𝐏𝐚𝐫𝐢𝐠𝐢, 𝟏𝟗𝟏𝟗

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Avevo da poco compiuto ventisette anni quando conobbi la guerra. Entrò nella mia vita improvvisamente, il vuoto lasciato da ciò che rimaneva della spensieratezza di gioventù colmato dal freddo metallo dell'arma, il cui peso ancora adesso nelle sere più fredde e cupe grava tra le mie braccia.

Ed in quel momento, mentre percorrevo le strade della capitale tormentato dalla pioggia che gelida ed incessante cadeva sulla città, le gocce grigie mi circondavano e colpivano il terreno, uomini senza volto che mi perseguitavano, come fantasmi del passato che mi ritrovavo ancora una volta a calpestare.

Trovai rifugio in un vicolo come un piccolo tordo che spaventato dalla pioggia cerca riparo su un albero, ma neanche io sapevo se fosse alla pioggia che tentavo di sottrarmi o ai nefasti ricordi che sono soliti seguirmi come la mia stessa ombra.

Con una manovra fulminea tirai fuori un pacchetto di sigarette ed i fiammiferi dal taschino dell'impermeabile ed imprecai non appena mi resi conto di quanto fossero umidi. Al terzo tentativo con mio grande sollievo riuscì nella mia impresa ed inspirai a fondo non potendo fare a meno di notare la qualità scadente del tabacco, essendo il meglio riservato ai nostri buoni padroni.

La pioggia non risparmiò neanche il manifesto attaccato alla buona sul muro del vicolo, i bordi sollevati pregni d'acqua, dove due soldati erano intenti a stringersi la mano, la loro unica differenza stava nei colori della divisa. "L'union fait la force" ed "Union bedeutet Stärke" è la frase che li incornicia.

L'unione fa la forza, il motto che da tempo inzozza le strade di Parigi e di tutta la Francia e che ora sfrigola sotto il mozzicone della mia sigaretta. Tutte puttanate pensai, puttanate che si vanno ad aggiungere alle altre parole vuote che il governo provvisorio rifila da mesi a questa parte al popolo francese in un misero tentativo di placare i bollori d'animo.

Riprendendo la ronda i miei passi si mischiarono al rimbombo ovattato della marcia delle "forze di sostegno", altro nome per definire vere e proprie forze di occupazione, una delle divisioni rimaste in città per "coadiuvare" le autorità locali e rimettere in piedi il paese in seguito alla guerra, che con una mano tenevano in pugno la città e dall'altro tiravano i fili della Marianne.

Molte volte sulla Marna mi ritrovai nella stessa situazione, con la differenza che lì avevo l'ordine di abbatterli mentre adesso gli cedo il passo, a capo chino in segno di saluto, mentre li lascio sfilare per la via debolmente illuminata senza poter fare a meno di notare come la mia vita sia diventata, frutto di un susseguirsi di vicende, un tragico scherzo.

Durante gli anni sul fronte imparai anche a dissimulare le mie emozioni, a nasconderle dietro una facciata di marmorea calma, un'abitudine che fra le tante a me attribuite non era neanche una fra le più spregevoli ma che consumandomi aveva intorpidito la mia mente e che durante le mie ore di sorveglianza mi è sempre tornata utile, visto il clima di tensione che imperversa in ogni angolo da mesi a questa parte.

Tuttavia quella notte era diverso. Nonostante l'annuncio di poche ore fa dell'entrata della Repubblica Francese nella Mitteleuropa tutto sembrava calmo.Il tanto atteso annuncio dell'ingresso del paese nel grande piano tedesco non mi aveva sconvolto, è tutto parte di un grande schema il cui fine ultimo non è il grande progresso europeo ma la volontà di farci chinare ancora di più il capo davanti agli invasori.Se la notizia non mi sconvolse più di tanto la reazione dei miei concittadini invece mi diede da pensare. Sono abituato al silenzio, alle sue sfumature ed al modo in cui riempie ogni lato ed angolo che mi circonda, durante la guerra più volte mi aveva avvolto e per questo avevo imparato a temerlo.

L'inizio della fine fu quel giorno, quando il tenente Jacques de la Toure ci aveva informato che il  fronte era stato sfondato e ci era stata ordinata la ritirata generale. Una settimana dopo Parigi venne occupata.

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