2 - Le parole lontane

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"... Che sento l'ansia che sale,
bevo le lacrime amare.
Ti prego lasciami perdere
dentro l'acqua del mare,
che le parole lontane
giuro te le voglio urlare."

La schiena curva, le dita scivolose e malferme intente a pizzicare le corde della sua chitarra.
Manuel canticchia quella canzone nella sua testa, lo fa pensando a lui, a loro, a quello che hanno appena buttato al vento, ai sogni spezzati.

Una convivenza che dura, durava, da tre anni e mezzo e adesso, come nuvole che lasciano spazio alla luce del sole, sembra aver concluso il suo percorso.
Solo che, in questo caso, alcuna luce viene liberata dopo il passaggio, restano le ombre.
Ombre come quelle che adesso risucchiano Manuel in un vortice di silenzio, in piena notte, nel soggiorno buio.

Se ne sta con la chitarra posata sulla gamba piegata, le braccia come ad avvolgerla, come a fingere che possa trovare conforto in quello strumento.

"Il tempo brucerà
tutti i fogli che parlan di te.
Piangerai con me sotto il sole
poi diluvierà,
per portare via le parole
forse inutili,
canteremo insieme ma restando muti."

Manuel ripassa a mente quelle parole, che scorrono a rilento come gli accordi che cerca di portare a termine con grande fatica.
Lui non canta mai, è sempre Simone ad accompagnarlo nei momenti in cui ha voglia di suonare.
È stonato, veramente tanto stonato, ma Manuel ama da morire la sua voce altalenante quando cerca di cimentarsi negli acuti.

Manuel immagina la sua figura. Riesce a percepirlo proprio lì, seduto accanto a lui, con gli occhi sorridenti e le fossette agli angoli della bocca.
Lo vede distendersi, a un certo punto, e cantare con le braccia dietro la nuca mentre una gamba si muove in un tic nervoso seguendo il ritmo della canzone.
Perché Simone è così, fermo non riesce a stare mai.

"Adesso portami a casa
che mi spaventa l'inverno
e le gambe stanno cedendo,
non vedi che ho troppo freddo?"

A quel punto scosta la chitarra con un solo gesto brusco, la lascia scivolare a terra incurante che possa saltare una corda e graffiarsi il legno.
Vuole smettere di sentir risuonare quelle parole nella sua testa come in una lenta agonia.

Si sente quasi in colpa ad aver sbattuto Simone fuori, ad averlo lasciato a cercarsi un posto.
Sa già che, probabilmente, passerà la notte a vagare in macchina da solo e proprio non riesce a non preoccuparsi per lui.

Si porta le mani sul viso, gli viene quasi da graffiarsi e strapparsi via la pelle.
Recupera il cellulare dalla tasca dei pantaloni della tuta e cerca il suo numero.

Lo trova facilmente, lo tiene fissato in alto nella lista dei numeri preferiti. Per un attimo apre la foto che ha assegnato al contatto e la osserva, mentre una lacrima raggiunge lo schermo e si espande sull'immagine di loro due al concerto di Moro, circa tre anni prima.

Tornato alla schermata del numero, lo guarda per secondi interminabili che poi si trasformano in minuti.
Vorrebbe premere il simbolo della cornetta alzata per chiamarlo, sentire la sua voce e assicurarsi che stia bene.
Ma poi, come per le altre quattro volte precedenti in cui ha già tentato di farlo, blocca lo schermo e mette via il telefono.

Lo ama.
E forse il problema è anche quello, lo ama troppo.

Così tanto che negli ultimi mesi si è sempre trascurato e ha sempre vissuto in funzione di lui.
Anche adesso, che sa di possedere tutte le ragioni possibili per essere arrivato a quella decisione, vorrebbe mettersi da parte e chiamarlo.

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