Capitolo 6 - Il leone e il topolino

96 8 16
                                    

Credit: @/saucybrtt su Twitter

Touya sentiva le gambe di gelatina quando entrò all'interno dello spogliatoio. Non era il posto in sé a terrorizzarlo, anzi era anche abbastanza squallido: una sola misera lampadina attaccata per miracolo al soffitto da un sottilissimo cavo illuminava con una luce fastidiosamente arancione una fila di armadietti sfondati, una panchina rotta e un tavolo che si reggeva su tre gambe. Anche l'odore lasciava molto a desiderare, una densa puzza di sudore mista a sangue e altri fluidi corporei, di cui Dabi non voleva sapere nulla, invadeva il piccolo spazio rendendolo ancora più soffocante. Quel fetore era così pungente e forte da pizzicargli il naso rischiando di fargli lacrimare gli occhi.

Aveva una gran voglia di una doccia a base di disinfettante. E di una bella dormita, di quelle che durano un giorno intero lasciandoti più rincoglionito di come sei andato a dormire. No, in realtà voleva solo abbandonare tutto e tutti scappando alle Canarie, così da fuggire dalle sue responsabilità, sperando che non lo raggiungessero anche dall'altro capo del mondo. Lo stridore di una sedia che veniva trascinata sul pavimento e di qualcuno che ci si buttava sopra molto poco elegantemente lo riportò alla realtà dal suo sogno di una vita in riva al mare a sfondarsi il fegato di alcolici.

«Allora, a cosa devo questa bella visita?».

Mitsuha fu la prima a parlare dalla sua posizione stravaccata sulla sedia, le gambe sul tavolo malconcio e un braccio sullo schienale. Li stava osservando con quei magnetici occhi castani scuro, un abisso così profondo da non poterne vedere la fine. I riccioli del color dell'ebano erano lasciati sciolti, una massa indomabile di capelli lunghi poco sopra il seno che le davano un aspetto normale. Se Dabi non la avesse appena vista prendere a calci un energumeno di due metri e se non si ritrovasse in una bisca clandestina, non avrebbe trovato nulla al di fuori dell'ordinario in Mitsuha.

«Non ci siamo ancora presentati. Io sono Ha-». 

Hawks fu brutalmente interrotto dalla voce scocciata della ragazza, che schioccò la lingua contro il palato prima di dire: «Odio i formalismi, eroe. Non c'è bisogno di presentazioni, mi basta aprire il giornale di questa mattina per ritrovarmi i vostri bei faccioni in prima pagina. E voi di certo non siete qui per giocare a blackjack con qualche pervertito fin troppo ricco.». 

Squadrò poi entrambi dall'alto in basso con aria scettica e guardinga. Non si fidava di loro, per nulla. Dabi non la biasimava: i due proheroes più famosi del Giappone venivano in un posto malfamato per incontrare una mercenaria, che era risaputo lavorasse per la League of Villains. Non bisognava di certo essere un criminale per capire che la cosa era molto sospetta, quindi in fondo capiva la diffidenza della ragazza, ma allo stesso tempo non poteva permettersi di far saltare la copertura. Dovevano trovare qualcosa, qualsiasi cosa per distruggere quel muro insormontabile che li divideva da Mitsuha. Un appiglio per superarlo, una porta da aprire, uno spiraglio su cui fare leva per abbatterlo. Cacciò indietro il nodo di ansia e paura che gli si era formato in gola prendendo parola. 

«I giornaletti di gossip non sono una fonte attendibile per poter dire di conoscerci. Escono tantissimi articoli su All Might, eppure non mi sembra che siamo migliori amici.». 

Gli occhi di Mitsuha scattarono subito verso di lui, guardandolo con aria di sufficienza. Quasi gli sembrava stesse storcendo il naso e la bocca in un ringhio, per la silente ferocia impressa in quegli occhi. Poi la mercenaria sembrò rilassarsi, lasciandosi andare a uno sbuffo divertito, prima di alzarsi e dirigersi a lenti passi verso un armadietto.

«Ottimo punto di vista, ma fa parte del mio lavoro essere sulla difensiva. Che ne dite di rincominciare da capo di fronte a un po' di alcol?» disse loro, guardandoli da oltre la spalla, l'occhio scuro fisso però su Dabi, che sembrava aver catturato la sua attenzione. Tirò fuori una bottiglia di rum con tre bicchierini, poi si diresse di nuovo verso il tavolo indicando loro le sedie con una mano, in una parodia di un signore di casa che cerca di essere galante con i suoi ospiti. 

What if? - DabixOCDove le storie prendono vita. Scoprilo ora