𝙄𝙡𝙨 𝙖𝙥𝙥𝙚𝙡𝙡𝙚𝙣𝙩, 𝙛𝙖𝙣𝙩𝙖𝙞𝙨𝙞𝙚

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𝙇𝙖 𝙘𝙝𝙞𝙖𝙢𝙖𝙣𝙤, 𝙛𝙖𝙣𝙩𝙖𝙨𝙞𝙖

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𝙇𝙖 𝙘𝙝𝙞𝙖𝙢𝙖𝙣𝙤, 𝙛𝙖𝙣𝙩𝙖𝙨𝙞𝙖



Non ricordò a che ora si fosse messa a letto, ma alle otto era già sveglia. Si vestì in fretta per poter andare in biblioteca a studiare. Mancavano pochi giorni all'esame, e Celine avrebbe solo dovuto riassumere ciò che aveva vissuto e renderlo un tantino realistico alle orecchie dei suoi insegnanti. Sulla strada per la biblioteca pubblica, si ritrovò a pochi passi dall'Art Institute of Chicago. Una pattuglia era ferma sul marciapiede, e i poliziotti sembrarono scortare qualcuno dall'interno del museo. Celine ristette quando se lo trovò davanti agli occhi, ansimando per il sopraggiungere di un attacco di cuore. Andò incontro ai poliziotti, impedendo loro di arrestarlo. "Aspettate! Ci deve essere stato un equivoco!" nel frattempo intravide negli occhi di Georges lo scetticismo e la sorpresa di ritrovarla lì. "Nient'affatto. Questo ragazzo era nel museo, in piena notte. Ha toccato un quadro ed ha fatto scattare l'allarme. Per giunta non è fornito di alcun tipo di documento per riconoscerlo".

"Credetemi. Non era lì per rubare. Guardatelo! È terrorizzato, Dio santo!". I due poliziotti osservarono Georges con sospetto. "E lei chi è? Conosce questo ladruncolo?".

"Sì, è... è mio fratello" mentì, osservandolo nei suoi abiti ottocenteschi. Il poliziotto strattonò Georges, digrignando i denti. "Questa ragazza è tua sorella?". Lui rimase in silenzio. "Non può capirvi. Parla solo francese. Vi prego. Permettetemi di riportarlo a casa".

"Non possiamo. Abbiamo già scritto il verbale e..." Celine iniziò ad agitarsi, soprattutto perché non riuscì a spiegarsi la presenza di Georges nel suo tempo. Che l'avesse seguita all'isola di Asnieres diventò una certezza. "Ha rubato qualcosa nel museo?".

"No, ma...".

"Vi ha fatto qualche dispetto?". Il poliziotto scosse la testa. "Allora non comprendo il motivo di tutte queste precauzioni nei suoi confronti. È un ragazzo. Non commetterebbe mai alcun crimine. È solo spaventato". Uno degli agenti sospirò, e finalmente liberò Georges delle manette. "Vi terremo d'occhio entrambi, signorina". Lo strattonarono ancora, spingendolo verso Celine a cui sembrò leggermente più alto. Lui sgranò gli occhi. "Celine?" la abbracciò, come fosse contento di rivederla. "Georges, che ci fai qui?".

"Sono andato a casa tua e Claudette mi ha avvertito della tua partenza. Non potevo lasciarti andare così...". Lei si commosse, così lo strinse tra le sue braccia. "Hai i vestiti umidi e i capelli bagnati".

"Mi sono trovato sotto ad una tempesta e...". Celine decise di portarlo a casa sua nel frattempo che avrebbero pensato a cosa fare. Georges si guardò intorno e anche gli sguardi dei passanti si riversarono su di lui, per il suo abbigliamento e soprattutto per il suo fascino francese. "Celine, cosa sono quelle cose per strada?".

"Cosa?".

"Quelle cose che camminano. Sono carrozze?" Celine soffocò una risata. "C'è tempo per spiegarti ogni cosa. È il ventunesimo secolo, Georges. Come vedi, non ti ho mentito". Camminarono a piedi fin quando non arrivarono nell'appartamento di Celine. Gli occhi di Georges si mossero a destra e sinistra con curiosità, e ogni secondo che passava, aveva una nuova domanda per Celine ma lei rimandò tutto a più tardi. Intanto lo fece sedere sul divano, gli appoggiò una coperta sulle gambe e gli asciugò i capelli con un panno. "Questa è casa tua?".

𝙐𝙣 𝙙𝙞𝙢𝙖𝙣𝙘𝙝𝙚 𝙖𝙥𝙧è𝙨-𝙢𝙞𝙙𝙞 | 𝙏. 𝘾Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora