Capitolo 1

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Alya aveva visto la madre di Marinette, Sabine Cheng, entrare dall’ingresso principale con le mani giunte, la testa abbassata e un espressione in volto che non faceva trasparire niente di buono.
Aveva anche notato che la pasticceria dietro l’angolo era stranamente chiusa, di solito pullulava di studenti che alla mattina si fermavano prima di entrare a scuola per prendere degli sfiziosi panini o dolcetti da consumare durante l’intervallo.
La migliore amica di Marinette l’aveva braccata dopo che questa era uscita dall'ufficio del preside Damocless con aria affranta e mentre quest'ultimo continuava ad augurare una pronta guarigione a sua figlia.
“Signora,Dupain!!! Signora, Dupain!!!” L’aveva chiamata a gran voce alzando anche la mano per farsi notare tra l’orda di studenti che affollava l'atrio della scuola prima di spostarsi nelle aule di appartenenza.
La piccola donna cinese si era voltata verso di lei.
“Alya!” Mormorò prima di scoppiare poi a piangere.
Era chiaro che la situazione era seria e preoccupante se Sabine aveva reagito così.
Alya aveva trascinato la signora Dupain in un angolino appartato in modo che potessero parlare in santa pace.
“Che cos’è successo? Mi fa stare in pensiero, così!” L’espressione di Alya cambiò radicalmente quando Sabine fece il nome di Marinette.
“E’ in ospedale… sta male! Non ricorda più nulla!” Farfugliò tra i singhiozzi e le convulsioni dovute alla disperazione e all'ansia nel sapere la figlia ridotta in quello stato senza un apparente motivo.
“Come sarebbe a dire che non ricorda più nulla, le ho parlato ieri pomeriggio.” Alya sobbalzò incredula difronte a quella rivelazione sconcertante.
*
Erano le otto di sera quando Sabine era salita in casa dopo aver chiuso le serrande della pasticceria e lasciato Tom a sbrigare le ultime faccende, ovvero buttare l'immondizia e organizzare gli impasti per l'indomani.
Di solito a quell’ora tra le scale, si poteva già sentire il profumo delle succulente pietanze che ribollivano in pentola o in forno.
Marinette preparava la cena quando i suoi genitori rincasavano tardi il martedì.
Ma non quel martedì.
Sabine pensò che sua figlia stesse ancora studiando e che non si fosse accorta dell’orario, succedeva e non gliene faceva mai una colpa se capitava.
Sabine e Tom preferivano che la figlia fosse sopra i libri piuttosto che tra i fornelli, tutt'al più avrebbero tirato fuori delle pizze surgelate dal freezer, ovviamente preparate preventivamente da Tom per ogni evenienza.
Nulla a che vedere con quelle schifezze industriali e piene di conservanti che vendevano nei supermercati.
Entrò in casa e quello che iniziò a farla insospettire, furono le luci spente e uno strano silenzio che aleggiava tra le stanze.
L'abitazione sembrava essere deserta ed era impossibile perché sapeva perfettamente che Marinette non si era mossa di lì.
Di solito, e non sapeva il motivo, la camera di Marinette era sempre molto chiassosa, colpa della tv a tutto volume o dello stereo che accendeva quando era intenta a creare abiti e modellarli addosso all'unico manichino presente nella sua stanza.
La chiamò un paio di volte senza ottenere risposta.
Salì nervosamente le scale che portavano alla botola della mansarda e l’aprì.
Il cuore della piccola donna cinese galoppava veloce all'interno del suo petto.
La stanza era buia e fredda, e i brividi che le percorsero le bracci la costrinsero a sfregarsele per trovare un leggero tepore e per togliersi la pelle d'oca comparsa.
Nonostante fosse quasi aprile e le giornate si facevano sempre più miti, alla sera la temperatura scendeva vistosamente.
Notò la luce filtrare dal lucernario lasciato aperto e un braccio di Marinette disteso.
Subito Sabine si precipitò da lei, e com’era prevedibile la trovò svenuta sul pavimento.
L'ansia aveva cominciato a prevalere e rimanere calmi quando vedi un figlio che non accenna a muoversi divenne per Sabine impossibile.
Aveva fatto anche dei corsi per controllarla, ma nulla ti prepara a una scena del genere.
La scosse un paio di volte chiamandola con voce tremolante.
Marinette finalmente diede qualche segno e si svegliò mugugnando qualcosa di incomprensibile.
La testa le doleva ed aveva freddo.
Si spaventò quando vide la donna minuta toccarla e arretrò di qualche centimetro.
“C-chi sei?”
Sabine rimase impietrita “Come chi sono, Marinette? Sono tua madre!” Le disse in tono pacato “Hai battuto la testa per caso?” Le controllò amorevolmente la fronte in cerca di bernoccoli o ferite.
Non ce n’erano.
“Davvero non sai chi sono?” Domandò ancora preoccupata.
Marinette si sentiva un pesce fuor d’acqua, non ricordava nulla, la sua mente era come svuotata del tutto e niente di quello che vede a le era famigliare.
Continuava a guardarsi attorno e non riconosceva né la sua terrazza dove passava pomeriggi interi con album di disegni e matite colorate, né la donna che continuava a farle domande a cui non sapeva dare risposta.
La testa continuava a vorticarle e a farle male, addosso sentiva anche un senso di nausea e smarrimento.
Non riusciva ad alzarsi dal pavimento, ma continuava a rimanere seduta con le gambe allungate da un lato.
“Vieni dentro” Le aveva intimato sua madre “…stai congelando qui fuori”.
M-mamma” La chiamò con voce tremolante e rotta dal pianto. “Io non ricordo più niente!”
Una rivelazione che fece raggelare il sangue nelle vene alla donna.
*
“Che dicono i medici?”
Sabine sospirò mentre gli amici di Marinette si radunavano attorno a lei.
“E’ tutta la notte che fanno esami, controlli e tac. Sembra tutto apposto. Non hanno trovato traumi o segni di lesioni”.
“I medici sono incompetenti!” Aveva urlato Kim “Possibile che lei non ricordi nulla e gli esami non evidenziano nessuna anomalia??”
“Calmati, Kim!” Lo rimproverò Ivan “…e sentiamo la signora Dupain cos’ha da dirci”.
“La terranno qualche giorno in osservazione, poi decideranno cosa fare.”
“La possiamo venire a trovare?” Chiese Alix in apprensione e desiderosa di vedere una delle sue migliori amiche e abbracciarla.
Sabine asserì con il capo comunicando poi il numero di stanza e il piano.
*
“Alya!! Che cosa vuol dire che Marinette ha perso la memoria?” L’espressione del biondo cambiò radicalmente quando venne a conoscenza di quel dettaglio.
Insignificante forse per gli altri, ma non per lui.
Che fosse lei la sua Milady?
Che l’avesse avuta sotto il naso tutto questo tempo?
“Adrien! Mi fai male!” Senza accorgersene le aveva stretto troppo le spalle e la stava scuotendo con forza.
“Lasciala, amico” Intervenne Nino che gli staccò le mani.
Il modello parigino rinsavì e si scusò immediatamente con i suoi amici, non era solito a comportarsi in quel modo e fare del male alle ragazze.
Andò a rifugiarsi in bagno come faceva ogni volta che doveva chiedere consiglio a Plagg.
Chiuse la porta con due mandate e si sedette sulla porcellana bianca che odorava ancora di candeggina mista al profumo di lavanda del pavimento.
Si portò le mani dentro i capelli quando i gomiti toccarono le ginocchia.
Plagg, il suo amico e confidente più intimo non c’era più al suo fianco.
La sua Milady, la ragazza con cui condivideva sempre buona parte della giornata, non c’era più, o meglio era da qualche parte lì fuori smemorata e senza identità.
Proprio come la sua migliore amica Marinette.
Adrien chiuse gli occhi per non piangere.
A chi avrebbe chiesto aiuto?
A chi avrebbe confidato i suoi dubbi?
A nessuno.
Certo, c’era Nino, ma a lui non poteva raccontare niente della sua ormai ex vita da supereroe.
Non poteva.
Era solo ancora una volta.
D’un tratto pensò a Marinette, non a Lady Bug come di solito gli capitava, ma alla sua amica che giaceva in un letto di ospedale con attorno due persone che non conosceva e che le dicevano di essere i suoi genitori.
Non poteva essere la sua Milady, sarebbe stato troppo facile e scontato, sicuramente si era trattata di una coincidenza.
Magari ha un’amnesia momentanea dovuta a un scivolone che ha fatto, era così sbadata quella ragazza che prima o poi se non fosse stata attenta gli sarebbe capitato qualcosa.
Adrien sorrise per la sua goffaggine e quel pensiero gli scaldò improvvisamente il cuore.
I suoi amici sarebbero andati nel pomeriggio a trovarla, anche lui ci sarebbe andato, ma da solo.
Purtroppo lui aveva già l’agenda piena di impegni, ma terminata la lezione di scherma e il servizio fotografico, prima di andare a casa, si sarebbe fatto accompagnare dal Gorilla in ospedale, poco importava se sarebbe arrivato oltre l’orario di visita consentito, suo padre donava regolarmente del denaro alla struttura e non gli avrebbero fatto di certo storie.
La campanella suonò annunciando l’inizio della lezione.
*
Marinette osservava il profilo della Tour Eiffel in piedi e di fronte l’enorme finestra senza tende della sua stanza in ospedale.
La signora cinese che le aveva detto di essere sua madre le aveva comunicato che i suoi compagni di classe e le sue migliori amiche le avrebbero fatto visita quel pomeriggio.
Era felice, perché questo significava che era una persona amata.
Un medico col camice bianco e  un’infermiera entrarono nella sua stanza con i suoi genitori al seguito.
“Avete buone notizie?” Chiese voltandosi.
Il dottore brizzolato e dagli occhi azzurri scosse il capo “Gli esami del sangue sono tutti nella norma, e la tac non ha evidenziato lesioni nella zona cranica dove viene controllata la memoria, solo un piccolo ematoma dovuto alla caduta, ma è irrilevante, guaribile in pochissimi giorni. Sei sicura, Marinette di non aver subito uno shock? Questo potrebbe spiegare la perdita della memoria improvvisa.”
“Mi scusi, dottore, ma come faccio a ricordare se ho perso la memoria?”
“Bene. Il ragionamento c’è.” L’infermiera appuntò qualcosa sulla cartella clinica che teneva su con un braccio.
Era un test? Superato con solo una domanda?
Dopo quell’apparente insignificante domanda il medico e l’infermiera si congedarono lasciando soli i tre membri della famiglia.
“Che cos’ho, mamma?” Chiese scoppiando a piangere.
Sabine si precipitò a sorreggerla e anche Tom fece lo stesso.
“Tesoro, i medici non si sanno spiegare perché tu non ricordi nulla.” Fu suo padre a risponderle perché anche Sabine iniziò a piangere con sua figlia.
“Ti terranno qui una settimana e ti faranno degli altri esami. Se il quadro clinico non cambierà, ti manderanno a casa.”
Sabine si scostò da sua figlia e con un fazzoletto si asciugò prima le lacrime e poi soffio via il muco dal naso che le impediva di respirare.
“Non preoccuparti bambina mia, ti aiuteremo noi a ricordare”.
*
I suoi amici se ne erano andati da un’ora buona, e nella sua testa avevano lasciato più confusione che altro.
Tutti continuavano ad abbracciarla e a presentarsi perché lei non conosceva il nome di nessuno di loro, però poteva benissimo leggere l’espressione affranta di Alya, Mylene, Rose, Alix e Juleka, le sue migliori amiche, e non aveva bisogno della memoria per saperlo, i loro gesti e i loro sguardi amorevoli valevano più di mille parole messe insieme.
Si sentiva benissimo con loro e a suo agio, e quando i ragazzi più casinisti le avevano lasciate da sole avevano iniziato a parlare come niente fosse.
Alya raccontò la giornata di scuola appena trascorsa e del brutto voto preso da Kim, contro quello eccelso di Adrien in fisica.
E a quel nome, Marinette cambiò espressione.
“Va tutto bene? Ti stai ricordando qualcosa?” Le chiese Alix.
“Sai che sei innamorata di Adrien?” Continuò Alya.
“A-Adrien Agreste?” Balbettò, sua madre le aveva raccontato che le foto di questo ragazzo tappezzavano mezza camera da letto, e per non farsi mancare nulla, proprio nel tetto dall’altra parte della strada, c’era una gigantografia del bel modello.
“Si, lui” Se si guardava con attenzione negli occhi di Rose si sarebbero potuto scorgere due teneri cuoricini rosa che pulsavano d'amore.
“No, mi dispiace” Marinette abbassò lo sguardo, e la speranza delle sue amiche che almeno scattasse qualcosa nominandolo si disperse come una nuvola di fumo.
“Un passo alla volta, Marinette. Vedrai che ricorderai tutto. Sarà sicuramente una cosa temporanea.” Disse Mylene con naturalezza “…e ritornerai a tempestarci con le tue mille paranoie e i tentativi di confessargli i tuoi sentimenti andati a vuoto”.
Tutte risero, anche lei.
“Sono davvero così imbranata?”
“Se si tratta di Adrien, sì” Alya si asciugò con un dito la lacrima di gioia che le era appena uscita dall’angolo esterno dell’occhio.
“Balbetti sempre e dici cose a caso quando c’è lui” Continuò Alix.
“Ma non quando devi difendere noi o qualunque altro dai continui dispetti di Chloè o dalle cattiverie di Lila.”
Marinette si tenne la testa quando una scossa lo aveva attraversato ed un tratto comparvero nella sua mente i colori rosso e nero.
“Oh mio dio, Marinette” Urlò Alya sorreggendola quando l’amica ebbe un mancamento.
*
continua

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