Capitolo 2

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Ad Adrien tremavano e sudavano le mani, era già la quarta volta nel giro di dieci minuti che le frizionava sui pantaloni blu per cercare di asciugarle e scacciare via quella sensazione odiosa di limaccioso e sporco.
Tra poco l’avrebbe incontrata.
Non era la prima volta, questo era certo, ma finalmente, poteva dare un nome a quel volto semi nascosto da una maschera rossa a pois neri.
La schiena di Adrien venne percorsa da brividi di freddo e il cuore iniziò a tamburellargli forte nello sterno.
Sbuffò per l'attesa estenuante a cui si stava sottoponendo.
Voleva già essere in quella stanza e abbracciare quella ragazza per sussurrarle all'orecchio che sarebbe andato tutto bene e che nessuno li avrebbe mai più divisi.
Adrien si era appena reso conto di aver sempre amato quella dolce ragazza che sedeva sempre dietro di lui a scuola.
Come aveva fatto a non accorgersene prima? Di entrambe le cose, s'intende.
Troppo accecato dall’amore che provava per Lady Bug per non capire che quella ragazza timida, impacciata, ma dall'animo forte, gentile e generoso, in realtà era la donna della sua vita, la stessa che inseguiva da quasi un anno tra i tetti di Parigi e che ogni giorno combatteva al suo fianco con determinazione.
Non poteva essere una coincidenza l’amnesia di Marinette il giorno stesso che lui era stato privato del suo Miraculous, e sicuramente avrebbe di certo fatto notizia il fatto che due ragazze della medesima età avessero perso la memoria nello stesso momento.
Perché l’unica cosa certa che conosceva di Lady Bug era l’età, gliela aveva rivelata durante una delle tante conversazioni durante una ronda, per sbaglio, solo perché l’aveva tratta in inganno.
Erano rimasti entrambi sorpresi nell’apprendere di essere coetanei.
Adrien osservava lo scorrere dei palazzi nel finestrino della sua berlina grigia, poi volse lo sguardo alla rosa rossa che teneva in mano ben confezionata perché non si rovinasse.
Un piccolo pensiero acquistato nella fioreria vicino la scuola dopo la lezione quotidiana di scherma.
Suo padre gli aveva sempre detto che presentarsi a mani vuote se si va a fare visita a qualcuno sarebbe stata maleducazione.
Ancora un centinaio di metri e il Gorilla avrebbe parcheggiato nello spiazzo dell’ospedale riservato alle auto, Adrien poteva vedere l’enorme palazzo in lontananza e quella croce rossa che si era appena accesa.
Il cuore mancò un battito e l'ansia iniziò a salire, soprattutto perché Adrien non si era preparato alcun discorso da farle, ma ormai era tardi per fare dietro front e poi sicuramente Alya aveva già avvertito Marinette della sua visita.
Non era ancora buio, anzi, le giornate primaverili si stavano allungando, ma il timer che regolava l'accensione dei lampioni e le luci nel vialetto dell'ospedale non era ancora stato regolato.
“Aspettami qui, faccio presto” Aveva detto chiudendo la portiera mentre l'autista lo guardava percorrere con attenzione quel percorso obbligato, per poi vederlo sparire oltre la porta girevole dell'ingresso illuminato a giorno.
Alla caffetteria interna al piano terra e vicino al bancone informazioni, vide Sabine intenta a sorseggiare un tè caldo, da sola.
Si avvicinò lentamente facendosi coraggio e prendendo un bel respiro profondo.
“Buonasera signora Dupain-Cheng.” La salutò calorosamente il ragazzo.
Era evidente dalla sua espressione e dalle sue occhiaie che non riposava dalla sera prima.
“Oh! Adrien!” Disse lei sorpresa “…cosa ci fai qui?”
“Sono venuto a trovare Marinette. Posso andare in camera sua, oppure non è un buon momento?” Domandò con garbo e la cortesia con cui era stato educato.
Sabine abbozzò un sorriso amaro e sconsolato, come chi aveva ormai perso la speranza.
“Non so se ci sarà mai un buon momento.” Sorseggiò dell’altro tè.
Adrien la guardò in cerca di informazioni più dettagliate. “Immagino che Alya vi abbia detto che ha perso la memoria.”
Il biondo annuì con il capo.
“O meglio, non ricorda persone e avvenimenti. Però conosce formule matematiche e scientifiche molto bene, ricorda gli avvenimenti storici più importanti, insomma tutte le cose apprese nel corso degli anni." Spiegò portandosi una mano sulla fronte che le appiccicò la frangia spettinata.
“I medici non sanno dare una spiegazione, vero?”
“Purtroppo no. Tutti gli esami sono apposto. Ha solo un piccolo ematoma sulla tempia, ma non è quella che ha causato l’amnesia.”
Adrien era impaziente di accertarsi delle sue condizioni, anche se era sicuro che non lo avrebbe riconosciuto affatto, ma non aveva importanza, prima o poi però lo avrebbe fatto.
“Vorrei vederla, posso?”
Sabine annuì con il capo “Adrien…non prendertela se non ti riconosce.” Mormorò con premura e fare materno.
“Ci mancherebbe.” Fece spallucce sorridendole.
*
Adrien fece un bel respiro profondo.
La vide di spalle mentre era in piedi difronte la finestra.
Bussò alla porta già aperta per attirare la sua attenzione.
Lei si voltò lentamente e si portò dietro l'orecchio destro una ciocca di capelli finita davanti gli occhi azzurri cielo.
Era bella, bellissima.
Anche se indossava un camice bianco lungo fino le ginocchia che non metteva in risalto la sua perfetta forma fisica, teneva i capelli sciolti che le ricadevano morbidi fino le spalle, notò subito che mancavano ai lobi i suoi soliti orecchini neri.
Adrien si ammutolì all'istante, la mente venne sgombrata dai suoi mille pensieri, voleva solo abbracciarla e chiederle come stava.
Marinette gli sorrise voltandosi del tutto, sembrava che lo avesse riconosciuto.
“Adrien!” Fece lei sorprendendolo.
“T-ti ricordi di me?” Domandò attonito e ancora impalato sulla soglia della porta.
“No, magari.” Con un cenno del capo indicò il mega cartellone pubblicitario posto in bella vista davanti la sua finestra.
“Oh!” Fece di rimando “Che stupido!”
“Non ti preoccupare. Piuttosto che ci fai qui? L’orario delle visite è finito da un pezzo”.
Marinette non balbettava ed era molto sicura di sé.
“Ci tenevo a salutarti”
“Non stare lì impalato, vieni qui” Fece cenno con la mano di accomodarsi alla poltrona verde smeraldo di Alcantara mentre lei si sistemava al bordo del letto con le gambe penzoloni.
“Tieni” Le allungò la rosa "... Questa è per te."
Marinette rimase interdetta, sapeva che nel linguaggio dei fiori il rosso simboleggiava la passione, ma da quello che le risultava non aveva un ragazzo, e men che meno un modello di fama internazionale.
Non disse nulla, si limitò solo ad accettarla.
“Grazie, ma non dovevi disturbarti”
“Nessun disturbo per te Mil….Marinette.” Si corresse subito come se usando la parola Milady lo avesse potuto scoprire o capire che lui era stato Chat Noir.
Si, era.
“Comunque scusa se non sono venuto assieme agli altri, ma avevo una lezione di scherma e se non ci andavo mio padre si sarebbe arrabbiato. E poi… ci tenevo a vederti da solo.” Abbassò lo sguardo per il troppo imbarazzo che non sfuggì a Marinette.
“Come mai?”
Adrien si morse un labbro, aveva sbagliato a pronunciare quell’ultima frase, sapeva di alimentare la sua curiosità e ora Marinette era curiosa più che mai.
Aveva bisogno di informazioni sulle persone che non ricordava, doveva assolutamente sapere di tutti i bei momenti condivisi con loro e perché no, anche con lui.
Perché stare con lei, non solo in veste di super eroe, ma anche in quelli civili, era la cosa più bella del mondo.
Il suono delle sue risate, la sua voce, di come battibeccava con Chloè in classe per far valere i suoi diritti, e perché no, anche il suo imbarazzo, il suo continuo incespicarsi davanti a lui lo facevano stare bene e gli infondevano un senso di assoluta completezza e appagamento.
“Perché s-siamo a-mici e…” Ora era lui quello che balbettava imbarazzato.
Marinette sghignazzò trovando quella situazione molto divertente.
“Non devi essere impacciato davanti a me. Non ti mangio mica!”
Risero all’unisono.
