Dopo gli ultimi avvenimenti i giorni si susseguirono con immediatezza e durante le notti mi barricai con attenzione all'interno dei miei spazi. In quelle giornate ebbi inoltre modo di perlustrare tutti gli anfratti della struttura, cronografai le albe e i crepuscoli con fare minuzioso, al fine di aver dati più certi. Mi vietai di uscire dopo il tramonto, poiché le vibrazioni negative che l'avvento dello scuro produceva mi terrorizzavano sin nell'inconscio. Il mio sonno fu celermente disturbato dalle ansie di cui inevitabilmente fui rappreso e per tenere la mente occupata lessi in abbondanza gli indomabili e fantasiosi scritti di Guy de Maupassant.
Durante le ore notturne mi abbandonai ad angoscianti passeggiate di commiserazione fra un piano e l'altro, mi proposi persino di contare gli scalini che si arrampicavano per tutto il faro. Nessuna distrazione servì a rimuovere dalla mia mente quei pensieri, quelle impossibili farneticazioni visive a cui fui esposto. Le mie energie si affievolirono e le mie sensazioni si sbiadirono, come sfaldate dalla paura e da una forma di abiezione. Quando il buio inghiottiva pure le onde sentivo il febbrile e immondo calpestio di quelle creature, uno strascichio che mi procurava un irreale prurigine psichica e che mi condannava a una tortura psicologica insormontabile.
Dalle finestre scrutavo ogni notte quell'infernale marcia demoniaca, un macabro corteo di corpi purulenti e a malapena percettibili sviscerava tutta la scogliera e ogni anfratto possibile, come alla ricerca di qualcosa. Una di quelle notti scesi al piano inferiore e tra un delirio e un altro riposai gli occhi su quello specchio, mi avvicinai con circospezione e quando lo girai non vidi nessuna superfice su cui specchiarmi, ma un buco vuoto e nero. Ricordo che pieno di sgomento borbottai: «Dove diavolo è finito il vetro? Sembra più una porta adesso». Quel che feci in seguito potrei giustificarlo solo per timore di essere considerato un pazzo.
Senza alcuna remora infilai un braccio attraverso quel buio piano e l'arto sembrò scomparire oltre di esso, a seguire mi immersi interamente e dopo alcuni secondi di smarrimento mi ritrovai in un luogo sordo da ogni rumore. Quella regione sembrava torva e inospitale: ogni cosa apparve ricoperta da un lurido liquame dallo scuro registro, l'esotica vegetazione inusuale si presentò scarna e imputridita da una specie di inchiostro, che in grande quantità ricopriva gran parte del territorio. La luce con la quale potei riconoscere tutto questo era irradiata da alcune stelle tagliate a metà e che riuscii a svelare in lontananza, oltre quello che mi parve un cielo grigio e tenebroso. Di quale visione fui partecipe? Dietro di me riconobbi la forma dello specchio, che come un fendente se ne stava immobile, come un occhio da un'altra dimensione.
Fu lì che profondamente turbato mi rigettai oltre la fenditura e ritornai nella mia realtà, rigirai lo specchio verso il muro e corsi nei miei alloggi in pieno affanno. Dopo alcune ore atte a che la mia psiche ritornasse savia provai a collegare i punti. «E se le creature stessero cercando quella porta? Forse è da lì che sono uscite, forse avevano attraversato quella soglia in un punto non definito nel tempo e sono rimaste intrappolate in questo scoglio». Questo fu il mio ragionamento, ma confesso che all'epoca fu una rivelazione troppo spaventevole per essere vera. Dopo quella notte tutto mi fu più chiaro o almeno così credetti.
Lo specchio era una soglia per un terribile mondo di infausti destini, un varco che portava in un luogo che nessun vivente dovrebbe vedere e che nessun defunto dovrebbe patire. Quale miserevole futuro stavo profetizzando? La commiserazione vacua di quei giorni mi portò verso una dolce follia, una delirante dissennatezza psicologica che mi cambiò per sempre. Da lì a poco persi il senso del tempo e con ansia provai ad aspettare giorno dopo giorno l'arrivo di Serge, come ultimo segno di conforto. Ma dove sarei potuto andare? Le bipedi creature che infestano la terraferma erano forse meglio dei miei notturni compagni inumani?
