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Dopo la conversazione con i miei amici, il mio cuore era diventato automaticamente più leggero. Non avevo bisogno di un permesso, non era quello lo scopo; volevo solo avere la sicurezza di averli accanto a me, indipendentemente da tutto. E mi ero anche rimproverata mentalmente, quando avevo realizzato di aver avuto timore si allontanassero da me. E mi ero sentita tremendamente egoista; una grande egoista, perché ero stata io a sparire mesi prima, e loro avevano avuto comunque il coraggio di presentarsi ad Orlando, con due valigie tra le mani ed le orecchie dritte, pronte ad ascoltarmi.

Quella mattina, comunque, il corridoio della NYU era stranamente vuoto. Beh, forse vuoto era iperbolico; gli studenti c'erano eccome, ma non quanti ne erano di solito. Normalmente, l'università era brulica di studenti a partire dalle sette del mattino, sebbene le lezioni iniziassero alle otto e trenta. La gente ne approfittava per ripassare un argomento, per fissare i concetti delle lezioni precedenti o, semplicemente, per passare un po' di tempo in compagnia di amici e colleghi universitari.
Quella mattina, però, io ero completamente da sola. Grace era di nuovo in ospedale per un'ulteriore visita: più si avvicinava la data del parto, e più le visite di controllo aumentavano, così mi aveva detto quando mi ero mostrata confusa, dato che nemmeno una settimana prima ne aveva avuta una.
Jared e Colton, invece, non avevo lezioni, e ne avevano approfittato per fare un giro per la città; era quasi fine ottobre e a Manhattan il freddo iniziava a farsi prepotente, ma questo non impediva alle persone di approfittare del tempo libero per una passeggiata, o per un semplice caffè, o, perché no, una buona cioccolata calda.

Soprappensiero, urtai contro qualcuno ed il mio cellulare cadde a terra, provocando un rumore sordo che, probabilmente, avevo notato solamente io. Mi chinai a raccoglierlo a la mia faccia finì esattamente difronte a quella di Jayden, che mi guardava come un cane bastonato. Raccolsi subito il cellulare prima che potesse farlo lui e mi voltai, pronta a raggiungere l'aula della signorina Escamilla, la docente madrelingua spagnola che, ogni martedì, era impegnata per due ore esatte con noi matricole.

Jayden mi afferrò il braccio, facendomi voltare. "Possiamo parlare un attimo?" Mi chiese, facendo passare il suo sguardo prima sul cardigan beige e poi sui jeans, oramai scoloriti, così come le vecchie converse nere che indossavo. Avrei dovuto comprarne un nuovo paio, ora che ci facevo caso.

Lo guardai, disinteressata. "Ti ascolto, ma fa presto, ho una lezione da seguire."

"Mi dispiace, non avrei dovuto dire quelle parole." Disse, abbassando lo sguardo.

Si è proprio impegnato, wow. "Finito? Posso andare, adesso?" Esordii, scocciata. Odiavo queste scenette, e ancor di più in un corridoio pieno di persone, che avevano l'aria da complete impiccione. Era quello che non sopportavo delle grandi università: anche gli armadietti sembravano avere occhi ed orecchie.

"Per favore, Alison, credimi. Ti giuro che non penso una singola parola di quella che ho pronunciato, mi sono innervosito perché... Beh, perché lui è sempre tra i piedi! Sembra quasi abbia la calamita e riesca a ritrovarsi attaccato a te in qualsiasi momento. Ma questo non giustifica quello che ho detto, sono stato un vero idiota. Mi dispiace, spero tu possa accettare le mie scuse, non voglio perdere un'amica per una mia stupidaggine." Concluse, incastrando il suo sguardo nel mio.

Sospirai, chiudendo gli occhi. "Va bene, Jayden, accetto le tue scuse."

Gli angoli della sua bocca si sollevarono in un sorriso. "Grazie a Dio! Ho pensato che non mi avresti rivolto più la parola." Disse, lasciandosi scappare un sospiro di sollievo.

Scossi la testa. "A volte vorrei poter essere così dura." Mi lasciai scappare, ma poi liquidai il tutto con un gesto della mano. "Segui anche tu la lezione con la professoressa Escamilla, oppure salti?" Gli domandai.

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