Capitolo 1

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Diverse albe avevo visto da quel giorno, altrettante erano le notti che vi erano seguite. La paura, anche a seguito della sconfitta dell'Oscuro, non era svanita subito. Anche se Keramzin, come il resto del paese, si era fatto un posto tranquillo. La serenità si era diffusa tra la gente, ma ancora potevo sentirla acclamare e pregare Sankta Alina. Avevo sempre odiato quell'appellativo. Avevo sempre saputo, fin dal primo istante in cui l'avevo perso, che il potere Grisha mi sarebbe mancato, solo non sapevo quanto. Spesso mi scoprivo seduta sul bordo della finestra chiusa, con le dita intrecciate nei giochi di luce che attraversavano il vetro rendendolo caldo. Sospiravo di continuo, nonostante avessi tutto quello che avevo sempre desiderato: una vita tranquilla, senza l'incombenza della Faglia né dei Volcra o altre guerre. Una vita passata al fianco del ragazzo, diventato uomo, dal quale sarei sempre ritornata. Mal. Lui che la notte mi stringeva a sé, mi baciava le tempie quando rabbrividivo e si occupava con tutta la sua dedizione all'Orfanotrofio.

Arriverà, mi ripetevo nella mente giorno dopo giorno pensando a quella tanto agognata felicità che avrei provato per essere riuscita nel mio intento. Avevo cercato di convincermi che il mio potere se ne era andato non solo per via del sacrificio di Mal, ma perché non ce ne era più bisogno. Mi dicevo che non era importante quanto mi mancasse quella forza, quel calore e quella luce, non ne avevo più bisogno. Mentire a me stessa era qualcosa a cui, ormai, ero abituata.

"Nessuna tomba che possano profanare." aveva ansimato l'Oscuro quel giorno e io scioccamente glielo avevo promesso. Sapevo che era giusto così, che tutte le atrocità che aveva compiuto nel corso della sua lunghissima vita gli avrebbe valso null'altro che disprezzo. Che io stessa non sarei stata in grado di sopportare, nonostante tutto, i fanatici di Sankta Alina e tutti gli altri deturpare il luogo del suo eterno riposo. Nonostante questo, dopo anni non avevo retto più. Poco più a sud dell'Orfanotrofio a Keramzin sorgeva un fitto boschetto, un luogo dimenticato dai Santi dove persino la selvaggina scarseggiava e per questo nemmeno i Tracciatori più esperti vi si recavano mai. Andava contro qualsiasi mio principio etico, forse addirittura contro la stessa promessa che gli avevo fatto sulla Velasabbia. Il suo letto di morte. Ma io non avevo retto più l'idea che di lui non fosse rimasto più nulla, che la sua sarebbe stata nient'altro che un'impronta, per quanto oscura, nel tempo sarebbe sbiadita.

«Dove vai?» chiese Mal, scorgevo nei suoi occhi azzurri un velo di preoccupazione.

«Solo a fare un passeggiata.» risposi, sfoderando un tenue sorriso. Avevo sempre mal sopportato la pesantezza di quel giorno particolare, lui lo sapeva. Il fatto che coincidesse con il giorno della nostra rinascita, dell'inizio della nostra nuova vita, la conferma di quelle che un tempo erano state le sue parole confortanti "Siamo sempre solo io e te, Alina", non lo rendeva meno doloroso.
Uscì, lasciandomi alle spalle la porta senza voltarmi indietro per raggiungere quel boschetto. Cosa vi fosse nel cuore fitto di quel luogo lo sapevo solo io. Mi ci recavo al crepuscolo, quando gli ultimi raggi di luce solare colpivano la curvatura della terra, appena prima di essere inghiottita dalla notte. Non era un altare, avevo una tale repulsione per tutte quelle cose che potevano ricordare un Santo che per la mente nemmeno il pensiero mi aveva sfiorato. Era solo il tronco di un albero, la corteccia strappata via mi aveva lasciato segni evidenti sotto le unghie, e vi avevo dipinto sopra l'eclissi di sole. Il simbolo dell'Oscuro, un luogo in cui quando mi ci recavo ero libera di piangerlo. Dopotutto, essere una Mappatrice era tornato utile in un modo che non avevo immaginato.

"Qualcuno che mi piange." aveva detto quel giorno, la voce incrinata per via del pugnale che io stessa gli avevo conficcato nella carne strappandogli la vita. Non ne avevo la certezza, ma con gli anni mi ero convinta che quella frase fosse frutto della sua sorpresa nello scoprire che alla fine ci sarebbe stato qualcuno che a piangerlo. Che avrebbe pianto Aleksander, non l'Oscuro. Erano due persone che troppo tardi forse avevo imparato a distinguere.
Mi inginocchiai davanti al quel tronco, passando la mano sul disegno con una lentezza inumana. Calde lacrime mi rigavano il viso ogni singola volta.

"Ancora una volta. Di' il mio nome ancora una volta." quasi credevo di sentirlo.

«Aleksander.» piansi e, senza rendermene conto, alla fine mi addormentai rannicchiata fra le radici.

«Alina.»
Mi tirai su di scatto. Era arrivato.

In piedi, a pochi passi oltre l'albero che avevo dipinto c'era lui, bello come sempre e senza cicatrici sul volto, coi suoi occhi color quarzo. Allargò le braccia.
«Non dovresti essere qui.» risposi, ma questo non mi impedì di alzarmi da terra per andargli lentamente incontro e lasciare che mi stringesse fra le sue braccia. Tanto quanto almeno io stringevo lui.
«Tu mi chiami e io rispondo, Alina. Come ho sempre fatto.» disse, io sapevo che aveva ragione. Non l'aveva sempre avuta, almeno in quel senso? Mi allontanai.
«Eri sincero? Quando mi hai detto che avrei dovuto essere il tuo punto di equilibrio, avrei potuto mettere a freno il tuo potere?» lo guardavo, attanagliata dal rimorso.
«Non ti ho mai mentito. Ma Alina, metterti sulle spalle un simile peso è stato... un mio errore.» sospirò.

«Salvarmi non era compito tuo.»

«Ma avrei potuto?» chiesi, la voce mi si incrinò.

«Non sei felice, Alina? Perché tutto questo rimpianto?» domandò, passando le dita sul profilo della mia guancia rigata da un'unica lacrima. Quindi mi svegliai. Anche se non era la prima volta che lo sognavo, che mi addormentavo rannicchiata anno dopo anno fra quelle radici, ogni volta al risveglio cercavo traccia del suo passaggio. Qualcosa che mi lasciasse credere che davvero era stato lì, puntualmente non ve ne trovavo. Anche se c'era stato un momento in cui, per via del collare che mi aveva unita a lui, ero riuscita a vederlo anche a miglia di distanza, sapevo che quelli altro non erano che sogni. Che quello che vedevo era solo l'impronta del suo ricordo nella mia mente, un luogo dove non mi avrebbe mai abbandonato. 

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