capitolo XVI

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Monica's POV

Non so cosa mi abbia spinto ad accettare. Probabilmente è una pazzia.
Dovrei essere più rilassata ora: preoccuparmi mentre sono in un taxi a qualche kilometro da casa sua non serve.

La città che scorre fuori dai finestrini è pittoresca, assolata nonostante le temperature non troppo calde e l'aria frizzante.
Sembra appena uscita da uno di quei film romantici ambientati in cittadine graziose e turistiche.

Izan è in ospedale. Mi ha dato le chiavi di casa sua e della sua auto, così che possa andare a prenderlo.

Aveva ragione quando diceva che ci sarebbe stato spazio per entrambi: la casa è enorme e meravigliosa.

Mi aggiro per le stanze buie dalle tapparelle abbassate, una migliore dell'altra, arredate in stile moderno ma comunque molto accogliente e per niente "da volantino".

Prima di disfare i bagagli alzo le tapparelle e apro le finestre.
L'aria sa di mare ed il sole riscalda appena le stanze, quanto serve per farmi fremere le ossa di vita.
Non ricordo l'ultima volta che sono stata così felice.

Sistemo in fretta le valigie, e poco dopo Izan mi manda un messaggio.

"Tra poco mi dimetteranno. Ti spiace venire a prendermi? (;"

Scendo le scale che portano al garage e lo apro con un po' di titubanza mista ad una fortissima curiosità.

Il locale è enorme ed ordinato, tutto il contrario del garage incasinato che ho sempre avuto a casa mia.
Sì respira un forte profumo di benzina e olio idraulico, e rimango un attimo incantata, con gli occhi chiusi, nel silenzio rotto solo dal rumore delle onde in lontananza.
L'unica cosa che un po' mi perplime è la totale assenza di una motocicletta. Mi aspettavo di trovare una Ducati Panigale, o una Multistrada, invece nulla. Strano, ma poco importa: non sta a me.

Al centro dell'unica, grande stanza è parcheggiata una McLaren fiammante, probabilmente usata ben poco.
Non sono una grande appassionata di macchine, ma chiunque potrebbe vedere la meraviglia di quell'auto.

Mi avvicino e cammino percorrendo tutta la lunghezza della McLaren, sfiorandola appena con le dita.

Impaziente di guidarla, apro la porta del garage e la accendo.
Sento il motore rombare mentre inserisco la retromarcia per portarla in strada.

Izan's POV

Qualcuno bussa alla porta. Spero con tutto il cuore che sia Monica: sono stufo di piccole stanzette torride e impersonali e di medici e infermieri.
Voglio tornarmene a casa, ed ora che sono stato dimesso posso.

Entrano una giovanissima infermiera, molto simile a Nadia forse per gli stessi capelli biondo cenere, e Monica.

Lei ha gli occhi illuminati ed un enorme sorriso stampato in volto. Qualsiasi cosa possa essere successa, dev'essere davvero qualcosa di spaventosamente elettrizzante.

L'infermiera se ne va poco dopo, e Monica sembra non poter trattenersi più.

«Io. Adoro. La. Tua. Auto. No sul serio, che figata!»

Rido del suo entusiasmo, e lei ride con me. Quella ragazza è pura allegria.

Monica's POV

Guidare una macchina non mi ha mai dato particolari emozioni, ma forse era solo colpa della mia vecchia Panda.

Guidare la sua McLaren è elettrizzante, anche se non posso premere in fondo sull'acceleratore.

Arrivati a destinazione, mi piange il cuore dover rimettere quella bellezza in garage.

Tutto mi sembra nuovo e meraviglioso, tutto mi sembra un lusso inaudito che mi elettrizza tantissimo.
Izan sembra notarlo, ma non fa commenti.

Si muove con le stampelle, e devo aiutarlo a trascinarsi su per le scale. Ci farà l'abitudine, ma per ora ha ancora bisogno di una mano.
Dovrebbe muoversi in sedia a rotelle, ma è terribilmente testardo e fortunatamente riesce a reggersi quasi interamente sulle braccia.

