezzo di scotch sulle labbra, un assassino al suo fianco.

Le lettere cubitali gridano al grande ritorno del famoso mostro. Alcuni sull'innocenza di Miguel Hebrew, altri ancora su un emulatore, addirittura certe teorie su un possibile complice mai acciuffato. Le autorità e i politici locali non hanno rilasciato interviste. Gli unici ad infestare interi paragrafi sono proprio i commenti dei genitori più influenti della città: uomini d'affari, donne in carriera, e magari sì, anche le casalinghe più popolari del quartiere più in vista.

La scuola, invece, ha ufficialmente riaperto. Ma oggi non ci saranno le lezioni. Nessuna dormitina sul banco durante la lezione di matematica, nessun pericolo nel dover sezionare una ranocchia nel laboratorio di scienze e nessuna pallonata a tradimento dall'allenatore odioso. Da quello che hanno preannunciato "le voci" di corridoio, oggi ci sarà un lungo ed estenuante interrogatorio, più o meno per la maggior parte degli studenti. Io non sarò interpellato, si suppone, visto che a malapena conoscevo la vittima.

O almeno lo spero. Perché anche se mentire a me stesso mi fa sentire meglio, sono estremamente consapevole di trovarmi nei guai. Io ho fatto lite con lui, a scuola. Poi deve essere successo qualcosa di terribile, perché mi sono risvegliato nel bosco senza vestiti e il mio pick-up era proprio sul ciglio del bosco. Non ho fatto niente, ma questo non significa che qualcuno non mi abbia visto nella stessa zona dove è stato ucciso.

Blood calls Blood | 𝑩𝒐𝒚𝒙𝑩𝒐𝒚 | (IN PAUSA)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora