Capitolo I

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Giacomo aprì un occhio nel preciso istante in cui la fastidiosa sveglia sul comodino cominciò a suonare. La spense con una brusca manata e aprì anche l'altro occhio cosicché cominciasse a svegliarsi. Dopo qualche minuto, si alzò con estrema calma e, si avviò al bagno dove sciacquò il viso con l'acqua gelata. Si osservò attentamente allo specchio; gli occhi verdi contornati da alcune profonde occhiaie, i capelli castani spettinati, i denti rovinati dal troppo liquore e sigari nella pausa pranzo. Arrivò in cucina dove, si preparò del semplice caffè che buttò giù tutto d'un sorso, osservò il panorama all'esterno della finestra e, non si stupì del fatto che il cielo fosse oscuro. Questo fenomeno perpetuava da alcuni anni, lui non ricordava di certo la data precisa, ma fin da ragazzino viveva con il cielo scuro. Indossò la giacca beige sulla camicia di cotone logora e, abbottonò il pantalone del medesimo colore di cui era la giacca, infine indossò le scarpe e, dopo aver afferrato la valigetta nera, chiuse la porta dietro di sé girando la chiave nella serratura poi, corse giù per le scale ed uscì all'esterno del vecchio palazzo in cui abitava da qualche anno. Camminò lungo la via principale incontrando sguardi simili ai suoi vuoti ma, non ci fece caso, era sempre così, per tutto l'impero. Alzò lo sguardo e si fermò qualche attimo ad osservare le stelle che illuminavano il manto scuro mentre la luna incorniciava quello spettacolo. Si risvegliò da quei pensieri e riprese a camminare spedito svoltando sulla destra e trovandosi al foro romano dove, si stagliava il grande palazzo dall'esterno antico e logoro. Il governo lo aveva scelto come sede centrale nel lontano 1947 e, aveva deciso di non spostarsi più di lì.
Giacomo osservò per qualche secondo il manifesto su cui era rappresentato Antonio De Santis con i suoi due occhi scuri come caverne e scrutatori, riuscendo a leggerti dentro nonostante quello fosse un semplice pezzo di carta. Si affrettò a salire le scale imprecando contro la sua gamba destra che gli doleva a causa di una vecchia frattura non curata al meglio, fermandosi dinanzi all'entrata dove, l'uomo dalla camicia nera e la fascia su cui vi era raffigurata la bandiera nazionale, controllò la sua carta d'identità poi, gli fece un cenno e lui lo sorpassò entrando nella grande struttura. Si spostò tra gli immensi corridoi tappezzati da quadri e manifesti del Duce e, raramente, qualche richiamo al fondatore del partito.

Entrò nel suo ufficio e si lasciò cadere sulla sedia nera in pelle chiudendo gli occhi per qualche secondo e massaggiandosi nervosamente la gamba che, chiedeva riposo. Si ricompose subito dopo ricordandosi delle telecamere che li osservavano con attenzione; osservò i documenti che era stati posizionati sulla sua scrivania in una pila ordinata e, prese quello più in alto tirando un'occhiata al titolo che, lo fece sbuffare. Era un vecchio rapporto del 1950 in cui, "NIR" (nuovo impero romano), era in guerra con l'Urss e, il suo compito era quello di falsificare quei documenti e, far sparire quella guerra dalla mente delle persone.

Doveva falsificare i loro ricordi e, mutare la storia, come faceva ogni volta che il partito fascista non voleva perdere il suo dominio sulla storia. Così cominciò a battere sulla macchina da scrivere con velocità sorprendete, senza sbagliare una sillaba ed arrivare alla fine del lavoro in modo egregio ed efficace. Finì di battere l'ultima lettera e, afferrò la manopola estraendolo interamente, rilesse velocemente il rapporto e lo mise nella cartellina richiudendola poi, fece un cenno all'uomo che era di guardia nel corridoio che si avvicinò con sguardo scocciato.

<<Posso fare qualcosa per voi, signore?>> chiese lui scrutandolo con impazienza.
<<Porta questa cartellina all'ufficio centrale, è urgente>> rispose Giacomo con voce agitata. L'altro annuì ammorbidendo lo sguardo e afferrando la cartellina per poi uscire a passo svelto dall'ufficio mentre il suono provocato dagli stivali che battevano sul pavimento riecheggiava nel corridoio.

Giacomo sospirò e osservò il vecchio documento che, anche se titubante, gettò nella circonferenza buia in cui i fogli caduti finivano bruciati e dimenticati. Si rivolse nuovamente alla pila di fogli e riprese il ritmo incessante di occultamento della sua storia.


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