Capitolo 4

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Il vero nome era "Alexander", ma per comodità i giovani erano soliti chiamarlo Alex.
Era il nome del bar più gettonato della mia scuola, che si trovava nel centro di Londra e dove avevo la fortuna di lavorare; ormai mi avevano assunto da circa un paio d'anni ed ero più che soddisfatta del mio impiego, anche se ero costretta a vedere i miei compagni anche fuori da scuola e a volte persino a servirli. Ma la cosa non mi infastidiva, anche perché fortunatamente i più insopportabili e viziati dell'istituto non si abbassavo al livello dell'Alex e preferivano i luoghi d'élite.
"Grazie per essere venuta, avevo assolutamente bisogno di chiacchierare un po'" dissi a cassie con aria sollevata.
"Ma va! Ti pare, per te questo e altro!" Mi rispose facendomi l'occhiolino.
Io ridacchiai. La adoravo.
"Allora" mi disse "cos'hai da raccontarmi?"
"Andiamo cassie sappiamo bene tutte e due che non vedi l'ora di spettegolare" le dissi scherzosa "comincia pure a sfogarti"
A questa affermazione le si illuminarono gli occhi. La conoscevo bene e sapevo che non c'era niente che adorasse più di spettegolare sulle novità dell'istituto.
Non era assolutamente una ragazza cattiva, ma come me non adorava gli spocchiosi della mia scuola, nonostante fosse una delle più gettonate della Pollock.
Era una ragazza bellissima: aveva lunghi capelli biondi, gli occhi azzurri,le labbra carnose e soprattutto un fisico da urlo; insomma la classica ragazza a cui tutti corrono dietro.
Ed era amica mia. Nemmeno io riuscivo a spiegarmelo a pieno.
Ma a parte il carattere, dove lei era molto più socievole e espansiva, noi eravamo uguali.
Come al solito lei cominciò a parlarmi di tutte le coppiette che si erano formate negli ultimi due giorni e che puntualmente si sarebbero sciolte dopo altrettanto tempo, cosa a cui non prestai particolare attenzione. Poi andò avanti parlandomi delle sue cose: il suo sport, i suoi problemi ecc.. Dove invece fui attenta ad ascoltarla.
"Che idiota!" Si interruppe "io sto continuando a parlare quando tu non mi hai ancora detto nulla del tuo nuovo compagno di banco!"
Oh cielo, quell'idiota! Ma cosa voleva sapere?
"Non c'è nulla da dire in merito" bofonchiai.
"Ma come nulla da dire?! Ma se tutta la scuola ne parla!" Mi disse ridacchiando.
"E cosa dicono?" Le domandai; non nego di aver avuto un po' di curiosità.
"Be che è un figo, ovviamente! Tutte le ragazze gli sbavano dietro!"
A quelle parole sbottai incontrollata: "si certo un figo con un cervello da gallina!"
Cassie mi guardò sbalordita per pochi secondi, poi scoppiammo entrambe a ridere di gusto.
Quando riuscimmo a riprenderci cassie ricominciò il discorso:" ma avete parlato?"
Non ce la facevo più. Volevo cambiare argomento.
"Si ma è stata un'agonia" le risposi.
A quelle parole cassie si stampo sul viso un sorriso incredulo, che si levò solo alle parole " dai però adesso cambiamo argomento"
Dopo un secondo di palese delusione, cassie mi fece un sorriso e pronta come sempre trovò di cosa parlare.
"Allora Violet vieni alla festa di sabato?"
La festa! Ecco di male in peggio.
"Boh, non lo so ma non credo." Le risposi.
Non adoravo le feste anche se mi piaceva ballare: troppa confusione e troppe persone che non volevo vedere.
"Non ho niente da mettermi, non ho un accompagnatore e non ho voglia di passare il sabato sera in compagnia di un gruppo di ricconi ubriachi!"
"Ma daiiiiii" mi disse cassie facendomi gli occhioni dolci "vedrai che ci divertiremo! Facciamo così: al pomeriggio vieni da me così ci prepariamo insieme e alla sera ti riporto a casa; per quanto riguarda l'accompagnatore non preoccuparti non ce n'è bisogno, ci penso io a presentarti qualcuno la!" .
Concluse il suo discorso facendomi l'occhiolino; non mi diede nemmeno il tempo di accettare che capì subito che era un "si" e mi saltò in braccio.
"Grazie grazie grazie" mi disse entusiasta "vedrai che ci divertiremo" e mi schiocco un forte bacio sulla guancia.
Fatto ciò guardò l'orario e come se il tempo si fosse fermato fino a quel momento, si accorse di essere in ritardo per la sua lezione di danza; alche prese di corsa la sua borsa e uscendo dal bar mi urlò: "ci vediamo domani Violet, non preoccuparti per sabato mi occupo di tutto io!". E si dileguò fra il traffico.
Mentre usciva la salutai con un impercettibile cenno della mano e un sorriso sbalordito, per poi mettermi a ridacchiare appena non la vidi più.
Controllai l'orario e notai che , come cassie, anche io dovevo mettermi a lavorare, ma almeno io ero già li e ovviamente non sarei arrivata in ritardo.
Andai dietro al bancone, salutai tutti e mi misi il grembiule pronta per servire ai tavoli o per preparare cocktail; lavorare mi faceva stare bene, i proprietari e gli altri camerieri erano molto gentili con me, cosa che mi faceva molto piacere.
Quel giorno le ore scorsero molto più velocemente del solito, dato che non facevo altro che pensare a Cassie e alla festa di sabato.
Finito il mio turno raccolsi il mio zaino, controllai il cellulare e corsi fuori a prendere il bus che mi avrebbe riportato a casa.
Una volta scesa alla fermata, dovevo camminare a piedi i 200 metri che mi separavano da quella catapecchia che chiamavo casa, ma fortunatamente avevo la mia amata musica a tenermi compagnia, così mi infilai le cuffiette e presi a camminare.
Erano le 19 ma nonostante fosse già marzo quella sera , l'oscurità aveva deciso di calare prima del solito, rendendo il cielo scuro come la notte e il vento freddo e tagliente. Non prestai attenzione a quello che accadeva intorno a me fino a quando non sentii una strana sensazione che mi spinse a voltarmi. Non c'era nessuno.
O almeno io non vedevo nessuno.
Non ci diedi molto peso e continuai a camminare.
Feci altri due metri e mi girai di nuovo, sempre con la stessa sensazione.
-andiamo Violet non fare la scema e continua a camminare- mi rimproverò la mia coscienza.
Aveva ragione. Ero stanca. Era sicuramente la mia immaginazione.
Continuai per 10 metri ma quella sensazione non spariva. Anzi si faceva sempre più forte. Sempre più forte.
All'improvviso mi girai.
I miei occhi si spalancarono e il mio cuore cominciò a battere all'impazzata, avevo talmente tanta paura da non riuscire a muovermi, con la convinzione che se non fossi corsa via sarei morta.

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