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Guglielmo D'aquino era un professore di grammatica e letteratura, con una passione sfrenata per la più antica e nobile forma di espressione da lui prediletta: la scrittura. Aveva sfornato saggi, romanzi e tantissimi racconti di ogni genere. Quindi, per istinto di sopravvivenza, la mente si era ancorata nell'azione che maggiormente aveva occupato la vita dell'uomo; dunque decise, attraverso essa, di comunicare ogni singola anomalia vissuta in quel giorno.

Ispezionato l'ambiente, da un armadietto di legno scuro, su cui vi erano impilati libri e riviste, tirò fuori un taccuino dalla copertina blu turchese e, senza pensarci, mise mano al taschino della camicia per prendere una penna. Aveva fatto un gesto talmente abituale che si sbalordì della mancanza dell'oggetto, seppur la sensazione di stupore durò solo un paio di secondi. Difatti si ricordò che i vestiti indossati non erano i suoi, e che vi aveva nascosto qualcosa dentro la piccola tasca. Tirò fuori il contenuto e mentre lo osservava, vaneggiando su cosa sarebbe successo se non se ne fosse accorto in tempo, si diresse verso il bagno. Accese la luce e lasciò cadere nel gabinetto le due pillole colorate, facendole affondare sotto il getto dello sciacquone. Poi, prima di andare via, la sua attenzione fu letteralmente rapita dall'immagine riflessa nello specchio. Era la seconda volta in quella giornata che il proprio aspetto metteva in disordine la sua mente, infrangendo così tutte le convinzioni che si era creato in un'intera vita.


  Quella persona non era lui, non poteva esserlo assolutamente. La sua razionalità non gli permetteva di fargli credere che quella figura che lo stava a guardare, con occhi acquosi ed increduli, fosse lui. Il volto striato da folte rughe che si diramavano in ogni direzione, e dove il nero pece aveva resistito per molti anni, più in su della fronte, ora era stato debellato dal bianco candido ed ovattato di tantissimi capelli che non accennavano a diradarsi. Ancora una volta il respiro gli si fece irregolare ed affannoso. Poteva sentire ogni fibra del suo corpo contaminata dal terrore più puro che si potesse concepire, e come in uno stato di paralisi totale, si accasciò sul pavimento impotente di muovere braccia e gambe. Aveva paura a toccarsi la propria barba, lunga ed ispida, paura nel sfiorare i solchi decisi sul suo viso, paura di guardarsi le mani tremanti con la loro pelle sottile e grinzosa; ma sopra ogni altra cosa, aveva un'angoscia smisurata perla certezza che tutto quanto fosse reale.

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