“S-si scusa è che ho paura di dire o fare qualcosa che potrebbe turbarti, del resto non ti ricordi di tutti i bei momenti che abbiamo condiviso.”
Ecco per l’appunto.
Marinette si rabbuiò d’un tratto.
Anche a lei sarebbe piaciuto ricordarsi di lui, del perché sentiva le farfalle allo stomaco in quel preciso momento e del perché non riusciva a smettere di guardare quegli occhi verdi.
“Scusami te”
Adrien inarcò un sopracciglio “Per cosa?”
Marinette deglutì un po’ di saliva e schioccò la lingua “Per essermi dimenticata di te, sembra che abbiamo un rapporto speciale io e te.”
“Si, in effetti…” Il biondo si grattò la testa in cerca delle parole giuste, non poteva permettersi di fare casino o di incasinarle ancora di più la testa.
Il rapporto speciale ce lo avevano perché loro due erano i famosi Lady Bug e Chat Noir.
Non sapeva che Sabine avesse detto a Marinette che era innamorata perdutamente di lui e che la sua camera era tappezzata delle sue foto. In realtà nemmeno Adrien sapeva dell' amore immenso che Marinette provava per lui.
Ironia della sorte, l’avevano fatta accomodare nell’unica stanza dove quel cartellone pubblicitario era ben visibile.
“S-siamo forse…” Provò a dire quasi terrorizzata dall'idea che Adrien fosse davvero il suo ragazzo, ma lei per la vergogna, (non che ci fosse stato il bisogno di vergognarsi avendo un gran bel pezzo di ragazzo così al proprio fianco) non lo avesse detto a nessuno, nemmeno alle sue amiche.
“Oh! No, no.” Rispose Adrien agitando le mani.
Marinette tirò un sospiro di sollievo “Meno male, sarebbe stato imbarazzante… cioè… nel senso che…non è che non voglia… lo voglio… no non lo voglio… oddio scusami” Si coprì la faccia per la vergogna.
Adrien scoppiò a ridere e le tolse le mani dal viso riscoprendolo più rosso di un peperone.
“Non ti preoccupare, non fa niente. So che cosa intendevi dire.”
Eccola lì la tenera, incostante e svampita Marinette, la ragazza che era stata capace di rubargli il cuore.
Anche se non ricordava più nulla, aveva lo stesso mantenuto il suo carattere.
“Che vergogna! Che figura pessima!” Si ricoprì la faccia “Davvero scusami!”
“Un giorno rideremo di questo!”
“Perché? Non lo stai già facendo?”
Adrien sogghignò.
“Sai, Marinette…” Iniziò a dire con voce calma e calda, in un tono che metteva sicurezza, ed era così che si era sentita la sua amica, si levò le mani dalla faccia per non sembrare ancora più stupida, intenzionata ad ascoltarlo. “…ero molto teso mentre venivo qua. Stavo male sapendo che tu non ti saresti ricordata di me, che sarebbe stato difficile parlarti, perché non sapevo come avresti reagito, avevo paura di dire o fare qualcosa che potesse metterti in difficoltà o in imbarazzo. Ma mi è bastato guardarti per capire che sbagliavo. Tu sei la solita Marinette, sì… solo smemorata” Le accarezzò dolcemente il volto e Marinette sentì la sua pelle bruciare, un calore che la fece subito sentire bene, come se a quel ragazzo, a quell’amico così premuroso potesse affidare la sua stessa vita.
La corvina ci appoggiò sopra la sua per bloccarla, avrebbe voluto che quel momento non finisse mai, si gustò quel contatto chiudendo gli occhi.
Sentiva che tra loro non c’era solo una semplice amicizia, ma il loro rapporto andava ben oltre a quello che i loro occhi potevano vedere.
Si lasciò cullare da quel tocco ancora un po’, poi i suoi occhi si fecero d’un tratto umidi e alcune lacrime iniziarono a rigarle il volto.
“Non piangere, Milady.”
“Milady?” Fece eco lei non chiedendo spiegazioni e rimanendo sempre con gli occhi chiusi.
Lui sembrò non dar peso a quella domada.
“Ti prometto una cosa, Marinette” Le prese le mani, la guardò dritta negli occhi e Marinette si sentì avvampare per l’ennesima volta “…ti farò ricordare ogni cosa. Ti farò ricordare di me.”
*
continua

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