È quasi mezzogiorno, perciò penso che cucinare qualche piatto sfizioso sia una buona idea.
Certo, per cucinare qualche piatto sfizioso ci vorrebbero un minimo di abilità in cucina, ma posso imparare.

Cerco online qualche ricetta, ma non trovo nulla di particolarmente buono.
Cerco di tirarmi in mente una ricetta di famiglia, e ricordo solo la ricetta per un dolce.

Da lì, un'idea: potrei cucinare un semplicissimo piatto di pasta e poi il mitico dolce di famiglia, che per me non ha mai avuto un nome.

Naturalmente, devo far sentire anche in suolo spagnolo la mia impronta italiana, cercando di fare la carbonara migliore della mia vita.
Non sono mai stata una cuoca, e il piatto è abbastanza banale, ma può comunque uscirne un buon pranzo.

Vado in cucina, cerco l'attrezzatura, indosso un grembiule e mi metto all'opera.
Prima la pasta: fortunatamente, Izan ha tutto il necessario già in casa.

Poco dopo, quando già comincia a spargersi per la casa un forte profumo di guanciale, sento il ticchettio delle stampelle avvicinarsi alla cucina.

«Che stai cucinando? Aspetta, fammi indovinare... No, non lo so, dimmelo tu.»

Ridiamo, poi gli confesso le mie intenzioni.

Sempre incespicando sulle stampelle, si avvicina ad un armadietto e indossa un altro grembiule.

«Ti do una mano. Devo apprendere i tuoi segreti da cuoca italiana.»

Dice avvicinandosi e sfregandosi le mani. Rido, ma poi mi accorgo che ha appoggiato le stampelle al tavolo.

«Che stai facendo? Già dovresti girare in sedia a rotelle... Non provare dolore perché sei imbottito di farmaci non ti autorizza a caricare troppo le tue gambe. Siediti, forza.»

Mi guarda di sbieco, ma non obietta. Probabilmente, si rende conto di essere stato lui a volere che mi prendessi cura di lui.

Formulare il pensiero mi dà un brivido, ma cerco di ignorarlo. Devo rimanere lucida il più possibile.

Una volta pronta la pasta, la metto nel forno a microonde, spento.

Izan mi guarda un po' confuso, quindi spiego perché l'ho fatto.

«Mia nonna ha sempre fatto così: si mette il piatto pronto nel microonde e si prepara il resto. Forza, prendimi una ciotola. Anzi, faccio io, tu stai lì.»

Sorride, forse un po' anche per la mia paranoia. Mi penserà eccessiva, ma voglio essere sicura che guarisca.

Verso la farina nella ciotola, ma poi la situazione degenera.
Lui mi lancia un po' di farina, e così faccio io, così finiamo entrambi bianchi di farina.
Ridiamo, ma poi continuiamo a preparare il dolce.

Appena fuori dal forno, non riusciamo a resistere ad assaggiarlo subito.
È bollente, ed è assolutamente terribile.

«È il dolce peggiore che abbia mangiato. Mia nonna non lo faceva così!»

Affermo con le lacrime agli occhi. Ridiamo, ma continuiamo a mangiarlo nonostante sia tremendo. Fa schifo, ed è mezzo bruciato, ma l'abbiamo fatto noi. E forse lo mangiamo proprio perché fa schifo.

Dopo un po', sporchi e con male alla pancia da tanto abbiamo riso, pranziamo con la carbonara.

«Sono felice di non averti lasciato tornare a casa. Altrimenti chi mi avrebbe preparato il dolce mezzo bruciato più terribile che abbia mai visto ed una carbonara degna del ristorante di Roma più... Beh, di Roma.»

Ridiamo ancora, ma il mio cuore salta un battito.

«Sono felice di non essere tornata a casa. Ma devo reperire la ricetta originale.»

Smetteremo mai di ridere? Mi auguro di no. È bellissimo passare tempo così allegramente, insieme.

Al Momento Giusto | Izan Guevara Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora