1 gennaio

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31 dicembre

Una volta, quando James aveva quattro anni, i suoi genitori si erano dimenticati di andare a prenderlo all'asilo. Più che dimenticati, a loro discolpa bisognava dire che si erano capiti male: Fleamont era rimasto incastrato ad una riunione al lavoro che si era protratta più a lungo del previsto, Euphemia – che normalmente si occupava di portarlo a scuola la mattina – per qualche motivo si era convinta che l'orario di uscita fosse più tardi di quello che effettivamente era, e nessuno dei due si era presentato alle quattro e mezza per prenderlo e portarlo a casa.

James ricordava vividamente di aver visto andare via tutti i suoi compagni, uno ad uno, e ad ogni genitore che arrivava, ad ogni bambino che correva incontro alla sua mamma o al suo papà, la classe diventava sempre più vuota e la terribile sensazione di angoscia e di abbandono dentro di lui si era fatta sempre più forte e sempre più impossibile da ignorare. Aveva tenuto duro fino alla fine, testardo e orgoglioso com'era già allora, cercando di non dare a vedere quanto la paura che si fossero dimenticati di lui minacciasse di sopraffarlo ogni volta che la porta si apriva e Fleamont non faceva capolino dietro di essa.

Poi, quando era rimasto l'unico bambino nella classe e la maestra gli aveva chiesto se sapesse quale dei suoi genitori dovesse venire a prenderlo, non ce l'aveva più fatta ed era scoppiato a piangere.

Euphemia si era precipitata lì solo dieci minuti dopo, avvertita dalla maestra, ma James se li ricordava come i dieci minuti più lunghi della sua vita. Poi finalmente l'aveva vista entrare e buttarsi immediatamente in ginocchio davanti a lui in mezzo alla classe vuota, trafelata e preoccupata, e tutto si era risolto – perché non lo avevano abbandonato, perché si erano solo sbagliati, perché non avrebbero mai potuto dimenticarsi di lui – e sapeva solo di averle gettato le braccia al collo e di aver pianto un altro po' contro la sua spalla.

Era uno degli abbracci che James ricordava di più in assoluto di tutta la sua vita.

Fu curioso, quindi, come gli ritornò in mente ventitré anni dopo, la notte di Capodanno, mentre abbracciava un'altra donna – anch'essa dai capelli rossi, anch'essa straordinariamente vivace e volitiva, anch'essa con la fastidiosa tendenza a comprenderlo come se fosse in grado di leggergli nel pensiero – e lo stesso, identico sollievo che aveva provato da bambino ritornava a scorrergli nelle vene, acquietando tutti i dubbi e le incertezze e la malinconia che lo avevano tormentato nelle ultime ventiquattro ore e catapultandolo dolcemente in un posto sereno e quieto, dove ogni suo problema sembrava scomparire.

Per un momento sospeso nel vuoto, James socchiuse gli occhi e rimase in quel limbo buio e confortevole, dove Lily lo stringeva a sé con un calore che non gli aveva mai mostrato prima, avvolto nel suo profumo e nella consapevolezza che lei lo era andata a cercare.

Quando si separarono – molto prima di quanto James avrebbe desiderato – lei non perse un secondo e cominciò a parlare a macchinetta, un po' come aveva fatto la notte della Vigilia, quando era entrata nel suo taxi e nella sua vita, e un fiume di parole concitate gli si riversò addosso, ma, per quanto si stesse sforzando, lui non riuscì a seguirla. Era stordito, era sconcertato, era ammutolito – senza contare che non era ancora del tutto certo che quella davanti a lui non si trattasse di un'elaboratissima visione partorita dal suo subconscio ossessionato da lei, perché ancora non si raccapezzava di come l'avesse trovato, come fosse riuscita a rintracciarlo in una città con quasi dieci milioni di abitanti, quando lui non le aveva lasciato altro che il suo nome per farlo.

«– e quindi ho pensato che forse ero ancora in tempo per portartela!» esclamò Lily, concitatamente, concludendo un discorso affannoso di cui lui non aveva afferrato assolutamente nulla.

A Very Catastrophic ChristmasDove le storie prendono vita. Scoprilo ora