A quell'agghiacciante domanda accostai un forte sentimento di ripugnanza e diniego, un'ammorbante repulsione per la vita e per i viventi, quale esistenza fu inutile quanto la mia. Sul finire di quei pensamenti diedi il commiato alla luce delle stelle e dopo un ultimo sguardo alle brulicanti creature svenni esausto sul letto. La mattina seguente sentii la campanella del battello di Serge e in un tonfo di trionfo mi alzai dal letto e mi precipitai alle scale. I raggi del sole mi apparvero malati e il cielo si stagliava limpido. Quando arrivai al molo fui felicissimo di rivedere il mio solitario amico e con fare ossequioso lo salutai: «Salut mon amie, la chair est faible!» esclamai con leggerezza. Dopo che Serge gettò l'ancora si avvicinò a riva e in maniera compunta disse: «Signor Collins, che cosa vi è successo?» domandò con stupore.
In tutta risposta dissi: «A cosa vi riferite? Ah, il mio aspetto? Beh, vedete, non ho avuto modo di riposare molto ultimamente, sono vittima di una forma di stanchezza cerebrale, ho delle allucinazioni visive, durante la notte mi è parso persino di scorgere delle ombre che in guisa umana invadevano di soppiatto l'intero scoglio. Forse il vento della pazzia mi ha finalmente raggiunto». Con pacatezza Serge ripose le ultime casse sul molo e continuò il suo discorso: «Signor Collins, non credo che dovreste rimanere qui, questo lavoro è maledetto e non lascia superstiti. Il povero Peters morì in circostanze poco chiare, non voglio che anche voi facciate la sua stessa fine, fuggite da qui prima che sia troppo tardi. Su, lasciate ogni cosa e salite, vi porto a Portland».
In un barlume di moribonda indulgenza indugiai: «Ditemi, cosa è successo fra questi scogli?» A quel punto, dopo alcuni passi di desolazione, Serge si sedette sul finire della prua e con fare remissivo elargì i suoi pensieri. «Un mese dopo che voi prendeste servizio, il signor Peters morì, andai spesso a trovarlo durante le settimane precedenti e fu durante quelle visite che mi raccontò una storia alquanto bizzarra. Disse che un giorno, in una notte di sangue e tormentata da un cielo dalle fattezze sadiche, una nave in pieno smarrimento attraccò in questo molo e gli uomini che ne discesero sembrarono vittime di una qualche tremenda malattia sconosciuta.
Quando il povero Peters cercò di aiutarli si rese conto che il male che avviluppava quelle genti non era terreno, il carico che trasportavano non era nulla di eccezionale, ma in fretta e in furia scaricarono sulla riva uno specchio. Era oblungo e a una semplice vista gli apparve di scarsa fattura. Gli uomini ne sembravano terrorizzati, i volti deformati da mesi di malattia sfinirono i restanti membri dell'equipaggio in poche ore e da lì a poco il signor Peters si ritrovò con gli scogli pieni di cadaveri infetti. Dopo che ebbe ad avvertici tramite telegrafo arrivammo quanto prima al faro e quello che vedemmo fu sconcertante. I cadaveri sembrarono flagellati da un qualche tipo di male, forse una forma aggravata di colera, una degenerante infezione esotica o forse qualcosa di inumano e diabolico.
Uno degli uomini in punto di morte vociferò che la nave proveniva dall'India e che laggiù avevano vagato a lungo alla ricerca del grande Mumiah, un semidio dalle sembianze umane. Dopo mesi di peregrinaggio arrivarono in uno sperduto tempio incavato nella roccia bruna, al suo interno trovarono un modesto altare in basalto con iscrizioni amorfe e incomprensibili. La grotta veniva probabilmente usata come rifugio per profanatori di tombe e insulsi ladri da forca. Fu così che insieme al loro capitano trafugarono qualche oggetto di valore, alcuni frammenti di sculture e un modesto specchio. Durante il viaggio di ritorno l'equipaggio iniziò ad ammalarsi e dopo settimane di cieca follia arrivarono a destinazione. Il faro fu tuttavia la loro tomba».
Congiuntamente a quell'incredibile racconto maturò in me un senso di repulsione e gli occhi di Serge si riempirono di amarezza. Adesso conoscevo la storia di quell'oggetto e non potevo più ignorare il mio senso logico. Privo di qualsiasi emozione esclamai: «Lo specchio è ancora qui!»
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Il Faro di Portland
Mystery / ThrillerUna volta mi chiamavano Harold Collins, ma non ne sono più così certo. Il passato e il presente adesso mi appaiono come farneticazioni del tempo. Rumori ed errori di una infinita sequenza di cruda abominazione e rifiuto, ma qual è il nostro vero pos...