𝐶𝑎𝑝𝑖𝑡𝑜𝑙𝑜 𝐼𝑉 - 𝑆𝑒 𝑓𝑜𝑠𝑠𝑒 𝑠𝑜𝑙𝑜 𝑢𝑛 𝑠𝑜𝑔𝑛𝑜

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Aveva perso la ragione

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Aveva perso la ragione.
Aveva perso la lucidità.
Era spaventata e aveva tutte le ragioni per esserlo. Si era ritrovata catapulta in un mondo che non le apparteneva. Strappata alla sua gente. Rinnegata dalla visione di bontà che aveva sempre osservato fra le porte dell'Eden e questo Tristan di certo lo sapeva.

Nulla la poteva far sentire peggio di così.

Nello sguardo di Tristan si scorgeva un sentimento nuovo, che imperversava e appestava l'intera stanza. Quel giuramento lo aveva fatto sentire impotente e una rabbia che difficilmente riusciva a controllare si era manifestata fra la pelle e lo spazio che li divideva.

Era implacabile.

Il sibilo del serpente che si dissetava dei peccati si era messo a strisciare all'interno del suo corpo percorrendo le strette vie della sua mente e del suo cuore.
Si era promesso una semplice cosa.

La creatura avrebbe smesso di giurare con così tanta facilità. Le avrei fatto rimangiare tutte le parole profane e l'avrebbe fatta sua.

I demoni non erano disposti a dare seconde possibilità, tanto meno il loro padrone vi era disposto, questa era una sciocchezza.

Era la sua Nim.

Solo questo la salvava dall'essere uccisa immediatamente, perché lo sentiva dentro che si sarebbe dato un'alternativa. L'avrebbe lasciata cadere negli inferi senza protezione e l'avrebbe fatta prigioniera.

Mentre lui vagava fuori dalla stanza cercando di placare il suo amaro nervosismo, Liv si era sciacquata e si era fermata a pregare, con l'acqua che scendeva verso il suolo in quella sontuosa cabina doccia fatta come una cascata in miniatura.

«Dio, se mi senti, ho fatto un giuramento per la quale non sono sicura di poter mantenere la parola. Ti prego, perdonami per questo e per tutto ciò che ne verrà da qui in avanti. Sono caduta e non sono più nulla senza il paradiso. Ti prego, guidami ancora con la tua forza» rimase lì nella doccia troppo a lungo per rendersi conto che iniziava a scivolare verso il basso.
Le gambe d'un tratto cedettero.

«Ti rendi conto di quello che ti stai facendo?» Tristan rientrò all'interno del bagno di corsa. Come se avesse percepito il pericolo.

Era affamata e stanca, le erano venute meno le forze.

Ricordava solo che davanti a se gli occhi di Tristan, figlio di Lucifero, avevano preso a illuminarsi di un azzurro cielo innaturale. Sembrava un angelo, più che il figlio del diavolo. Si era scoperta a fissarlo nuovamente.

Guardava il suo petto nudo muoversi sinuoso verso il punto in cui si era rannicchiata. Guardava la ferita che gli si vedeva dallo stomaco all'incavo del collo. Era azzurra come il mare dei mostri e spessa quanto un dito della mano.
Si era domandata più volte il motivo per il quale non si fosse semplicemente auto guarito, evitando di deturpare quel corpo atletico.

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