𝐕𝐈𝐈𝐈 : 𝐩𝐚𝐧𝐢𝐜

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"𝐈𝐬𝐚..."

|𝐒𝐎𝐍𝐆 𝐅𝐎𝐑 𝐓𝐇𝐄 𝐂𝐇𝐀𝐏𝐓𝐄𝐑:|
|𝐒𝐀𝐌𝐄 𝐎𝐋𝐃 𝐋𝐎𝐕𝐄|
|𝐁𝐘 𝐒𝐄𝐋𝐄𝐍𝐀 𝐆𝐎𝐌𝐄𝐙|

𝐀𝐩𝐫𝐢𝐥 𝟐𝟔𝐭𝐡 𝟐𝟎𝟐𝟓
𝟐:𝟎𝟗 𝐀.𝐌.
𝐋𝐨𝐧𝐝𝐨𝐧, 𝐄𝐧𝐠𝐥𝐚𝐧𝐝, 𝐔𝐊

*Mi chiese il consenso con gli occhi, aveva le braccia ai lati del mio capo e mi guardava con sorprendente malizia, che non caratterizzava Justin

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Mi chiese il consenso con gli occhi, aveva le braccia ai lati del mio capo e mi guardava con sorprendente malizia, che non caratterizzava Justin. Mi sembrava così diverso da ieri sera...mi stupii.
Si leccò il labbro inferiore e letteralmente stracciò la sottana blu notte dai ricami floreali, godendo della vista del mio seno nudo. Iniziò con una lenta tortura assaporando la mia pelle, attraverso collo, clavicole e i miei seni, guardati anche troppe volte. Con forza tenne le mani sulla mia vita, quasi a volermi possedere. Successivamente le spostò ai miei slip, dove per toglierli mi diede anche delle palpate al fondoschiena, mi schifai quasi di quella visione di Justin.
Ma avevo acconsentito e lui non si sarebbe fermato ora. Si privò anche lui dell'unica cosa che indossava ed entrò fortemente dentro di me, penetrandomi a sangue, non mento.
Trattenni le lacrime mentre lui afferrò un lembo del lenzuolo per la troppa eccitazione. Io provavo tutto fuorché quelle emozioni. Volevo solo fuggire, volevo solo che quei tre anni passassero in fretta. Ma la parte più debole (e forse più ragionevole) mi indicava che l'uomo che mi aveva tolto quella notte la verginità, stupidamente lo amavo.
*

Calde lacrime scesero sul mio volto, ricordando il tragico episodio, ma soprattutto ricordai Justin e pensai come potesse essere così ingannevole quell'uomo. Andai in bagno dove mi rifugiavo ogni qual volta un incubo faceva capolino la notte. Perché succedeva a me?
Cosa facevo di male? Forse scappare da Justin era il male?
No, non l'avrei mai ferito quanto lui aveva fatto con me...
Perché la piccola differenza tra noi era che io lo amavo, lui no.
Oramai prendere sonno era inutile, decisi di andare fuori, sul balcone a prendere fresco giusto per schiarirmi le idee.
Mi mantenni tramite la balaustra mentre il leggero vento di Londra mi colpiva, così come il mio pigiama già troppo estivo.
Non riuscivo a non pensare per un secondo a Justin eppure in questi anni i miei pensieri non si rivolgevano mai più di tanto a lui, ma lo sentivo più vicino che mai. Sentivo che sarebbe tornato anche solo con il pensiero, ne ebbi il timore.
La brezza fresca era l'ideale per i miei occhi ormai troppo assonnati ma allo stesso tempo volenterosi di non chiudersi più. Era già la quinta volta quel mese che facevo incubi riguardanti Justin ma non mi capitava mai di pensarci per più di cinque minuti. Pensavo fosse il caso, ma la quinta volta no.
Morivo di freddo allo stesso tempo, Londra era il posto giusto al momento sbagliato, mi dicevo sempre. Mi sarebbe piaciuta viverla negli anni della mia adolescenza o magari quando o se avrei formato una famiglia.
Ma non ora, non ora che pensieri passati e che mi ferivano venivano a galla.
Decisi che sarei andata a fare una passeggiata notturna, ricordavo Justin lo facesse per schiarirsi le idee, non si allontanava tanto. Mi rassicurava sporgendosi dal mio lato del letto per darmi un bacino sulla guancia, lo guardavo sempre sfrecciare via sull'auto, non facendomi notare troppo. Si, mi piaceva quando lo faceva, quando si preoccupava che stessi bene proprio come, nel mio piccolo, volevo che quelle notti non gli capitasse nulla.
Indossai una tuta e un caldo maglione, Nike basse avorio e una borsa abbastanza ampia da mettere cose per ogni evenienza.
Lavai i denti anche troppo rapidamente, facendo poi il risciacquo di collutorio.
Strinsi le chiavi, essendo ancora incerta di quell'uscita.
Presi la bici, ancora accostata da mesi nel semi giardinetto condominiale, color tiffany da incisioni rosse, che citavano "With love, your Juss".
Come facevo a dimenticarlo se era dietro l'angolo?
Al catenaccio c'era ancora appeso il lucchetto, con la sua iniziale e un cuore. Il mio sedicesimo compleanno mi porto a Los Angeles dalla nonna, che fu contenta di ritrovarci felici insieme, pranzammo lì e invito suoi amici, tra cui il famoso Harold...artefice della mia prima litigata con lui.
Dopo la squisita torta alle fragole e crema, il pomeriggio raggiungemmo il luna park, dove sulla ruota panoramica ci dedicammo ad un appassionato bacio.
La sera andammo Venice Beach, dove feci il mio primo bagno di notte. Ed in fine ci concedemmo a fare l'amore, affittò per me e lui una casetta grezza in spiaggia. La notte più bella della nostra vita, pensai.
Pedalai per un po' finché non mi trovai in una strada fitta, cercai di stringermi il misero maglione che indossavo addosso.
Frenai, sentendo gemiti di dolore, le scarpe si sporcarono leggermente della ghiaia, ma poco importava. Cacciai il coltellino a portata di mano dalla borsa, avvicinandomi al raccapricciante muro da dove provenivano i rumori.
E poi, il vuoto. Ebbi l'impressione che il mio cuore si fermò appena vidi Justin che giaceva per terra, ancora in vita fortunatamente. Non ci pensai un attimo e lo misi alzato per il busto, con la camicia e i capelli sporchi di ghiaia.
Inumidii le labbra, guardando con tristezza gli occhi di colui che mi rubava sempre un sorriso.
"Isa..." sussurrò di gola, sorridendomi successivamente, quasi non mi scese una lacrima a vederlo così malconcio. Erano tanti i graffi che solcavano il suo volto e pensai di uccidere chi glieli avesse procurati. Il mio tesoro, Justin...non gli si addiceva la parte del debole, era forte, impavido e coraggioso, ma quella notte lo vidi diverso, indebolito. "Ti porto a casa mia" affermai senza ripensamenti, gli presi la mano e a quel contatto percepii un suo tremolio. "Sei venuto con l'auto?" gli chiesi, lo vidi annuire lentamente, infastidito da un livido alla mandibola, titubante gli carezzai il volto.
