Ci sono le tue calze rotte la notte in cui ti sei ubriacato
C'è ancora lì sul pianoforte una sciarpa blu
Ci sono le tue carte e il tuo profumo è ancora in questa casa
E proprio lì dove ti ho immaginato
C'eri tu*
La luce del sole si posò indisturbata nella parte destra del volto di Manuel, con una prepotenza inaudita, costringendolo ad affondare il volto nel cuscino. 'Non un altro giorno' fu il suo primo pensiero.
Non altra sofferenza, non ne aveva assolutamente bisogno. Eppure si era svegliato, di nuovo, un altra volta. Era passata una settimana e mezzo e lui continuava a desiderare di addormentarsi e dormire un sonno eterno. L'assenza di Simone era come al solito un enorme macigno nel petto. Solo, era l'unica parola che lo poteva descrivere al momento.
Rantolò fuori dal letto sentendo tutto il suo corpo pesare come il piombo. Senza riuscire ad alzare i piedi dal pavimento cercò di arrivare al bagno. Entro un'ora sarebbe dovuto essere al lavoro. Aveva accettato uno straordinario nello squallido bar dove lavorava, nonostante il sabato fosse il suo giorno libero.
Ma lui di libero non voleva avere neanche un attimo. Non voleva aver la possibilità di fermarsi a pensare, di fermarsi a realizzare. Di quello si trattava, realizzare, da una parte accettare. Elaborare.
Ma non ne era capace, non era pronto, non era quel che voleva. Vivere in un ricordo era letteralmente la cosa più difficile che potesse fare eppure la sentiva più facile, più fattibile. Non sarebbe sceso a compromessi con la realtà. Non avrebbe retto il colpo, sicuramente.
Il suo telefono abbandonato per terra iniziò a vibrare e il ronzio gli arrivò diretto alle orecchie, facendolo sussultare leggermente e spezzando il silenzio assoluto che ormai faceva da padrone nell'appartamento. Dall'orologio al suo polso riuscì a vedere il nome di sua madre, decidendo così di ignorare la chiamata insieme alla fitta al petto che ogni volta gli provocava vedere al suo polso il regalo che Simone gli aveva fatto per compleanno. Ma non riusciva a toglierlo, lo sentiva ancorato alla pelle, come se fosse diventato parte di essa, fuso con le sue cellule epiteliali.
Dopo 5 minuti buoni in cui si era immerso la faccia svariate volte nell'acqua fredda decise che era il momento di prepararsi. Evitò la doccia dove ancora giacevano per terra il bagnoschiuma al muschio bianco di Simone e la sua spugna verde.
Decisamente non era pronto. Tornò in camera, raccogliendo il cellulare, scansando il lenzuolo che lo ricopriva in parte. Rivelando però in quel modo un altro dettaglio, risalente solo a qualche sera prima.
*
Simone aveva decisamente bevuto troppo. Quella festa di ritrovo era stata inaspettatamente bella e piena di emozioni. A tutti, per una sera, era sembrato di essere tornati al liceo. Invece erano tutti così cambiati, tutti cresciuti e più o meno maturati.
Eppure nell'ebrezza di quella ventata di aria di liceo, la serata avevano deciso di finirla in discoteca, in mezzo a ragazzini decisamente più piccoli di loro, in mezzo a corpi sudati, a drink appiccicosi per terra e sigarette fumate solo per metà.
E Simone si era comportato come un ragazzino. Aveva bevuto, dimenticandosi probabilmente che lui l'alcol non lo reggeva proprio. Ma fomentato dagli ex compagni, l'alcol aveva un sapore diverso. Sapeva di cambio della monotonia in cui si sentiva confinato.
Andava tutto bene nel fumo in cui la sua mente si trovava in quel momento, i problemi con Manuel non erano che uno sfondo poco rumoroso, un brusio lontano e indistinto, che ormai non lo disturbava più. Almeno, non lo disturbava finché la mano di Manuel gli si attanagliò al bicipite, stretta in una morsa fatta apposta per far male.