5. Arbatskaya

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Prima di rientrare feci un piccolo giro nelle strade del quartiere di Arbat.

Avevo dei soldi, molti rubli, datemi da Jossif Vissarionovic Dzugasvili alla fine dell'incontro.

La strada più famosa di Mosca, ulitsa Arbat, è una sorta di mercato dell'arte, frequentata da pittori di strada, poeti improvvisati, giocolieri e suonatori ambulanti.

In una traversa un gruppo di giovani dai capelli rasta e muniti di un sound system si agitava dentro sonorità ripetitive e circolari, lievemente tintinnanti.

Qualcuno mi offrì da bere, non so, qualcosa di alcolico con un fondo amarognolo

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Qualcuno mi offrì da bere, non so, qualcosa di alcolico con un fondo amarognolo.

Ragazze dalle brustjie forti e robuste in corte t-shirt ruotavano allegramente. Una di loro si avvicinò, allargò il palmo di una mano afferrandomi e portandomi più vicino a lei. Con la sinistra mi teneva e con la destra riprese i suoi circoli sopra la bella testa. Io stavo immobile, non avevo detto una parola. Non me la sentivo, in quel momento, di reagire.

Qualcosa in me fluttuava o meglio evaporava. Cedevo ad un altro stato. Fisico e mentale. Saliva, lungo la mia gamba, uno di quei brividi sottili che fanno sorgere, ad ogni poro della pelle, come un piccolo vulcano eruttante, sensazioni di piacere e questo brivido serpeggiava su per le infime asperità del tessuto nervoso, fino a raggiungere le masse più carnose. Qui si arrestava e si disperdeva in piccoli rigagnoli di piacere come un torrente che si dissolve in una vasta pianura perfettamente piana.

La danza a cui ero invitato non era più il Kozachok o la Hopa, quella marziale dei cosacchi, nemmeno con mio sommo dispiacere la Trojka ispirata al tipico calesse o slitta e ancora meglio la Khorovod, il meraviglioso ballo in cerchio, più aggrazia...

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La danza a cui ero invitato non era più il Kozachok o la Hopa, quella marziale dei cosacchi, nemmeno con mio sommo dispiacere la Trojka ispirata al tipico calesse o slitta e ancora meglio la Khorovod, il meraviglioso ballo in cerchio, più aggraziato e lento, accompagnato dal suono della balalaika. No, si trattava di un ballo selvaggio, senza nessun ordine geometrico o prospettico, ognuno sembrava ballare per sé, salvo brevi congiunzioni apparentemente casuali, e in gran parte era solo un gran ciondolare come tante mucche portate al pascolo. La musica era stordente, fatte di sonorità screziate elaborate al computer, senza un inizio e una fine.

Ero cresciuto destreggiandomi con il Vprisyadku, con cui il cavaliere mostra alla dama la sua valenza fisica e il suo entusiasmo, dove i ragazzi stando accovacciati e con le braccia incrociate sul petto, continuano a alternare le gambe in un movimento in avanti, restando però in equilibrio e seguendo il ritmo frenetico della musica. E dove spesso vengono utilizzati pugnali e sciabole, con mosse che mimano le azioni in battaglia a difesa della patria, ovvero a simboleggiare le grandi sofferenze e le grandi realizzazioni, in cui esiste un rapporto del ballo con la natura forte e selvaggia delle nostre terre che ne ha plasmato il carattere e le tradizioni. Pianure interminabili, foreste sconfinate, fiumi immensi e lunghissimi e il brillare delle lame d'accciaio.

E invece eccomi del tutto estraniato a tentare di ballare su di un marciapiede. Mio Dio che cosa è rimasto oggi della Russia!

Chiesi il nome alla bella ragazza che mi aveva invitato.

- Mi chiamo Jessica

Mi mostrai stupito, pensai – ecco, un'altra vittima della globalizzazione.

- Beh, si, no, mi faccio chiamare così, ma il mio vero nome è Avdusja

La guardai nei suoi occhi chiari, dentro i quali potevo perdermi tanto era forte il mio desiderio di vastità, che mai avevo provato. Qualcosa in me stava cambiando. Persino le sonorità adesso sembravano maestose, innaturali e disposte per strati sovrapposti attraverso i quali Angeli e Arcangeli in coro simulavano il celestiale nella forma del suono puro dei pianeti in rotazione.

Dusja mi porse una bottiglietta di un liquido simile ad acqua.

- Myska, bevi in altro po', vedrai che comprenderai meglio la nostra danza

Un ombra si frappose e interruppe il contatto con la danzatrice.

Katherina apparve d'improvviso e risolse la situazione spingendomi di lato, fino a condurmi appena dietro l'angolo della Smolenskaya Sennaya, almeno così mi parve.

- Siamo davanti al Ministero degli Affari Esteri – esclamò irritata e confusa - l'edificio più staliniano di Mosca, abbi rispetto!!!

- Katherina Filippovna non ti sapevo esperta in storia

- Volodia non ti sapevo tanto esperto in giovani donne!

Capivo la sua gelosia. Ma non volevo una schiava perché le schiave si picchiano e si buttano dopo essercene serviti e non ho mai saputo di un padrone che abbia fatto un piacere o un favore ad una schiava. Tuttavia cercai un contegno e mi irrigidii un po' e dissi:

- Ti ho cercata e non ti sei fatta trovare

- E quando sarò io ad aver voglia di vedere te?

- Tu potrai sempre vedermi....

Non potevo sottrarmi alle mie menzogne. Qualcosa in lei mi stordiva. Era sempre gentile e angelica. Sembrava che voleva in qualche modo prendersi cura di me. Questo sentimento mi trapassava da parte a parte. Come una spada affilata.



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