Vi (24/01/22)

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"Ti ci impegni proprio a rovinare tutto, eh?"

Quante volte l'ho sentita pronunciare questa frase e, dopotutto, non posso negare che alla fine non mi fossi finalmente convinto di come non fosse altro che l'ennesima battuta di un film lasciato scorrere su una televisione di un negozio vuoto in un triste centro commerciale.
Ho deciso di crederci fermamente, di aggrapparmi con tutte le mie forze alla mia convinzione che si, non ero io il problema e che no, andasse tutto bene.
Non ho mai potuto avere altra scelta: difatti, come sempre, i deboli restano indietro in una vita troppo veloce per chi si ferma ad asciugarsi le lacrime che non gli permettono di vedere.
Vedere cosa poi, non so ben dirlo.
E allora io mi ci sono convinto che dovessi farne un vanto di questa oscura capacità.
Di questo talento nel sapere già come le cose devono finire.
Perché non potevo farne altrimenti.
Non ho mai potuto fare altro che accettare l'inesorabilità di ciò che mi accade e semplicemente esserne pronto, piuttosto che rifiutarlo categoricamente.
Piuttosto che lottare.

Lottare fa male.
I tagli fanno male.
I graffi, gli schiaffi, i pugni fanno male.
E non parlo di quelli che avrei tanto voluto ricevere al momento giusto, per diventare uno degli altri.
Parlo di quelli a cui avrei rinunciato ben volentieri, visto che il dono della consapevolezza non sembra poi così utile a questo mondo.
Parlo di quelli che, anche non lottando, puoi far finta di nascondere, perché di fronte agli occhi non si riveleranno mai, anche quando non si ha più nulla addosso.
Parlo di quelli che un giorno avrò sulla mia anima, quando finalmente mi alzerò in piedi per lottare.

Come se per uno come me, chiuso nella propria autocommiserazione come un cieco lasciato a marcire in una stanza di cui non può vedere l'enorme porta aperta di fronte al proprio naso, esistesse una qualunque lotta da combattere.

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