5. Nettuno

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Il giorno seguente Manuel accompagnò Simone dal fisioterapista, e così per tutte le sedute successive. Continuava a recarsi in ospedale ogni giorno dopo la scuola, per stare con Simone: dapprima lo canzonava per il fatto che, con il braccio rotto e tutte le botte che aveva preso, non riusciva a fare praticamente nulla, ma subito dopo lo aiutava - pranzava insieme a lui, gli tagliava il cibo, gli dava una mano a vestirsi, lo accompagnava nel giardino dell'ospedale per farlo passeggiare, lo sorreggeva quando era stanco e le fitte al petto gli rendevano difficile respirare e camminare diritto. Tutti gli infermieri e i medici del reparto si erano affezionati a loro: li chiamavano "i fidanzatini" - e anche se Manuel fingeva di arrabbiarsi quando sentiva quel soprannome, in cuor suo era felice. Simone era vivo, presto si sarebbe ripreso del tutto e sarebbe tornato a casa: che altro desiderare?

Certo, Simone non aveva ancora recuperato la memoria, ma quella che all'inizio gli era sembrata una tragedia ora gli appariva come un'arma a suo favore: dal momento che Simone non ricordava nulla, Manuel aveva l'opportunità di ricominciare da capo con lui - stavolta cercando di non farlo soffrire inutilmente. Con calma, gli avrebbe dimostrato ciò che sentiva, svelandosi a piccoli sorsi.


Dentro di lui era in corso una battaglia tra due forze opposte, ognuna delle quali cercava di portarlo dalla propria parte.

Da un lato aveva finalmente accettato, dentro di sé, il suo sentimento nei confronti di Simone: ormai era inutile fingere che non tenesse a lui - non era più irraggiungibile come forse credeva Simone: era lì, a sua totale disposizione, al suo fianco. Non l'avrebbe più lasciato andare.

Dall'altro lato, tuttavia, la paura lo attanagliava. Sebbene non avesse più timore di ammettere nel segreto della sua anima le emozioni che provava quando era con Simone, al pensiero di dover parlare di tutto questo con il diretto interessato era invaso dal terrore. Dirlo ad alta voce - a Simone, a sua madre, a Dante, ai compagni di classe, al mondo: ecco che cosa lo terrorizzava.


Le parole danno luce alle cose, danno alla luce le cose: le fanno vivere, le plasmano, le rendono reali - dando loro forma, consistenza, colore. Ma sanno anche essere una trappola, una prigione: incasellano, inquadrano, dividono - mettono etichette, distribuiscono giudizi, stabiliscono confini. Hanno la pretesa di essere chiare, evidenti, cristalline, ma spesso sono ambigue, mendaci, confuse, misteriose. L'emozione non ha voce.

Come si dice l'amore?

Come si spiega la fiamma che ti divora dentro al semplice tocco della persona di cui sei innamorato? Come si racconta la leggerezza che ti pervade quando sei in sua compagnia? Come si risponde al perché di un sentimento?

L'amore accade, ma è anche una scelta: è una benedizione data da Dio, un voto infrangibile e sacro, un "sì" che va urlato al mondo intero, ma può essere anche una condanna ad ardere in eterno, un fuoco che consuma e corrode, una passione proibita e profondamente sbagliata. Ti riduce in cenere e tu non sai se quelle braci raccontino di una morte o di una rinascita.

L'amore ti salva dal morire quotidiano, o ti toglie giorno dopo giorno un frammento di vita per donarlo all'altro?


Manuel non sapeva rispondere. E d'altronde non osava nemmeno pensarci. Aveva un rapporto ambivalente nei confronti delle parole: le venerava, ma al contempo lo facevano sentire in gabbia, stretto in una morsa - oppresso dal loro peso, schiacciato su di esso. Aveva paura che, se avesse dato un nome al sentimento che provava, lo avrebbe incatenato, corrotto, contaminato, rovinato per sempre.

Per questo prediligeva i gesti, le azioni impulsive: avrebbe preferito di gran lunga poter baciare Simone, accarezzarlo, fare l'amore con lui, confondere il suo respiro con il suo e poi disegnargli sulla pelle il senso del suo sentimento, tracciare sulle sue labbra i contorni della parola "amore". Ma poi Simone lo avrebbe (giustamente) riempito di domande, avrebbe preteso un chiarimento: Manuel avrebbe saputo dargli le risposte che bramava?

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