4 - Festa di compleanno

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Kei arriva alla clinica puntualissimo, appena in tempo per vedere suo fratello che esce dalla palestra insieme al fisioterapista. Conversano in modo cordiale e sono entrambi sorridenti. Quel carattere sempre gioviale e positivo di Akiteru che a Kei ha sempre dato sui nervi. E che in quel momento gli è addirittura insopportabile.

"Ciao Kei-chan" lo saluta sorridendo. "Ti ringrazio di avermi aspettato. Ti sei divertito in città?"

"Certo, come no, uno spasso" risponde lui sarcastico.

Uno dei vantaggi della sua fama da scorbutico è quello di non essere costretto a fingere una gioia che non prova, nessuno si aspetta da lui parole entusiastiche o un po' di buonumore.

"Spasso o no, di certo qualcosa ti ha trattenuto fino ad ora" lo prende in giro il fratello, sempre sorridendo. Ovviamente, non si aspetta alcuna risposta, che infatti non arriva.

Akiteru non sa che l'impegno di Kei è finito in pochissimo tempo, anzi, ad essere precisi non è neppure cominciato.

Dopo aver preso l'autobus al volo, era sceso alla stazione centrale, e lì era rimasto per oltre un'ora, seduto su una panchina, con lo sguardo perso nel vuoto.

Nel profondo del suo animo, si era accasciato a terra e aveva pianto ed urlato disperatamente, aveva sbattuto i pugni sul pavimento lurido della stazione, maledicendo la sua stupida idea e se stesso per essere preda di una straziante e incontrollabile gelosia.

Però, esternamente, la gente di passaggio aveva visto solo un ragazzo imperturbabile, seduto su una panchina, che sorseggiava una bibita e ascoltava musica nelle cuffie. Anzi, per lo più quella moltitudine di persone che erano transitate nella stazione non si era curata affatto di lui, lo aveva ignorato del tutto. Dopo la sua camera, quello era forse il posto migliore che potesse trovare in cui rifugiarsi nella sua solitudine. Un universo caotico e indaffarato dove nessuno faceva caso agli altri e lui poteva scomparire.

Per la maggior parte del viaggio di ritorno Kei, dopo aver posizionato le cuffie nelle orecchie, finge di dormire, per non incoraggiare il fratello ad iniziare una conversazione che lui non avrebbe potuto reggere. Anche Akiteru è stranamente silenzioso e perso nei suoi pensieri. Probabilmente aveva ragione la mamma, la fisioterapia era stata molto stancante. Dopotutto, la sua presenza accanto al fratello non è poi così inutile.

Kei si convince di dover dimenticare il fallimentare episodio di quella mattina. La giornata sta per finire, ed anche il compleanno del capitano. E lui non penserà più a quello stronzo.

Un nodo gli blocca la gola e dagli occhi scendono alcune lacrime calde che gli bagnano le guance, nonostante lui stia facendo tutto il possibile per trattenerle stringendo forte le palpebre. Volta il viso verso il finestrino, e spera che Akiteru non se ne accorga.

* * *

Quando arrivano a casa è già sera. L'aria è fredda. Mentre sta per scendere dalla macchina, qualcosa istintivamente attira la sua attenzione. Una persona è seduta sul muretto che confina con il giardino di casa sua. Ha le gambe penzoloni, le braccia tese con i gomiti appoggiati alle ginocchia e la testa chinata in avanti. A terra, un borsone, simile a quelli usati per gli allenamenti. A Kei ricorda un giocatore di pallavolo in procinto di ricevere la palla in bagher, e inconsciamente gli scappa un sorriso. Anzi, a guardare bene gli ricorda proprio tanto un certo giocatore...

Kei spalanca gli occhi. La luce del lampione vicino è fioca, ma riconoscerebbe quella ridicola pettinatura tra mille. Il suo cuore perde un battito.

Kuroo-san.

Il capitano alza la testa, e quando lo vede i suoi occhi si illuminano. "Undici!"

Kei apre la bocca, ma non esce alcun suono.

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