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Day 93

  La porta della stanza adibita a ufficio si aprì con decisione e  qualcuno entrò dentro. La stanza era immersa in una luce suffusa, ma a  Keer non serviva la luce per sapere chi fosse entrato. Perché, in tutto  l'edificio, solo una persona aveva il coraggio di entrare in  quell'ufficio così spavaldamente, senza bussare e senza mostrare nessun  tipo di rispetto.
L'uomo sollevò le iridi verdi dalle foto che teneva  sparse sulla scrivania e poggiò gli occhi sul ragazzo in piedi di  fronte a lui. Osservò la sua espressione fredda e accennò un sorriso.
-  Mi hai fatto chiamare? - chiese il ragazzo, mordendosi il labbro. - Lo  sai che lo odio quando lo fai. Ero all'università e quel posto è pieno  di gente.
- Dovresti iniziare a farti dei giri in città. - rispose  semplicemente. Assunse un'espressione seria e guardò i suoi occhi. Ciò  che odiava di più del suo viso.  - Ti ho concesso di andare  all'università, ma questo non cambia il fatto che l'anno prossimo dovrai  affiancarmi. Non manca molto, ormai.
- Lo sai che non lo voglio fare. - rispose lui, sospirando.
-  Non è un mio problema. Nonostante tua madre sia una disgrazia, tu sei  nato come mio figlio, quindi la situazione è questa. - riportò le  pupille sulle foto e iniziò a osservarne i visi stampati sopra. - Scendi  in città, è un ordine. Entro una settimana devi sapermi disegnare una  mappa perfetta.

Qualcuno bussò alla porta, ma nessuno dei due ci prestò attenzione.
Il  ragazzo lo guardò ancora per qualche attimo, trattenendo il respiro.  Trattenendo la rabbia. Non rispose e si girò verso la porta  dell'ufficio.
L'aprì con rabbia, ritrovandosi davanti uno dei tanti  uomini di suo padre. Lo osservò dalla testa ai piedi e quello abbassò lo  sguardo riluttante, mostrandosi comunque rispettoso nei suoi confronti.  Il ragazzo strinse una mano in pugno e uscì dall'ufficio, lasciando la  porta aperta.
- Entra pure. - disse Keer, sollevando lo sguardo. - E chiudi la porta. Odio le porte aperte.
Il subordinato entrò svelto e chiuse la porta. Fece un inchino verso il suo capo e restò piegato in avanti.
-  Signore. Siamo pronti. - disse serio, con lo sguardo basso. Non osò  guardarlo nemmeno per un secondo. - Lei viene con noi anche oggi?
-  No, non oggi. - si poggiò pesantemente nello schienale della sedia e  continuò a osservare l'uomo inchinato a lui. Gli vide tremare le spalle  per la stanchezza, causatagli dalla posizione tesa e scomoda. Ghignò. -  Mi sento stanco. Andate voi, è solo l'ennesimo esperimento. Dobbiamo  essere certi che funzioni alla perfezione.
- Certo. - rispose  semplicemente. Chiuse gli occhi, sperando con tutto il cuore che il suo  capo gli desse il permesso di lasciare l'ufficio. Iniziò a sentire i  muscoli della schiena pulsare e strinse i pugni, resistendo in quella  posizione. Sapeva di avere lo sguardo dell'uomo puntato addosso.
-  Puoi andare. - disse infine, spostando l'attenzione verso uno specchio  che teneva sopra la scrivania. Lo prese e si sistemò i capelli biondi.
L'uomo  si rimise dritto, reprimendo un sospiro di sollievo. Si inchinò una  seconda volta e poi si girò per andare via. Si fermò all'istante quando  la voce di Keer lo raggiunse di nuovo.
- Tenete sempre d'occhio quel  fallito di mio figlio. - poggiò con forza l'oggetto al suo posto e si  alzò in piedi. Lo raggiunse e poggiò una mano sulla sua spalla.
Uscì dall'ufficio, lasciandolo indietro.

  L'uomo lasciò andare un grosso respiro e si portò una mano al petto,  dove il cuore gli batteva come impazzito. Tirò un sospiro di sollievo e  poi uscì anche lui, ricordandosi di chiudere la porta.

  Una volta arrivato al piano di sotto, il subordinato osservò i cinque  uomini posti di fronte a lui, con la testa alta e la schiena dritta. Li  osservò bene e poi sospirò, stanco.
- Chi sa guidare tra di voi? -  chiese diretto. Si sarebbe occupato lui della parte più importante,  aveva solo bisogno di qualcuno che guidasse per lui. Era l'unico  privilegio di cui poteva godere.
Due dei cinque sollevarono la mano, mettendosi ancora più dritti, speranzosi di essere scelti.
- Uno dei due verrà con me. - li osservò entrambi.
Con  la coda dell'occhio vide il figlio del capo guardarli da lontano, con  un'espressione di disgusto sul viso. L'esatta copia del padre. Se non  fosse stato per i suoi occhi.
Si concentrò di nuovo sui due e puntò l'indice sul più giovane. - Vieni tu.
Si  girò verso l'auto, dove altri uomini stavano posando l'occorrente e la  raggiunse. Sentì i passi del temporaneo autista raggiungerlo e aprire lo  sportello per lui. Ci entrò dentro.

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