Era solo il caso che mi comportassi così, Justin era traumatizzato dall'accaduto, o forse no...
Mi diede le chiavi e, una volta aperto il veicolo, non pensai due volte a stenderlo sui sedili posteriori, certo, con un po' di fatica. Mi misi alla guida, non prima di montare la bici in cima all'auto, con le lacrime che lottavano per uscire, ma non potevo demoralizzare Justin ulteriormente.
Arrivammo fino al piccolo appartamento di sobborgo che corrispondeva alla mia casa, avendo avvertito la sensazione che fossimo arrivati, il biondo si alzò di busto, procurandosi altro dolore alla schiena, anch'essa dolente.
Mi affrettai ad uscire per aprire lo sportello e aiutarlo, ma con sorpresa, fece da solo...facendomi sentire un po' inutile.
Nonostante ciò, lo tenni sotto braccio, mentre entrambi mettemmo le mani al caldo da quella gelida notte.
Prendemmo l'ascensore, non lasciandoci mai, sarebbe stato troppo staccarsi improvvisamente.
Ma quello stesso giorno, tutto sarebbe tornato nella norma.
Non potevo permettermi di fare altri errori.
Ci dirigemmo alla porta che, una volta aperta, mi chiusi alle spalle, concludendo così anche una pessima passeggiata.
"Lascia che ti medichi" mi sembrava un cliché, speravo solo che il destino non ci lasciasse baciare, non potevo provare più quei sentimenti. "Non vorrei ti scomodassi Isabelle..." scandì con troppa freddezza il mio nome, ma non potevo aspettarmi altro che quello, alla fine ero stata io ad abbandonarlo.
"Non mi dispiace e poi non puoi rimanere così" iniziai a girovagare per casa in cerca del disinfettante e cotone. Si appoggiò alla mia cucina a penisola, che mi ricordava tanto la sua. Alzandomi in punta di piedi, gli legai quei pochi ciuffi che gli coprivano il volto, ridacchiò per la strana acconciatura pur non essendosi visto.
Con cura sanai le cruente ferite, promettendo a me stessa di non piangerci su, ma vederlo così mi dava troppo dolore. I nasi si sfiorarono e giurai a me stessa che quel cliché di cui parlavo prima sarebbe stato la mia morte. Non appena feci per disinfettare l'ennesimo taglio, stavolta al labbro inferiore, bloccò la mia mano nella sua più grande, baciandomi poi.
Mi affrettai a scansarlo via, ma sembrava non volersi staccare, fregandosene di ciò che avrebbe fatto succedere da lì a poco.
Pregai con tutta me stessa che quel bacio in qualche modo mi schifasse, ma era più forte di me, lo desideravo dal momento che lasciai la casa di Justin.
"Justin..." cercai di parlargli, ma le sue morbide labbra morsero le mie, terrorizzandomi.
Camminò con me stretta tra le sue braccia, implorante di smettere quel maledetto gioco. Raggiungemmo la mia camera, fredda a quell'ora.
Sussultai non appena mi fece sdraiare sul letto, cazzo no...
Ebbi la possibilità di parlargli, così feci, finalmente. "È sbagliato, finiamola qui, Justin" sbraitai, le emozioni presero il sopravvento ed ebbi l'impressione che da lì a poco mi sarebbe venuto un attacco.
"So che lo vuoi quanto lo voglio io" cercai invano di trattenerlo dal piegarsi ulteriormente su di me. "Se davvero mi ami come hai giurato per questi anni, lasciami andare" il cumulo di emozioni fece capolino, scoppiai e piansi.
Justin strisciò con me abbracciata al suo torace verso la spalliera del letto, aggiustando il cuscino dietro il mio capo.
"Tranquilla, ti ricordi le parole della dottoressa? Respira assieme a me" mi controllò il polso, negli anni molteplici erano stati gli attacchi di panico seguiti da svenimenti, a Justin venne insegnato come misurarmi la pressione.
Tremavo, sperando che mi calmassi il più velocemente possibile.
Mi stette accanto per tutto il tempo, insinuando di tanto in tanto le dita tra i miei capelli, il che mi fece sorridere.
Mi aspetto, così tanto che ci addormentammo ancorati l'uno all'altra.

𝐮𝐧𝐝𝐞𝐫 𝐫𝐞𝐯𝐢𝐬𝐢𝐨𝐧 ✔︎
𝟏𝟓𝟒𝟎 𝐰𝐨𝐫𝐝𝐬

𝐦𝐲 𝐬𝐩𝐚𝐜𝐞:
Ciao a tuttiiii! Ottavo capitolo, ho passato l'intera sera a lavorarci su, spero sia valsa la pena. Spero piaccia e...ciao♥︎!

il nono capitolo lo trovi qui☟︎

 𝑾𝒉𝒂𝒕 𝒍𝒐𝒗𝒆 𝒅𝒐𝒆𝒔- 𝒋𝒃Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora