TRENTA

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Evelyn

Lei ed Amy avevano trascorso così tanto tempo davanti allo schermo del MacBook che i loro occhi cominciavano ad incrociarsi; avevano appuntato su un milione di post it ogni informazione trovata in rete.

H. Keller non esisteva da nessuna parte, non un indirizzo social, non un nome sull'elenco telefonico della città, nemmeno un riferimento. A quanto pare, One Hyde Park è una residenza così esclusiva che gode del più alto livello di privacy di tutta Londra.

Amy aveva provato qualsiasi cosa, con i computer se la cavava bene e con gli anni è diventata una specie di genio dell'informatica, non c'era mai stata cosa che potesse rimanere segreta a lei se si fosse trovata in un computer, ma questo, H. Keller, era un enigma più grande persino di lei.

Evelyn non faceva altro che pensare a come Aiden fosse l'unico in grado di aiutarla, in grado di darle informazioni in più, ma si rifiutò di ammetterlo a sé stessa, così come si rifiutò di cercarlo: non lo avrebbe più rivisto, ormai si era rassegnata a quello. Forse si sarebbero incontrati di nuovo dieci anni più tardi, un po' più vecchi e sempre distrutti alla stessa maniera, si sarebbero incrociati sotto le luci di Natale di Regent Street, dove entrambi amavano passeggiare in quel periodo, senza sapere l'uno dell'altro. Lei sarebbe stata immersa nelle lucerne, con il volto illuminato di una luce calda, mentre lui avrebbe camminato svelto, cercando di godersi al meglio le luminarie natalizie, preoccupato che qualcuno potesse vederlo. Avrebbero incrociato i loro sguardi, incatenandoli come solo loro erano in grado di fare; avrebbero vissuto un'altra vita, e forse sarebbe stata la loro occasione per poter essere felici, insieme.

Ad Evelyn piaceva sognare, quelle poche volte in cui si addormentava senza essere scossa dagli incubi avrebbe voluto dormire per sempre. Le piaceva immaginare di poter vivere una vita degna di lei, senza sofferenze, con tanto amore e affetto, ma era consapevole che non sarebbe mai potuta essere protagonista dei suoi sogni nella vita reale; la realtà la uccideva, la opprimeva, la distruggeva, ed ogni volta che si fermava a riflettere non poteva fare a meno di crollare nella convinzione che non sarebbe esistita per altri dieci anni, non avrebbe retto.

"Potrei davvero provare a chiamare Aiden, insomma, lui non sa che sono con te, è ancora convinto che io sia a Londra, probabilmente, e..." Amy parlò.

"No." La interruppe l'amica. "Non è parte della mia vita, probabilmente non lo sarà mai più. Non ho bisogno del suo aiuto e della sua compassione." Finì.

"Non si tratta di compassione, Eve." Le spiegò. "Potrebbe davvero aiutarti a trovare tuo fratello, realmente non ti interessa?" Le chiese, appoggiandole una mano sulla sua.

"Date tutti per scontato che io voglia trovarlo, ma nessuno pensa al fatto che potrebbe non interessarmi?" Chiese di rimando. "Non sapevo nemmeno che esistesse fino a poco tempo fa, non l'ho saputo per più di vent'anni!" Sospirò. "Te lo ripeto, Amy, non è venuto a cercarmi, non credo che possa interessagli qualcosa di mio fratello." Concluse, abbassando lo sguardo per la sua stessa affermazione. Non avrebbe mai portato rancore a nessuno, ma l'unica cosa con cui tormentava i suoi stessi pensieri era il semplice fatto che lui non si era interessato di scoprire dove fosse.

Se solo avesse saputo con che dolore, con che strazio lui affrontava le giornate, frustrato all'idea di non sapere dove lei potesse essere. Se solo avesse saputo del supplizio a cui sottoponeva il suo cervello esausto, ogni notte in cui gli incubi per la sua mancanza lo seviziavano.

Amy notò la sua stranezza, colpita dalla fermezza delle affermazioni della sua amica. "Evelyn, non mi convince questa versione di te." Le disse. "C'è qualcosa che dovrei sapere?" Le chiese.

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