capitolo VII

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Monica's POV

Il motorhome è immerso nella penombra ed è fortunatamente fresco.
È ordinato, ma non impersonale.
Su un comodino accanto al letto c'è una foto di Izan con suo fratello, Aitor, mentre su una sedia c'è una maglietta del Siviglia con il suo nome e numero.
Nell'aria aleggia il suo profumo. Sa di mare, di caffè e di gentilezza.

Mi cambio in fretta, come se fossi in ritardo.
In realtà, a mettermi sotto pressione è dover parlare con Pietro.
Non posso fingere di aver dimenticato cosa mi ha detto al colloquio, ma pensavo che intendesse altro.
Lo scoprirò presto.

Quando esco, scappo nel box. Prendo posto al mio tavolino, dove tutti sanno di potermi trovare.
Poco dopo, appare Pietro.

«Monica, credevo di avertelo spiegato. Io ti ho assunta, hai talento, ma ti avevo fatto una sola raccomandazione: non dovevi legare troppo con i piloti. Sono passati meno di tre giorni e già fai colazione con loro. Non ti dico di avere un brutto rapporto, ma cerca di evitare eccessive confidenze. Non ho intenzione di licenziarti per questo solo... Non esagerare con la confidenza.»

Detesto quando Vorla mi chiama per nome. Detesto i suoi modi da padre di famiglia misericordioso. Detesto il suo modo di parlare, ripetendo più volte la stessa frase per assicurarsi che l'abbia assimilata.

Non rispondo. Sono arrabbiata, infastidita, contrariata, e se esistessero altri aggettivi più adatti di questi li userei.

Faccio tre respiri profondi, uno dopo l'altro, per calmarmi.
Pietro non è cattivo, è solo apprensivo.
Ha paura che possa "distrarre" le sue oche dalle uova d'oro, e che comincino a sfornare uova di ghisa.
Certo, è un brutto paragone, ma rende molto l'idea.

È brutto da ammettere, ma credo di potermelo lavorare fino a farlo ricredere.
Se lui non ha intenzione di perdere le sue uova d'oro, io non ho intenzione di perdere il rapporto con le oche.

Picchio con forza sulla tastiera del computer, nervosa nonostante la mia consapevolezza.
Sono arrabbiata.
Non voglio credere che abbia il pieno controllo su con chi parlo o mi relaziono.

Izan's POV

Monica è nervosa, lo si vede da come scrive, battendo le dita violentemente sui tasti.

Ho visto prima Pietro parlarle, e da allora non è più la stessa.
Eppure non è in ansia, è evidente: è arrabbiata.

In un angolo, noto Pedro che la guarda, fingendo di guardare la moto. Probabilmente non sa cosa fare. Io sì.

«Tutto a posto? Che ti ha detto Pietro?»

Le chiedo, avvicinandomi.

«Nulla di importante. Apprensione, che in quanto tale è inutile. Tutto qui.»

Non è vero, si vede. Non mi guarda nemmeno negli occhi, come è solita a fare.
Sono sicuro che chiedere a Pietro sia una pessima idea, perciò decido di aspettare che si calmi e fingere, almeno per un po', che questa spiegazione mi basti.

«OK, perfetto. Se c'è qualche problema e ti va di parlarne, sai dove trovarmi.»

Sembra sollevata che glielo abbia chiesto, ma è come se qualcosa la bloccasse.
Non vorrei lasciar correre, ma ora devo proprio andare a prepararmi per la gara.

Nel motorhome c'è ancora il suo profumo. È dolce, sa di cocco e della sua calma allegria.
Mi godo quell'aroma delizioso finché non comincia ad affievolirsi, costringendomi a cambiarmi.

Monica's POV

Fa caldo, ma ho i brividi.
Cammino nella griglia di partenza, fino a raggiungere i piloti Ducati, al quarto e al decimo posto.

Li intervisto brevemente, prima che i reporter di DAZN e Sky me li portino via.
Sono tesi, si sente dalla voce e dalle frasi concise.

Pedro continua a bere dalla sua borraccia, mentre Izan sembra quasi respinto dall'idea di farlo.

Immagino solo quanto i loro stomaci siano in subbuglio. La preoccupazione, la paura, la tensione, la pressione proveniente dal team e da se stessi, la voglia di spingersi oltre al proprio limite.

Non sarò io a dire loro quanto il loro sport sia pericoloso. Lo sanno già, e anche ammesso che non fosse così non è compito mio renderli partecipi dei rischi che corrono.

Forse ho persino più paura io che loro. Loro temono la sconfitta, io temo un loro infortunio, o peggio.
Accantono il pensiero con difficoltà quando un altro brivido mi scuote.

Arriva un meccanico a chiamarmi, chiedendomi di seguirlo.
Gli chiedo cosa stesse succedendo, ma non mi risponde.

Mi riporta sulla griglia di partenza, alla decima posizione.

«Ti volevo vedere ancora prima della gara. Non so cosa fare per calmare l'ansia. Non so se è mai stata così forte.»

Il volto di Izan è una maschera di preoccupazione. Non so che fare: non voglio piombare nei soliti cliché, ma mi chiedo cosa dovrei dirgli.
Mi afferra la mano con la sua, guantata.

«Non devi preoccuparti così. L'anno scorso sei andato bene qui, a Losail. Il rettilineo può farti recuperare qualche posizione, e in ogni caso è una gara, non la fine del mondo.»

Mi fermo un attimo, ma non sembra essersi calmato molto. Ho ancora un po' di tempo, quindi decido di sfruttarlo come serve.

«È normale essere tesi, senza ansia non si possono raggiungere i risultati che ci meritiamo. Ci dà energia, ma non bisogna eccedere, altrimenti tutto ci si ritorce contro. Fai un respiro profondo e stai tranquillo. Se Losail non è il tuo circuito, ti rifarai a Mandalika. Ora rilassati, e dai il tuo massimo. Vedrai, sarà abbastanza.»

Sembra rilassarsi abbastanza.
Naturalmente non si può essere del tutto sereni prima di lanciarsi a trecento kilometri all'ora su due ruote in una pista che non si sente propria, ma si può calmarsi quanto basta.
Non ne sono certa, ma credo che sia come una qualunque altra performance sportiva: una volta che hai iniziato la preoccupazione lascia il posto alla concentrazione.

«Mi guarderai dal box?»

Mi chiede, ora più rilassato e spavaldo.

«Naturalmente. È il mio lavoro, no?»

Al Momento Giusto | Izan Guevara Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora