7. La sfida

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Ero andata al negozio della signora Fabuli, era il market di Falldown. C'era di tutto, dai generi alimentari, ai farmaci, dai prodotti per la casa, agli articoli da regalo e per la scuola.

La mamma mi aveva dato una lista ma io, come al solito ci avevo aggiunto qualcos'altro. Le buste perciò erano diventate molto pesanti. Troppo per una bambina di poco più di dodici anni e le trascinavo per le stradine piene di sassi rischiando di bucarle e perderne il contenuto.

Notavo che tutti mi guardavano con un'aria strana. Nessuno però si decideva a darmi una mano. Mi chiedevo cosa volessero visto che mi fissavano insistentemente. Poi vidi i maschiacci corrermi incontro. Felice spalancai la mia bocca in un sorriso pieno ma loro senza rallentare passarono oltre, girando in fondo al vicolo e sparendo dalla mia vista.

Sospirai, rassegnandomi a portare quel carico da sola. Anche Dani, il mio migliore amico, aveva finto di non vedermi ed era andato via. Ma perché mi ignoravano così? E perché quei ficcanaso di Falldown continuavano a seguirmi con lo sguardo e a bisbigliare?

-LA SFIDA-

Dopo una notte insonne in cui riuscii a riordinare le idee, mi alzai pensando che fosse ancora buio. Invece le nuvole erano di nuovo tornate a coprire il sole, più grigie che mai, compatte, quasi tangibili. Stranamente, mi resi conto di quanto il mio desiderio in quel momento fosse proprio quello di andare lontano da Falldown. Il sole l'aveva capito e aveva permesso ancora una volta che le nubi lo soffocassero.

Un micetto, fuori dalla finestra mi guardò. Sembrava affamato e sembrava non voler andare via fino a quando non avesse ricevuto un po' di cibo. Mi guardava e non desisteva. Gli portai una ciotola con un po' di latte. Lui si precipitò verso di me. Lo guardai mentre con la sua linguetta rossa beveva con voracità.

-Come ho potuto cancellare una cosa del genere?...- chiesi al gatto, aspettando che mi desse una risposta.

-...Come ho fatto a scordare William?...Lui era mio amico...

Il gattino mi guardò miagolando. Sembrava capire quello che dicevo. Pensai che se avesse potuto parlare forse mi avrebbe detto lui cosa fare.

-Che stupida!...- dissi alzandomi.

Tornai dentro a fissare le statue. Il delfino era praticamente opera di Liam. L'aveva fatto quasi tutto da solo. Avevo solo sei anni, lui ne aveva tre più di me ed era già abile, seguendo le orme del nonno.

-Mi stai sporcando tutta!- avevo urlato mentre William, facendolo apposta, gettava la polvere di gesso addosso a me.

Lui rideva soddisfatto del modo in cui mi aveva conciata.

-Adesso sembri anche tu una statua!- aveva detto. Un po' di polvere poi gli era entrata in gola e aveva iniziato a tossire come se stesse soffocando. Io e il nonno c'eravamo presi un bello spavento, poi eravamo scoppiati a ridere tutti e tre.

Lui amava ridere, non aveva mai lo sguardo serio o triste. Lo vidi così solo al funerale dei suoi genitori, entrambi morti in un incidente mentre tornavano a Falldown. Ricordavo che lui e Kiria, che allora era solo una neonata, erano a casa della signora Brooks. Io ero lì ad aiutarla: mentre lei cuoceva la focaccia, io tenevo Kiria in braccio. Liam era al tavolo che faceva i compiti di scuola. Qualcuno era entrato e aveva dato la notizia alla signora Brooks. Avevo visto Liam correre fuori ma senza capire cosa fosse successo. Aveva solo quattordici anni. Da quel giorno non fu più lo stesso ed era comprensibile.

Un giorno vidi che era fuori da casa mia ed ero corsa da lui perché pensavo volesse giocare con me. Mi portò alla "casa".

-Tu hai paura della morte?- mi aveva detto con una strana espressione.

I Misteri di Falldown-1. Lo scultore di gessiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora