PROLOGO

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Edimburgo, 16 novembre 2001

Che cos'è la morte, madre, e che cosa non lo è?
Sibila il cielo alle mie spalle, sibila lungo le coste nei suoi atti vandalici.

Vorrei che, di questa lettera, non lasciassi al caso una frase soltanto. Leggi per intero, e dopo rileggi ancora se devi; affinché non sia che tu non comprenda il mio gesto, affinché tu non soffra per chi danza nell'ombra.

Era sera, autunno lugubre e inoltrato. Una nebbia fitta ricopriva le bare del cimitero di Copenaghen come una coltre sublime, e uno squarcio di luna ricopriva la nebbia. Io, invece, ero ricoperto dall'incessante ed eccessiva monotonia della mia giovane vita, ricoperto, ricoperto del tutto; ma quella sera tolsi alla morte il suo velo assoluto. Quella stessa notte, tra i margini soffusi delle lapidi, la vidi squassata dal rombo del campanile abbandonato. Quattro sordi rintocchi diedero vita alla giostra immortale, ed io, seduto al cancello del cimitero, con una penna consumata e un taccuino con scritto soltanto "silenzio, silenzio è il chiasso dei morti", venni attraversato dalla vita suprema che la campana effondeva. Li vidi danzare – non pensare che menta, non ne avrei motivo – li vidi nelle loro ombre scure, mi si avvicinarono, presero la penna, e sotto la soffusa luce lunare scrissero, scrissero ognuno con la propria grafia qualche parola, qualche verso o un pensiero spezzato da andare, se fosse possibile, a raccattare nei recessi di quella loro testa da morti che pensano, che volteggiano.
Madre, quel cimitero non l'ho più lasciato. Lo ritrovo in camera da letto, nel soggiorno: dietro la poltrona sento la decomposizione che scorre e le ossa che stanno immobili, uno spirito è appoggiato, se ne sta semidormiente dietro lo schienale e sotto il tavolino istoriato.

Quel che ora riporto è scritto dai morti e dai morti soltanto, dai loro spiriti. Non dubitare, non dubitare e leggi, poiché così soltanto sarai mia madre, infine, musa partecipe del mio gesto sfrenato.

I Sepolcri Di CopenaghenDove le storie prendono vita. Scoprilo ora