8. Last Riot

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" Nella foschia mattinale a passo incerto

   andavo verso sponde arcane e prodigiose"

  Vladimir Solov'ev


Decisi di intervenire, di effettuare la sortita. Catherina mi avrebbe accompagnato. Giusto per non insospettire i door poeple.  Poi avrei confessato il tutto alla polizia e incassato la taglia.

Si trattava di un monumentale palazzo della Bolshaia. Avevo visto giusto. Nell'ala più interna apparentemente fatiscente e dismessa. I sottili vetri delle grandi finestre, sormontate da finti timpani, in più punti erano infranti. Gli intonaci ammalorati e le gronde cadenti. Nell'insieme l'edificio non dava speranze, sarebbe stato presto demolito per far posto a grandi alberghi o autorimesse multipiano.

Era mattino presto, poco prima dell'alba. Katherina era inquieta. Non capiva la mie insistenze o forse il suo intuito già l'aveva informata.

-       Volodia, perché non me l'hai detto prima? Che cosa ti impedisce di essere chiaro con me? Sarei io?

-       Mia cara golubucka, seguimi e basta

Entrammo defilati, tra gruppetti di infreddoliti all'ingresso e strette di mano e ammiccamenti con il servizio d'ordine.

-       Ci sono degli invitati venuti da Pietroburgo, siete tra loro?

Mi sentivo eccitato, risposi – Siamo tra loro, questo è il nostro Last Riot

Ammutolirono e ci fecero passare.

Dopo un lunghissimo corridoio buio entrammo dentro un grande quanto desolato salone con finestre sbarrate da cartoni e cellophan, lì dentro, cento persone inondate da suoni elettronici nella quasi oscurità si contorcevano con lentezza specchiata

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Dopo un lunghissimo corridoio buio entrammo dentro un grande quanto desolato salone con finestre sbarrate da cartoni e cellophan, lì dentro, cento persone inondate da suoni elettronici nella quasi oscurità si contorcevano con lentezza specchiata.

Il complesso di edifici che forse in un tempo sovietico, neanche poi molto lontano era partecipe di una vita scandita in ritmi dilatati e neorealisti, ormai quasi del tutto in rovina, espulso e abbandonato, era ora centro e inizio di una nuova vita dai ritmi certamente ossessivi ma ancora ipnotici.

Ma appena oltre, nella sala successiva e in quella dopo, le stesse figure parevano immobili e posate. Gli addobbi surreali o più reali del reale erano sontuosi e ridondanti. Volti aristocratici o infantili. Giovani spaesati e assorti. Dame malinconiche e sensuali. Scenografie pompose. Due strani camerieri in livrea rossa ci servirono cerimoniosi della vodka in calici di cristallo.

Pensai – ci siamo, ci sarà dentro del Soma o chissà cos'altro

Ma non potevo sottrarmi, dovevo giocare la mia partita fino in fondo.

Ma non potevo sottrarmi, dovevo giocare la mia partita fino in fondo

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