5. Speranza

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La mattina si era svolta in modo abbastanza normale, con Simone che aveva preso in giro Manuel sul suo succhiotto più di una volta e lui che lo aveva mandato a farsi fottere.
Fortunatamente avevano scampato l'interrogazione di inglese per cui non avevano studiato e il padre di Simone quel giorno era mancato a scuola, perché aveva deciso di prendersi un giorno di ferie reduce dai festeggiamenti del giorno prima che erano durati fino a tardi. Per Simone e Manuel era stato un comune giovedì di scuola, fatta eccezione per le battutine dei loro compagni di classe sull'enorme succhiotto di Manuel.
All'uscita da scuola i due ragazzi si divisero, accordandosi per l'orario in cui Simone sarebbe venuto a vedere Manuel tatuarsi e poi avrebbero studiato matematica insieme per l'interrogazione del giorno dopo. Manuel probabilmente avrebbe finto di ascoltare, ma Simone non si sarebbe dato per vinto.
Manuel aprì la porta di casa e lanciò lo zaino sul divano, si tolse le scarpe e si sfilò il giubbotto, lanciando anche quello sul divano.
"Manuel sei tu?"
Anita si affacciò in soggiorno e trovò il figlio a digitare qualcosa sul telefono.
"No sò la fata turchina mà, non le vedi le ali?"
Anita alzò gli occhi al cielo e scosse la testa, Manuel non sarebbe mai cambiato di una virgola.
Il ragazzo stava cercando di capire dove fosse il posto in cui Simone si allenava. Digitò il nome del centro sportivo e aprì google maps, cercando il percorso più veloce per arrivare lì. Constatò che non fosse così lontano da casa sua e fece un calcolo mentale, ci avrebbe messo più o meno un quarto d'ora con il traffico. In realtà i due ragazzi si erano dati appuntamento direttamente a casa di Manuel, ma quest'ultimo era curioso di vedere Simone giocare e aveva deciso di presentarsi lì per l'ultima mezz'ora di allenamenti. E poi sapeva che Simone non avesse ancora la moto perché l'aveva distrutta nell'incidente e il padre ancora non gliene aveva comprata un'altra per l'ansia di vederlo schiantarsi di nuovo.
Si stese sul letto e poggiò il telefono sul petto, chiudendo gli occhi per qualche secondo.
Si sentiva come una di quelle ragazze che erano ossessionate dai propri fidanzati e avrebbero fatto di tutto per loro, eccetto per il fatto che lui non stesse con Simone e che Simone non gli piacesse così tanto. O meglio, non gli piaceva affatto.
Era solo il suo migliore amico e la persona con cui passava le sue giornate, era normale che ci tenesse. Non che pensasse così tanto a lui. Non sapeva neanche se Simone fosse ancora interessato a lui, dopo quella discussione il discorso non era più uscito fuori. Avrebbe dovuto sentirsi sollevato a quell'idea, ma non lo era.
Per niente. Era come se si trovasse in un limbo dove qualsiasi cosa facesse avrebbe potuto avere delle conseguenze enormi che non avrebbe saputo affrontare. Da una parte voleva schiarirsi le idee, dall'altra schiarirsi le idee significava affrontare quel discorso. E lui non era pronto.
Qualche ora dopo Manuel era davanti al centro sportivo di Simone e scese dal motorino, parcheggiandolo lì vicino.
Si tolse il casco e si riavvivò i capelli, sicuro che erano tutti schiacciati e senza una forma. Poi si avviò verso l'entrata. Chiese informazioni sugli allenamenti di rugby e l'uomo che lavorava lì gli indicò il campo lontano pochi metri, da cui si poteva vedere la squadra allenarsi. Manuel si avvicinò e si sedette sugli spalti vicino al campo, evitando le prime file perché Simone probabilmente si sarebbe preso un colpo a vederlo lì. Cercò di seguire la partita ma non capì assolutamente nulla, Simone gli aveva più volte spiegato le regole ma per lui erano arabo. Vicino a lui c'erano altri ragazzi, qualche genitore e dei nonni probabilmente. Un signore anziano gli chiese persino se fosse il fratello di uno dei componenti della squadra. Manuel scosse la testa e disse di essere amico di Simone. Il signore annuì e gli raccontò che Simone era un caro amico di suo nipote Alessio, il ragazzo biondo che ora stava correndo con la palla in mano. Manuel si accigliò e lo guardò meglio, ricordandosi di una volta in cui Simone lo aveva menzionato, dicendogli che erano amici da anni. Manuel fissò Alessio come a volergli leggere nel pensiero, era curioso di sapere in che rapporti era con Simone. Non che fosse geloso ovviamente. Li vide ridere e scherzare spesso, dandosi pacche sulle spalle e passandosi la palla più volte, sembravano molto affiatati, notò con una punta di fastidio.
