"Smettila di mangiarti le unghie, ti potrebbe uscire sangue." La voce dura del padre arrivò alle orecchie di Amelia, costringendola ad allontanare le dita dalla bocca, mentre continuava a sbattere il piede contro il pavimento.
In quel posto era tutto così bianco, troppo secondo lei, associato ad una luce che la faceva sentire malata, visto come sembrasse quasi un ospedale. Sapeva di non esserlo, malata, sapeva anche di non essere pazza, sapeva che il suo era solo un problema che avrebbe potuto risolvere. O forse non sapeva nulla nulla, e cercava solo di auto convincersi che tutto sarebbe andato bene, che sarebbe presto tornata alla sua vita di prima, anche se poco ricordava del periodo in cui il cibo non la spaventava quanto lo faceva allora.
"Credo che mangiarmi le unghie sia l'ultimo dei miei problemi al momento." Gli rispose.
Il tono di risentimento, quasi di sfida, era evidente nella sua voce; il che le fece ricevere un occhiataccia da parte dell'uomo, che in tutta questa situazione mai sembrava averla supportata a pieno. Era come se facesse di tutto per non farla peggiorare, ma solo nel suo di interesse, non con l'intento di far star davvero bene lei.
Sua madre invece guardava distrattamente fuori dalla finestra di quella sala d'attesa, che dava una vista poco definita della zona esterna di Bergamo. Nessuna parola mai sarebbe stata adatta a descrivere i sensi di colpa che provava la ragazza nei suoi confronti, ma in quel momento prevaleva più l'astio per averla portata in una clinica professionale, specializzata nella cura di disturbi alimentari.
'Lontano dal rumore della città, dai disturbi mondani, dai giudizi altrui.' La frase motivazionale scritta sul sito internet informativo di quel posto era solo parte del motivo per cui Amelia lo odiasse così tanto, affiancato alla consapevolezza che evidentemente ci fosse qualcosa che non andava in lei, qualcosa da correggere, da aggiustare.
Suo padre fece per aprire la bocca, forse per ribattere, sgridarla, oppure ricordarle per l'ennesima volta che, se era lì, era solo perché non aveva avuto la forza di rialzarsi da sola, che se avesse dovuto scegliere lui, probabilmente, le avrebbe fatto ingoiare il cibo che non riusciva a mangiare con la forza. Tuttavia, prima che potesse spiccicare parola, sua madre sembrò svegliarsi dal suo stato di trance, interrompendolo.
"Lasciala stare, lei qui non ci voleva nemmeno venire." Affermò con tono freddo, facendo calare il silenzio tra loro.
Un silenzio fastidioso, che sapeva di disagio, paura, forse anche delusione. Un silenzio che faceva salire all'adolescente i conati di vomito, difficili da trattenere, ma ai quali era ormai abituata. Avrebbe potuto alzarsi, andare in bagno e fare ciò che credeva le riuscisse meglio, ma se in quel momento solamente ci avesse provato, i suoi l'avrebbero scoperta. E se non l'avessero scoperta loro, sicuramente qualcuno tra il personale lo avrebbe fatto.
Quando era diventato quello il loro rapporto? Era stata davvero tutta colpa sua? Era solo la rovina della serenità all'interno della sua famiglia?
Non si accorse della porta che si aprì e dell'uomo alto e stranamente attraente che ne uscì, finché non vide sua madre alzarsi, seguita da suo padre, per stringergli la mano. Amelia pensò che quello dovesse essere il proprietario, oppure il direttore di quel luogo.
Dopo aver salutato i suoi genitori, l'uomo rivolse la sua attenzione a lei, sorridendole gentilmente, per poi accarezzarle delicatamente il braccio.
Di solito, quando qualcuno anche solo la sfiorava, lei tendeva ad irrigidirsi. Sapeva di far paura, per il suo fisico, il suo peso, il colore della suo pelle pallida. Era ciò che derivava dal suo disturbo alimentare, e nonostante lei fosse consapevole che gli altri vedessero il contrario, continuava a vedersi ogni giorno più grassa.Però quell'uomo non l'aveva fatta sentire a disagio come avevano fatto sempre tutti, non l'aveva guardata con gli occhi di pietà con cui la fissavano gli altri; le aveva invece trasmesso una sicurezza che non provava da tanto tempo.
"Tu devi essere Amelia. Piacere, sono Raimondo, dirigo questa prigione." Si presentò ridendo, tendendole la mano.
"Piacere." Rispose a bassa voce, stringendogliela con titubanza.
"Ammazza che stretta, attenta casomai mi rompi la mano eh." Scherzò, facendola ridacchiare leggermente. Poi ricominciò a parlare. "Allora, non voglio annoiarti con le robe burocratiche, quindi ora io entro nel mio ufficio con i tuoi genitori, mentre tu sarai accompagnata da uno dei ragazzi nella sala comune." Concluse il suo discorso, sfoggiandole un sorriso.
La ragazza annuì, guardandosi attorno, cercando chi fosse la persona in questione. A catturare subito la sua attenzione fu un ragazzo alto, non troppo magro ma evidentemente sottopeso. I capelli scuri e ricci, non troppo lunghi, ricadevano sulla sua fronte e i suoi occhi sembravano essere contornati da un filo di matita nera.
Il suo sguardo era perso nel vuoto, e distrattamente mangiucchiava le pellicine sulle sue dita. Amelia sorrise a quella vista, pensando che probabilmente anche lei avesse il suo stesso aspetto la maggior parte del tempo."Vedo che hai già adocchiato il tuo accompagnatore." La ragazza si girò incontrando la faccia di Raimondo, che sorrise alla scena del ragazzo.
Abbassò lo sguardo leggermente imbarazzata, la vergogna per essere appena stata scoperta a fissare una persona che nemmeno conosceva era tanta, ma allo stesso tempo si sentiva elettrizzata al pensiero che dopo poco avrebbe potuto parlargli. La intrigava quel ragazzo, sembrava avere un'aura misteriosa attorno a lui che la attirava pienamente.
"Chri, vieni qui!" Esclamò Raimondo, e il ragazzo, che inizialmente si spaventò per la sua voce, si girò verso di loro.
Solo quando si avvicinò di più, Amelia riuscì a guardare meglio il suo viso, ricoperto da così tante lentiggini che spiccavano sulla sua pelle lattea. I suoi occhi, che a primo impatto sarebbero potuti sembrare marrone chiaro, rivelavano diverse sfumature tendenti al verde, insieme a una sorta di malinconia che si faceva spazio nelle sue iridi vitree.
"Ciao, piacere Christian." Accennò un sorriso, ma la ragazza riconobbe nella sua voce una consapevolezza e una tristezza che aleggiava ovunque tra quelle mura.
"Amelia." Gli sorrise sinceramente, rivedendosi quasi in lui.
"Allora, qui il nostro Chri ti farà da guida turistica, ma comunque noi ci vediamo dopo." Raimondo si allontanò, chiudendosi nel suo ufficio insieme ai genitori della giovane.
Lei perse un battito quando realizzò che probabilmente, una volta usciti dallo studio, l'avrebbero salutata e lei non avrebbe potuto vederli per non sapeva quanto tempo.
Christian sembrò rendersi conto del suo sguardo diretto verso la porta ormai chiusa, allora schioccò le dita davanti ai suoi occhi, ridendo quando vide la sorpresa in essi."Li rivedrai i tuoi, possono venire a trovarti quando vuoi." Cercò di rassicurarla, ricevendo come risposta un si sussurrato, accompagnato dalla testa che annuiva.
"Dai, andiamo." Le disse poi, iniziando a camminare verso un corridoio, aspettando che Amelia lo seguisse.
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Candida. |Christian Stefanelli
Fiksi PenggemarA catturare subito la sua attenzione fu un ragazzo alto, non troppo magro ma evidentemente sottopeso. I capelli scuri e ricci, non troppo lunghi, ricadevano sulla sua fronte e i suoi occhi sembravano essere contornati da un filo di matita nera. Il s...