1-Dinner.

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Tutto è magnifico. Lei non può desiderare di più. Eppure..

13 agosto 1998.
«Juliet, sbrigati, o farai tardi!» La signora List era sempre stata una donna molto ansiosa. Dopotutto, quando capita che la propria figlia vada ad un appuntamento con qualcuno che conosce Leonardo DiCaprio?
Ringraziava ancora il cielo per aver fatto incontrare quella primavera Juliet e Mark.
Lui era molto affascinante: capelli corvini e due occhi cioccolata, proprio come Juliet.
Si chiamava Mark Sweatter, un ventenne che apparteneva ad una famiglia molto benestante, anche "imparentata" con la famiglia reale. D'altronde, conoscevano molto bene le famiglie più famose del mondo. La signora Sweatter era un'abile sarta che cuciva gli abiti per i red carpet, per i film da Oscar.. Mentre il padre di Mark era un cinquantenne imprenditore, e girava per il mondo. Era raro vederlo lì ad Oxford, e quindi quella sera era stata organizzata una cena dai Sweatter.
Mrs. List ricordava ancora quando la figlia le disse che quel giorno in un negozio aveva conosciuto un ragazzo. Lei non è mai stata fidanzata, se non per un mesetto quando aveva quindici anni.
Era la classica so-tutto-io, alzava sempre la mano ed eccelleva nei voti. Aveva delle amiche, ma non erano "vere" amiche. La sparlavano alle sue spalle, e come unico amico vi era il cugino Theo. Era di sei mesi più grande di lei, ma frequentava l'anno seguente a Juliet. Lui era iscritto in Legge, poiché ha sempre ammirato quando i supereroi salvavano gli innocenti, e quando prenderà quella tonaca di giudice, si sentirà come essi.
Juliet invece era iscritta in Letteratura inglese, poiché era molto desiderosa di conoscere e di insegnare le sue conoscenze.
La settimana successiva sarebbe andata all'università di Londra. Era eccitatissima al sol pensiero.

Si guardò allo specchio. Indossava un abito color blu pervinca e i suoi capelli castano chiaro, dai riflessi color caramello, le scendevano ondulati fino alle spalle. Non era mai stata una ragazza particolare. Non le piaceva essere diversa nel vestire o nell'atteggiamento, ma neanche seguire la massa. Lei era Juliet List, tutto qui. La bellezza non conta, ma ciò che hai dentro la testa sì. Era questo il suo motto ormai.
Lei era una ragazza femminile, ma sempre che puntava sul comodo. Anche nel trucco: vedeva le sue coetanee segnate da fili spessi e lunghi di eye-liner, o così tanto fondotinta da creare una maschera tra la faccia ed il collo. No, lei non era niente di tutto questo. Metteva come minimo un velo di mascara, e una goccia di fondotinta quando aveva le occhiaie. Ultimamente aveva iniziato a mettersi una spolverata di ombretto chiaro perlato, ma che non si notava. Era il ritratto della semplicità e comodità.

Si riguardò allo specchio. Era abbastanza per piacere ai signori Sweatter?
Sapeva che i suoi genitori puntavano al meglio per lei... E voleva renderli felici.
Ma lei lo era? Era una domanda alla quale non sapeva dare risposta. C'erano tante domande, e fin troppe risposte mancate.
Sospirò, prendendo la borsetta dal letto.
Almeno per quella sera era felice. Doveva esserlo.

La sontuosa villa dei signori Sweatter sbucava dietro a delle villette simili. Ma quella era imponente. Baldacchini nei cornicioni, balconi stile barocco e un portone di legno massiccio.
Si sentiva così piccola di fronte a quell'enorme costruzione. Serrò i pugni, e le sue unghia incontrarono la pelle candida. Suonò il campanello. Una donna dai capelli biondi aprì dopo qualche secondo.
«Buonasera cara. Tu dovresti essere Juliet, vero? Piacere, io sono Katie, la mamma di Mark.» Il tono della sua voce era chiaro e pacato.
«Molto piacere.» Juliet le porse la mano che fu stretta e stritolata poco dopo. Accidenti, quella donna aveva una stretta molto forte!
L'interno era dieci volte più bello dell'esterno. Una scala di marmo scendeva per il salone, illuminato da un bellissimo lucernario di cristallo. Le sedie erano imbottite ed erano ornate da disegni floreali. Sì, Juliet si sentiva decisamente piccola.
Katie la portò in cucina, che era molto più moderna del salone. Ad aspettarla, li vi era Mark. Indossava una maglia firmata, forse Roberto Cavalli e dei pantaloni neri.
Non era elegante, ma di sicuro aveva buon gusto. E denaro.
«Juliet sei bellissima.» Il suo tono non era nè stupito, nè sconvolto. Era il monotono tono che usava con lei. Accennò ad un sorriso, prima di condurla nella sala da pranzo.
Lì una ragazza degli occhi azzurro mare, ed i capelli forse eccessivamente biondo ossigenato, era seduta vicino all'immensa tavolata. «Lei è mia sorella Audrey.» La bionda alzò gli occhi e corse vicino alla ragazza. La salutò come se fossero amiche di vecchia data, mentre invece l'aveva vista forse solo in foto.
«Quello in fondo è il mio fratellastro Zack. Mia madre era precedentemente sposata» Un bruno dagli occhi vispi ed un accenno di barbetta la salutò baciandole la mano. Aveva degli occhi azzurri e forse trent'anni o poco meno.
«Mio padre arriverà tra poco. Sai com'è, il lavoro..»

Sedendosi a tavola, dopo l'arrivo del signor Sweatter, si misero a mangiare e... fare mille domande. «Che lavoro fanno i tuoi genitori?»
Katie Sweatter aveva incrociato le braccia. «Uhm.. Dentisti, entrambi.» Juliet stava ancora masticando quando quella domanda le venne posta. Cercò di non farlo capire.
«Ah.» Mrs. Sweatter forse pensava fossero più importanti. E la ragazza capì che non stava andando come sperava.
«Quindi ti iscriverai a Letteratura inglese? È una bella facoltà.» Mr. Sweatter stava tagliando il pollo a tavola.
«Oh, sì. Ho sempre voluto andare in quell'università .»

E tante, tante altre domande a raffica. Si sentiva un'pò a disagio. Finita la cena, tutti si diressero in salotto. Non sapeva che stesse accadendo.
Si diresse anche lei lì, e trovò Mark al centro di un semicerchio. «Juliet Emma List, so che ci conosciamo da poco, ma sono ormai convinto dopo aver rimuginato un pò. Quindi, Juliet Emma List, vorresti diventare mia moglie?»
Un dolore improvviso colse lo stomaco di Juliet. Fidanzarsi..con lui? Sposarsi, avere una famiglia, invecchiare... con lui? Non era convinta. Non era pronta. I suoi genitori avrebbero voluto che accettasse. Insomma, avrebbe fatto una vita da regina! Meditò, guardandosi intorno: Katie piangeva e Audrey stava immortalando l'avvenimento con la macchina fotografica.
Decidendosi, in preda al panico rispose «Io.. erm..io..» Non riusciva a parlare, aveva un nodo in gola. Sentì le guance avvampare, e gli occhi diventare umidi. «Devo pensarci.» Afferrò la borsa, mimando un "scusa" alla famiglia che era rimasta di stucco, ed aprì la porta. Sentì Mark che invocava il suo nome, ma lei non poteva rimanere ancora lì.
Mise in moto l'auto, e con velocità partì, lasciando quell'imbarazzante fatto alle spalle. Dopo aver girovagato per un'pò senza meta, con gli occhi offuscati di lacrime, finì in un quartiere un pò insolito, dove proveniva della musica rock ed assordante. Sì, aveva bisogno di bere. Si precipitò in un locale a caso, lesse sul cartellone "Place Seattle" ed entrò. Ragazze vestite con lembi di vestiti, tizi coperti di tatuaggi ed una musica assordante e fastidiosa. Si diresse verso il bancone, trovò una sedia libera di quelle alte lì e chiamò il barman. «Dammi una birra.» Lui annuì stranito, e Juliet pensò che avesse il poco mascara colato. Si asciugò le guance con il pollice, nel mentre arrivò un boccale di birra. Lei era astemia, quindi sarebbe stato un pò... folle. Prese con decisione il boccale e lo bevve a metà in un colpo solo. Il liquido le bruciava i polmoni.
Un tizio si sedette accanto a lei. «Hey, bambola, bevilo piano, oppure non gusti il vero piacere.» Juliet si voltò. Un uomo grande e possente, dalla voce grossa,con una cicatrice sul sopracciglio che di certo non passava inosservata la stava guardando con circospezione. «So io quello che faccio, bambola.» Non aveva mai parlato con quel tono a qualcuno. Lui si mise in piedi, facendola sentire piccola ed insignificante.
«Senti, baby. O ti togli dalle balle oppure ti faccio vedere io, piccol insolen-»
«Lasciala stare, Bob.»
La voce di un ragazzo. Proveniva da dietro. Si voltò, per guardarlo meglio. Una testa dai capelli color carota sbucava da quel locale buio. Era seduto da solo in un tavolo, che beveva anch'esso una bevanda arancione.
«Tu non devi dirmi che cosa devo o non devo fare, carotina.»
Il ragazzo alzò lo sguardo. Due occhi verdi, di un verde particolare, tendente all'azzurro chiaro la stavano fissando.
«Hey bambolina. Ti porto a casa mia, ci divertiremo. Non ascoltare quello lì.» Okay, stava per perdere le staffe. Bob si avvicinò pericolosamente ed improvvisamente alla ragazza, che spalancò gli occhi. Qualcuno toccò la spalla di Bob. Lui si girò e... venne colpito da un pugno in pieno volto. Era stato il ragazzo dai capelli rossi.
Juliet capì di aver messo in mezzo una combriccola di guai. Prese il cappotto, lasciò una banconota da cinque e disse all'uomo «Basta così, per l'amor del cielo!» ed uscì dal locale, asciugandosi una lacrima che era sgorgata dagli occhi. Cercò di mettere in moto l'auto, ma a quanto pare il girovagare aveva fatto esaurire la benzina. Tutto liscio, eh?
«Tutto bene?» Il ragazzo pel-di-carota era uscito anche lui da quel postaccio. Lei cacciò indietro le lacrime e tirò su con il naso.
«Sì. Grazie per aver preso le mie difese.» Juliet non riusciva a guardarlo, provava una tale vergogna!
«Bob è solo un cretino che va in cerca di guai. Era un dovere, anche perché sei una donn-»
«Sapevo come gestire la situazione! Non eri in dovere. So cavarmela da sola.» Juliet disse quelle parole taglienti senza pensarci.
«Hai pianto. Ti va un cappuccino? Mi rincuora sempre un cappuccino a mezzanotte.» Il ragazzo cacciò le mani nelle tasche.
«Va bene. Ma ho la macchina in panne...»
«Nessun problema. Vieni con me.»
Okay. E se voleva farle del male? Se aspettava solo l'occasione buona per approfittarsi di lei? Sembrava un ragazzo affabile. Comunque, se doveva concludere la giornata, doveva concludere in peggio, com'era stata.
«Okay. Va bene.»

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