Urli

223 9 4
                                    

Ho così ante cose da dire che appena provo a metterle per iscritto svaniscono.
La mia testa sembra rifiutare tutti questi ricordi.
Ci sono troppe parole, emozioni lacrime che non ho scritto...
Se questa deve essere una storia mancano i dettagli.
Mi sono venuti in mente periodi che ho tralasciato perché avevo paura.
Paura che le persone intorno a me potessero credermi una ragazza infetta da una malattia che non esiste ma che la vivo dentro di me. Solo il mio cuore poteva dirmi quante siano state le volte che per colpa del cibo sono rimasta in camera mia a fissare il cellulare su un sito di diete e dimagrimento; anziché uscire con le mie amiche a prendere una pizza in centro.
Le fiacche voci che sentivo all'inizio si erano tramutate in urli provenienti da mostri creati da lei.
Ogni due settimane mi veniva un dolore al petto, mi faceva male il cuore quando mia madre mi annunciava che sarei dovuta andare da mio padre. Ogni due settimane veniva a prendere me e mio fratello la domenica.
Sorridevo sempre e cercavo di essere serena anche se a volte risultava la cosa più difficile del mondo. X faceva di tutto per mettermi in imbarazzo. Così facevano anche la madre e la sorella di X.
-"Mamma mia guarda che gambe!
sembri malata!"
-" Ma stai poco bene?!
Rimettiti mi raccomando"
Mi ripetevano parole che mi davano fastidio. Mi agitavo quando sentivo una di queste tre donne parlare di me come se io non ci fossi.
Le odiavo! Volevo che la smettessero di parlarmi in quella maniera.
Erano cattive nei miei confronti, sentivo nei loro toni di voce che non mi volevano aiutare.
Le cattiverie che sparavano erano tante, tutte però in assenza di mio papà.
Io amo mio padre ma a volete avrei desiderato che scomparisse. Non sentiva e non capiva. Più volte avevo provato a rivelargli tutto ma poi mi bloccavo. Non so perché ma mi vergognavo, non avevo tanta confidenza anche se era sangue del mio sangue.
A loro piaceva vedermi soffrire, anche quando parlavano di cose assolutamente normali.
X cucinava la pizza.
Solo ed esclusivamente quello.
Un giorno provai a chiederle di farmela senza mozzarella: per me mangiarne una era peggio che morire, pensavo a tutte quelle calorie e alle ore di ginnastica per smaltirla.
Mi guardava in malo modo se gliela chiedevo così!
Io, secondo loro, ero obbligata a mangiare le loro pizze ogni volta che venivo.
Quando l'assaggiavo ero troppo preoccupata e triste che non riuscivo nemmeno a godermi il gusto. Non sapevo che sapore avesse.
Ero trafitta di dolore e stupidaggini che facevano della mia vita un inferno.
Una cosa positiva c'era: quando mangiavo forzata sentivo che lei: l'anoressia e queste voci si facevano sempre più deboli. Ma quando avevo finito ritornavano più forti e acute di prima. Così violente che mi soffocavano. Ed era per questo che gli davo ragione e mangiavo poco o niente.
Mi deprimevo se non uscivo a correre alla mattina. Mia madre non voleva che facessi ginnastica ma era più forte di me: dovevo andarci a tutti i costi. Così alle 6.30 del mattino mi alzavo e a stomaco vuoto uscivo di casa con le chiavi e il cellulare per controllare quanti minuti facevo e calorie perdevo.
Pioggia, neve o vento io ero fuori di casa: andavo nel parco sotto casa mia che era perfetto.
Un luogo che in quell'ora era deserto.
Mi piaceva andare lì, non so perché ma aveva un grande valore affettivo per me.
Mi faceva sentire libera, e correre risvegliava, purtroppo, la mia parte malata che a qualsiasi grammo perso, diventava sempre più potente e severa: mi comandava. Non potevo farci nulla, tranne che obbedire.
Non so come descrivere il mio stato d'animo, era un misto di gioia e odio. Per me era l'unico posto che mi rendeva felice...
Ma vi assicuro che la sensazione di libertà che entrava dentro di me quando bevo finito di correre era fantastica.
Correvo molto, ero stanca, certo, ma non la sentivo e non ci davo peso. Quando non ce la facevo più non mi fermavo, correvo e cercavo di distrarmi. Avevo iniziato con un'ora, dopo poco tempo riuscivo a farne due senza fiatone. A ripensarci era veramente una cosa da pazzi.
I chilometri percorsi erano quasi quelli di un maratoneta.
La cosa mi entusiasmava. Ma sapevo che non dovevo farlo, o meglio, non così tanto!
L'orario era sempre quello: dalle 2.30 alle 3.30/ 4.20 . Il momento in cui il sole era più caldo, non c'era anima viva. Faceva un caldo infernale, e io con la tuta e la felpa. Motivo di caldo, ma così facendo mi sentivo ancora più magra.
Ancora più vicina al sogno di dimagrire.
Mi stufavo da sola quando pensavo a queste cose, perché nessuno nasce mai con delle fisse mentali, te le fanno venire o te le crei da solo: nel mio caso X aveva svegliato una parte che ero inconscia di possedere. Pero a poco a poco io l'alimentavo.
Prima ero una ragazza normale, mangiavo di tutto senza problemi e soprattutto non avevo fatto preoccupare nessuno; mentre ora a malapena prendevo l'autobus per paura di cadere nelle curve ( e poi avrei camminato per bruciare...)
I miei compagni di scuola sapevano che che qualcosa non andava e mi guardavano impietositi quando ripetevo che era solo un "fatto di metabolismo".
Mi ero chiusa dentro di me.
Iniziarono a piacermi l'inverno, la pioggia e le nuvole.
Mi rifugiavo nel bosco che conoscevo nella mia cittadina mentre correvo e respiravo e correvo.
Avevo lo sguardo stanco per i troppi lavori che facevo, le occhiaie mi cerchiavano gli occhi.
Tutti mi hanno sempre fatto i complimenti per il loro colore: azzurro. Avevo gli occhi celesti, cangianti. Vicino alla pupilla erano azzurro chiaro, mentre nel bordo diventavano grigi.
Avevano perso lucentezza, il colore sembrava sbiadito come una piantina senza acqua. L'azzurro era diventato spento e non si capiva bene che colore fosse..
La malattia mi stava consumando, non solo energicamente ma anche mentalmente.
Pensavo troppo
e mi deprimevo.
Mangiavo poco
ed ero felice!

UstioniDove le storie prendono vita. Scoprilo ora