03 ∙ Arrivo catastrofico a Dragon Amleto

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. ━━ 1996, INGHILTERRA
Londra

Percy poco prima si era lamentato della scomodità di quel teletrasporto aereo tipico degli dèi. E cavoli, a confronto di viaggiare nel tempo sia il teletrasporto, sia i viaggi nell'ombra di Nico, sia attraversare l'Oceano e il Mediterraneo a bordo di una trireme volante erano crociere deluxe con idromassaggio gratis.

Dei viaggi-ombra il semidio ricordava solo la velocità disumana: perché infatti non erano semplici "teletrasporti", bensì una sorta di taxi espresso che le creature degli Inferi utilizzavano a loro vantaggio. Al contrario, Percy ricordava fin troppo bene lo stress del dover raggiungere Roma sull'Argo II. Esperienza che non desiderava ripetere tanto presto.

Ma, comunque, il semidio stimò che viaggiare nel tempo era almeno dieci volte più veloce dei viaggi nell'ombra, venti volte più stressante di fare il giro del mondo su una nave volante con mostri alle calcagna, tre volte più doloroso di bere il sangue di una Gorgone e, per concludere, irregolare quel tanto che basta per far venire la nausea a un figlio di Poseidone.

«SIA DANNATO IL DIO DELLA GRAVITÀ!» urlò all'improvviso Leo, non appena la tortura del viaggetto extratemporale si concluse.

Oh, meno male, è finita!, si disse Percy sollevato, tentando di non vomitare i pasti del mese addietro. Ma solo un secondo dopo, tutto il suo sollievo svanì. Quello dopo ancora, aveva iniziato a inveire contro l'Olimpo esattamente come stavano facendo Leo e Nico, mentre tutti loro precipitavano nel vuoto.

Erano infatti "apparsi" a circa duecento di metri da terra, sopra una città che suppose fosse Londra. E il fatto che nessuno di loro fosse munito di paracadute, bensì di stupidi bauli eccessivamente pesanti, non aiutava.

«JASON», gridarono i ragazzi all'unanime. «CONTROLLA I VENTI!»

Il figlio di Giove, però, sembrava stesse male fisicamente almeno quanto Percy – ovvero aveva la faccia di uno che stava racimolando la sua forza di volontà residua per non vomitare. Decisamente non sembrava avere neanche la forza per salvarsi da solo, figurarsi di salvare tutti loro.

Percy lo capiva, ma in quel momento non era nella posizione adeguata per essere comprensivo: soprattutto per un figlio di Poseidone, morire dopo essersi schiantato a terra da un'altezza non trascurabile non era il massimo. Quindi, attualmente, della salute del suo amico gli interessava il giusto.

Ci pensò Annabeth a farli tornare con la testa sulle spalle, e successivamente con i piedi a terra: «Piantatela di fare i deficienti!» lì sgridò, urlando per farsi sentire nel vento. «Leo, sei sopravvissuto all'atterraggio di Ogigia con uno stupido elicottero fatto male, datti un contegno!»

Per fortuna, le proteste del figlio di Efesto a quel "fatto male" non si udirono.

«Percy, Nico: siete caduti nel Tartaro, sul serio andate nel panico per così poco?» proseguì Annabeth, severa.

«Ma quello sotto di noi non è il Tartaro!» ribatté il figlio d'Ade. «È la Londra del 1996, se non l'hai capito! E non sono per niente sereno, a riguardo.»

Lei lo ignorò, e si rivolse a tutti loro: «Ragazzi, sul serio: abbiamo passato di peggio, molto peggio. Quindi, nervi saldi e vedrete che la soluzione è più banale di quanto non pensiate.»

Il terreno si avvicinava. Mancavano forse cento metri, se non meno. Lo sconforto si stava facendo sentire.

Se fossero stati nel pieno delle loro forze, era naturale che non ci sarebbe voluto nulla: ognuno di loro sarebbe stato perfettamente in grado di salvarsi da solo. Ma il viaggio nel tempo li aveva parecchio scombussolati, e solo il pensiero di usare uno dei loro poteri era al limite dell'assurdo.

L'ANIMA NON MUORE ─ crossover hp!hooDove le storie prendono vita. Scoprilo ora