5- Portami sempre con te.

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Non sarei mai dovuto tornare a scuola quel giorno; avrei dovuto incatenarmi al letto. Io ed Eric ci andammo insieme, come ogni mattina: cercavo di dimostrargli che tutto era al suo posto, che andava tutto bene; ma ero sull'orlo di una crisi di nervi, non potevo far altro che pensare a tutto ciò che era successo al suo compleanno.
Sentivo lo sguardo di tutti addosso, mi sentivo circondato ed il motivo lo scoprii quasi subito: tra i muri della scuola stava circolando la voce che affermava che io, Eric e Gonzalo eravamo stati avvistati mentre raggiungevamo la camera da letto al piano di sopra e che non eravamo stati visti più per un bel po' di tempo; erano in molti a sostenerlo e la voce saltò subito all'orecchio di Isabelle, che ci raggiunse in fretta ed in furia, amareggiata, arrabbiata, ma più che altro delusa.
'Non mi interessa di non esser stata invitata al tuo compleanno'... 'E non mi interessa nemmeno che tu non me l'abbia detto' continuò poi, riferendosi a me con tono dispregiativo; era veramente arrabbiata, ma come era possibile darle torto?
'Lo sai che tra noi non scorre buon sangue' Si limitò a dire Eric, in maniera molto indifferente; non era giusto, Isabelle non meritava quel trattamento e non avrei permesso che si rivolgesse a lei in tal maniera.
'Isabelle, mi dispiace sono mortificato te lo giuro, se l'avessi saputo prima te l'avrei detto. Tu sei la mia migliore amica.'
'Ho appena detto che non mi interessa. Ciò che voglio sapere riguarda le voci che circolano; perché a questo punto non so più quanto valga la nostra amicizia per te!' Esclamò con voce smorzata.
'Isabelle mi dispiace, ti prego non urlare: aveva detto che non vi stavate frequentando più.' Provai a farfugliare qualcosa, ma in realtà non feci altro che peggiorare la situazione; nel mentre che lei mi rinfacciava il fatto di avermi detto più volte che la sua frequentazione andava a gonfie vele, mi arrivò uno schiaffo dritto in faccia. E no, il mittente non era Isabelle, ma Eric. Realizzai il perché: non volendo non avevo fatto altro che confermare le teorie che erano in bocca a praticamente tutta la scuola.
Per descrivere quel momento si potrebbero usare tanti aggettivi: imbarazzo, violenza, stupore... ma ciò che mi rimase impresso fu il gelo; il gelo che calò lungo tutto il corridoio, il silenzio che si faceva sempre più assordante. Ricordo i miei occhi spalancati rivolti verso Eric, poi verso Isabelle, verso le persone che popolavano il corridoio ed i loro sguardi puntati su di me.
Poi ricordo la mia corsa, la mia corsa verso una meta non definita, ma che si arrestò fino a che non raggiunsi il cortile della scuola dove mi sedetti a terra; proprio sotto un albero di ciliegio. Accesi una sigaretta; non fumavo molto in effetti, ma ne avevo bisogno, come quando un neonato cerca disperatamente il seno della madre.
C'erano tante persone, vedevo i loro occhi giudicanti su di me, mentre tenevo stretta la mia sigaretta, e pensavo che pur essendoci tante persone non avevo nessuno, o meglio, non mi era rimasto nessuno e tantomeno qualcuno sarebbe stato interessato a chiedermi cosa mi stesse succedendo. Realizzai che stavo dando troppo di me solo ed esclusivamente ad Eric e stavo letteralmente chiudendomi alla vita esterna; la mia amicizia con Isabelle era messa a dura prova, e non ero pronto a perderla.
Lo vidi arrivare in lontananza; mi nascosi: non avevo voglia di vederlo, ma mi trovò comunque, come quando da piccoli giocavamo a nascondino e mi trovava sempre ed io mi arrabbiavo con lui, anche se poi il tutto finiva con una sonora risata. Ma quel giorno non ci fu nessuna sonora risata.
'Eric vai via, non ho voglia di ascoltarti.' Balbettai, rassegnato, tra le lacrime.
'Mi dispiace, non avrei voluto. Sono mortificato, ti prego perdonami'
'Il problema non è lo schiaffo, è stato solo la goccia che ha fatto traboccare il vaso! Ho sentito cosa ti ha sussurato ieri Gonzalo! Tu gli hai fatto vedere il video!'
La sua faccia assunse un colore rosso fuoco, avrebbe preferito sprofondare. Mi fissava; lo fissavo, in quello che sembrava esser diventato un gioco di sguardi. Lo sfondo sembrava sempre più vuoto; era come se non vedessi nessuno più, ma solo lui, sentivo solo dei brusii confusi.
'Ti prego, partiamo, andiamo in Francia, ci farà solo del bene.' Aveva gli occhi lucidi, ma in cuor mio sapevo che dovevo essere forte, per tutte le volte che non lo ero stato. Il mio pianto nel frattempo era sempre più forte, intenso.
Presi coraggio, lo guardai fisso negli occhi e proferii quelle maledette parole: 'Eric, ho bisogno di stare un po' di tempo da solo.'
Silenzio, silenzio tombale, i ragazzi attorno parlavano, ridevano e scherzavano tra loro, ma io non sentivo più nulla, nemmeno quei brusii confusi: il senso di colpa stava iniziando a soffocarmi quando lo vidi piangere, ma non riuscivo più a reggere quella situazione.
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*un po' di anni prima*
'Domani parti per la Francia allora?' Chiesi, timoroso della sua risposta.
'Si, mamma e papà hanno già affittato l'aereo... tra un po' devo tornare a casa, devo preparare la valigia...' Mi rispose, seduto sul mio lettino mentre abbracciava il cuscino.
'Non posso stare lontano da te una settimana: sei il mio migliore amico' Affermai con le lacrime agli occhi per poi abbracciarlo.
Gli porsi il mio peluche orsetto: 'tienilo, se ti sentirai solo pensami.'
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Ero da solo nella mia camera da letto il giorno in cui mi presi una pausa dalla mia relazione con Eric; pensavo e ripensavo a tutti i nostri bei momenti passati insieme, e stringevo fortissimo quel peluche orsetto: me ne regalò un altro uguale quando eravamo piccoli, perché il mio l'aveva tenuto lui.
Piangevo; ero in crisi, volevo solo urlare al mondo il mio dolore: non era possibile una cosa del genere, non sapevo cos'era la vita al di fuori di Eric, non l'avevo mai immaginato.
Era una costante per me: in tutto c'era lui, in tutte le mie giornate, in tutti i miei pensieri, in tutti i miei istanti, dal momento della sua nascita.
Qualcuno aprii la porta, me ne accorsi dal suo cigolio.
'Mamma...vieni qui, ho bisogno di te.'
'Va tutto bene tesoro, tornerete insieme, lo sai non è possibile per voi stare lontani.'
'Mamma, mi ha fatto tanto male.' Singhiozzai, mentre abbassai la testa sulla sua spalla e avvolsi il mio braccio attorno a lei.
'Mamma, ti voglio tanto bene'
'Anche io tesoro, anche io. Mamma ti vorrà sempre bene. Adesso dormi.' Mi sussurrò dolcemente all'orecchio, come solo una mamma sa fare. Mi stesi per bene e mi girai dall'altro lato, il cuscino e le lenzuola erano ormai tutti bagnati, e lei era lì, stesa accanto a me.

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