𝐶𝑎𝑝𝑖𝑡𝑜𝑙𝑜 𝑉𝐼𝐼- 𝐹𝑢𝑜𝑐𝑜 𝑛𝑒𝑙𝑙𝑒 𝑣𝑒𝑛𝑒

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Non era difficile immaginare il destino cosa le riservasse

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Non era difficile immaginare il destino cosa le riservasse.

Era su un cavallo nero, dall'aspetto infernale, stretta nella morsa dell'abbraccio di un villano.

Con la sua corsa frenetica lasciava scie di fiamme blu sotto i colpi incessanti degli zoccoli nel bosco. Ad ogni passo il vento echeggiava fra la raduna e il crepitio dei rami spezzavano il silenzio disumano.

Guidata dal principe Tristan, il capo indiscusso dell'orda, suo acerrimo nemico , Liv sentiva la pressante certezza di essersi ormai arrivata al capolinea. Era un nemico arduo da sconfiggere, non solo per la sua maestria nel combattimento, ma anche per il pressante desiderio che le scoppiava dentro.

Erano ormai ai confini della sua tenuta, da lì a poco avrebbero attraversato il campo di fuoco blu e saremmo arrivati alle porte del suo enorme palazzo.

Liviel si aspettava di dover combattere con una vita difficile, certa di commettere dei passi falsi a causa di questo infondato legame onirico e di poter portare infine un flagello nel suo animo puro.

Se fosse rimasta buona e avesse avuto realmente l'intenzione di accettare quello strano destino, sapeva a cosa andava incontro.

Non era difficile immaginare che si sarebbero trovati a battagliare spesso per la supremazia che uno cercava nell'altra. Il vento infuriava nel cuore della notte.

Quando furono quasi vicini, sentì solo i lamenti delle anime. Il silenzio si era spezzato, infine, circondandoli da ogni parte. Da sud a Nord, da est a ovest, sentiva solo urla e dolore.

Lui dal canto suo continuava a guardare dritto davanti a se, i pochi demoni che incontravano, al loro passaggio si prostravano ai loro piedi per omaggiare il passaggio del principe.

«Demone, che hai intenzione di fare ora che hai ottenuto ciò che più bramavi?» disse lei guardando una piccola bambina fenice osservarli sbigottita.
L'aveva sentita sussurrare, alla madre, così a lei sembrava, parole come abominio, angelo, scherzo della natura.

Aveva lunghi capelli rossi e grandi artigli. Dalle sue spalle, Liv ne intravedeva i solchi dove si estendevano forti ali da uccello. Immaginò il colore rosso vivo allo spiegare quelle favolose ali.

Di un rosso striato d'arancione.

Pensò dunque subito al sole, le mancava la luce. Tutto ciò che si illuminava dentro quel posto era semplicemente portato dal candido bagliore delle anime afflitte e dalla vegetazione ricoperta di bianco.

«Uccellino, se continui a parlarmi in questo modo non ci sarà molto che io possa fare».
«Vedo che ti rende rabbioso sentirmi parlare così.»

Lo guardò contenta di suscitargli quella reazione. Davanti a loro finalmente qualcosa si iniziava ad intravedere. Il palazzo era ormai vicino.

«Peccato, davvero un peccato. Immagino che non sarà per te una convivenza piacevole» continuò a stuzzicarlo per spazientirlo.

«Ricordati che prima di essere il tuo Nim, sono pur sempre un demone» si voltò, osservandola con un barlume di euforia nei suoi occhi rubino.

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