Ad un certo punto Simone passò molto vicino al bordo del campo e vide Manuel: la palla gli cadde dalle mani. Rimase immobile come una statua a fissarlo e il suo cervello andò in stand-by. Che ci faceva Manuel lì? Perché lo stava guardando con un espressione così seria? Non sapeva neanche che Manuel sapesse dove si allenasse.
Il braccialetto.
Manuel probabilmente aveva cercato il nome del centro e lo aveva trovato subito, non era neanche così distante da casa sua. Ma si erano accordati per vedersi al suo garage, com'era possibile che fosse venuto lì? Era successo qualcosa di grave? Doveva parlargli? Aveva deciso che aveva di meglio da fare?
Ad un certo punto Manuel alzò una mano e lo salutò, sorridendo appena. Simone si rese conto che sembrava una stupido lì in piedi con lo sguardo fisso sugli spalti. Si riprese e raccolse la palla, tornando dalla squadra che si stava avviando verso gli spogliatoi. Gli allenamenti erano finiti per oggi. Simone si odorò e constatò che puzzava, questa volta una doccia calda non gliela levava nessuno. Decise però di passare prima a salutare Manuel, seduto sugli spalti che lo guardava ancora.
"Ehi"
"Ehi"
Quando Simone gli si avvicinò Manuel constatò che fosse ancora più bello del solito, con gli occhi luccicanti e i capelli bagnati di sudore.
"Sei qui"
"Già"
Manuel si alzò e lo guardò negli occhi, indeciso su cosa dire. Infine optò per la verità.
"Ero curioso di vedere le tue famose doti da rugbista"
"Ah sì?" Simone incrociò le braccia al petto e la sua espressione si trasformò in un ghigno, Manuel era lì per vedere lui, niente di grave, nessun ripensamento, niente discorsetto.
"Si"
"Okay"
"E poi mi sono ricordato che non avevi la moto, quindi venendo qui potevo evitarti di prendere i mezzi"
"Certo"
"Per l'incolumità delle persone sull'autobus, non vorrei che ti prendessero in giro per la puzza"
"Mi sarei lavato"
"Avresti fatto tardi"
"Era tutto calcolato"
"Probabilmente saresti arrivato con un enorme ritardo e non saremmo riusciti a fare tutto entro stasera"
Manuel sorrise per smorzare la tensione tra di loro e gli mise una mano sulla spalla, "Dovresti ringraziarmi"
Simone invece alzò gli occhi al cielo e si allontanò da lui, dirigendosi verso lo spogliatoio.
"Aspettami fuori"
Simone si lavò in fretta e furia e uscì con i capelli bagnati, non poteva credere che Manuel fosse venuto lì per vedere lui e lo stesse aspettando fuori. Gli sembrava di vivere in una simulazione: i baci della sera prima, il risveglio abbracciati, ora questo. Si sentiva come se qualcuno si stesse prendendo gioco di lui e stesse facendo avverare tutto quello che aveva sempre sognato per poi strapparglielo dalle mani sul più bello. Quando uscì dallo spogliatoio Manuel era lì fuori ad aspettarlo. Appena lo vide si avvicinò gli mise un braccio intorno alle spalle una merendina in mano.
"Tieni, l'ho presa alla macchinetta"
Simone strabuzzò gli occhi e lo guardò, perché Manuel gli aveva appena comprato una merendina? E non una merendina qualsiasi, la sua merendina preferita.
"Perché mi hai preso una merendina?"
"Perché avrai fame"
"Uhm" Simone annuì e non fece altre domande, sapeva quanto Manuel sapeva essere evasivo su certe cose e non voleva litigare.
Uscirono dal centro sportivo e si diressero verso il parcheggio. Arrivati alla moto di Manuel il ragazzo gli passò il casco, che Simone infilò in silenzio.
Era tutto molto strano: Manuel che veniva a vedere gli allenamenti, Manuel che gli comprava una merendina e Manuel che gli metteva un braccio sulle spalle.
Manuel montò sulla moto e Simone gli si sedette dietro, avvolgendo le braccia intorno al suo busto. La moto partì e loro sfrecciarono per le vie di Roma. Manuel stava cercando di essere il più tranquillo possibile, come se Simone non gli fosse appiccicato e sentisse ogni centimetro del suo corpo dietro di sé. Ogni singolo centimetro. Quando arrivarono si sfilarono i caschi della moto che poggiarono sopra ed entrarono in casa. Nessuno dei due proferiva parola. Simone si tolse la giacca e la diede a Manuel, che la buttò insieme alla sua sul letto della sua stanza. Poi prese le chiavi del garage e si diressero lì. In quel garage erano successe un milione di cose tra di loro, avevano litigato come pazzi, avevano aggiustato macchine e Simone si era lasciato tatuare da lui. Manuel guardava spesso il tatuaggio di Simone quando lui aveva una maglietta a maniche corte, e sorrideva sempre, solo un incosciente come Simone Balestra poteva farsi tatuare così da un perfetto sconosciuto. Manuel tirò fuori l'occorrente per i tatuaggi e lo dispose sul tavolo in garage.
Simone si mise seduto vicino a lui e lo osservò, curioso di sapere cosa il ragazzo si sarebbe tatuato. Era sempre stato attratto dai suoi disegni sulla pelle, ne avrebbe tanto voluto tracciare i contorni se solo avesse potuto. Ne avrebbe baciato e accarezzato ogni scritta e ogni simbolo se Manuel glielo avesse lasciato fare.
"Che cosa ti tatui?" Gli chiese Simone, aprendo il portfolio di Manuel. Sfogliò lentamente le pagine, guardando i disegni e sapendo che Manuel spesso li faceva in classe quando si annoiava.
"Desines timere si desines sperare, significa che cesserai di temere quando cesserai di sperare"
Simone rimase affascinato dalla pronuncia delle parole latine di Manuel, aveva sempre trovato attraente la sua passione per il greco e latino. Nonostante andasse male nelle materie scientifiche sapeva svolgere una versione in meno di cinque minuti, ricordava tutte le coniugazioni a memoria ed era bravissimo a spiegare il pensiero di qualunque filosofo gli si chiedesse. Ci sapeva fare con le parole. Simone riconobbe la frase di Seneca e sorrise, sapeva che era il suo filosofo preferito.
Si avvicinò a lui ancora un po' e lo vide scoprire il braccio sinistro, dove si sarebbe tatuato.
Manuel alzò lo sguardo su di lui e gli sorrise, "Vuoi farlo tu?"
"Io?" Simone si puntò un dito al petto, non riusciva a credere che Manuel veramente gli stesse chiedendo una cosa del genere.
"Se ti va si, ricambi il favore"
Manuel lo disse con una tranquillità tale che lo sconvolse, si fidava di lui a tal punto da permettergli di mettere le mani sulla sua pelle. Ed era perfettamente consapevole che non sapeva come si facesse.
Simone annuì e Manuel gli passò i guanti, che infilò con una lentezza estenuante. Poi sterilizzò gli strumenti e gli mostrò lo stencil. Gli fece vedere come funzionava la macchinetta e gli spiegò come ricalcare in modo preciso la scritta, essendo sicuro che Simone lo avrebbe fatto in modo eccellente, era un perfettone lui.
Simone eseguì diligentemente tutti i passaggi e poi pulì la parte tatuata per togliere gli eccessi. Applicò della crema sul tatuaggio e poi gli avvolse intorno una garza, tutto sotto gli occhi vigili del ragazzo vicino a lui.
"Si dice che la speranza sia l'ultima a morire" proferisce Manuel, guardando Simone fisso negli occhi.
"Ma finché c'è speranza c'è anche paura e sofferenza, ci attacchiamo alla speranza come se potesse risolvere le cose a lungo andare. Come se sperando veramente succedano. Come se i nostri desideri fossero possibili e realizzabili. Ma allo stesso tempo abbiamo timore che non succeda e soffriamo perché sappiamo che potrebbe essere così. Solo l'amore può salvarci dal timore e dalla sofferenza, è l'amore che ci speranza"
Manuel finisce di parlare e guarda Simone, sperando che il ragazzo vicino a lui abbia capito. Spera intensamente che non provi il suo stesso timore e la sua sofferenza, spera che qualcuno gli possa dare quell'amore che desidera tanto provare.
Chissà se quella persona sarebbe potuta essere lui.

E poi così, tu sei qui | SimuelDove le storie prendono vita. Scoprilo ora