Capitolo 6

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Avevo capito che più di quello, in quel momento, non mi avrebbe detto. Ma non aveva torto nel dire che avremmo avuto tutto il tempo del mondo, insieme, e che avrei dovuto fare della mia ancor poca pazienza una dote ben più spiccata. Alla fine, insieme a lui avevo lasciato in silenzio quel boschetto. Al limitare degli alberi ci attendeva un cavallo nero, probabilmente un frisone a giudicare dalla sua stazza. Solo in quel momento, quasi scioccamente, notai che lui non indossava la sua kefta e che da nessuna parte era più riportato il suo simbolo, nemmeno l'ombra di un ricamo andato. Appariva come un uomo normale, di qualche anno più grande di me, che indossava semplici abiti neri. Uno tra i tanti, solo di una bellezza che era sempre stata straordinaria.
Dopo essere montati in groppa all'animale cavalcammo per tutta la notte senza sosta. Cinta fra le sue forti braccia che reggevano le redini non avevo proferito parola, anche se avevo la mente attanagliata di domande in quel momento ero solo felice che lui fosse lì, egoisticamente ero felice di non essere più sola. Nemmeno gli chiesi dove mi stesse portando, dovevo imparare ad attendere e lo sapevo. Dopotutto, avevo tutto da capire di quell'inizio della mia nuova lunghissima vita. Dopo qualche miglia crollai addormentata.
Quando arrivammo in prossimità del confine con le terre di Shu Han, un tempo così pericolose apparivano ora perfettamente quiete e il giorno stava iniziando a volgere al termine. Avevo dormito diverse ore cullata da quello che doveva essere diventato un trotto appena dopo che l'Oscuro si era reso conto che mi ero addormentata. Notai un casolare poco lontano, più simile a un piccolo palazzo che non ad una vera e propria casa in realtà.

«Dove siamo?» domandai, una volta smontata da cavallo, con la voce ancora assonnata e la bocca impastata di chi si è appena destato.

«Questa, Alina, è la nuova residenza dell'Oscuro. Ora, visto che ci sei anche tu, anche dell'Evocaluce.» sollevai un sopracciglio, si stava beffando di me?

«Hai in mente qualcosa come un secondo Piccolo Palazzo?» domandai e lui scosse la testa, come divertito.

«No Alina, ma ancora una volta stai anticipando i tempi» io sbuffai.

«Forse sei tu che li dilati troppo?» gracchiai, punta sul viso da quel suo scherno. Voleva sul serio esasperarmi.

«Ho intenzione di raccontarti tutto, solo vorrei prima farti sistemare. Mangiare qualcosa, avremo tutta la notte per parlare.» questa e molte altre, pensai. A quel pensiero rabbrividì, ma non per paura o repulsione. Intanto, verso di noi arrivò di gran passo un uomo sulla cinquantina, con tutta l'aria di essere un servitore dai modi reverenziali che riservava all'Oscuro.

«Grazie Oraf, portalo nelle scuderie. Ti pregherei poi di avvisare Melina che siamo arrivati, la signorina Starkov avrà fame» impietrì. Lo tirai per un braccio, con un forte scossone che sembrò coglierlo di sorpresa.

«Sei impazzito?» se era possibile urlare a bassa voce, io lo avevo appena fatto.

«Sanno chi sei tu. Sapevano che stavo andando a prendere l'Evocaluce» impallidì, dopo tutti quegli anni in cui il mio segreto era stato mantenuto, in cui Sankta Alina era stata solo un vago ricordo, lui mi smascherava così.

«E...»

«Sanno anche chi sono io, sì.» mi anticipò.

«E gli sta bene?» il mio tono era decisamente sorpreso. Non capivo come fosse possibile che non avessero paura di lui, che non temessero il suo potere; l'oscurità che era in grado di creare.

«Prima cenerai, poi potremo parlare» aveva detto, sembrava un vero e proprio ordine e la cosa non mi piacque minimamente. Mi stava sottovalutando? Ora che ero di nuovo in possesso dei miei poteri? Anche senza i tre amplificatori rimanevo una delle Grisha più potenti che avessero mai camminato su questa terra.

«Non ho fame.» mi impuntai, piantando i piedi nel terreno.

«Mangerai lo stesso» il mio stomaco stava per brontolare, ma non mi smossi di un millimetro.

«No.»

«Alina. O mangi o non ti spiegherò un bel niente e nel caso non lo avessi notato ho una pazienza infinita. Vuoi aspettare qualche secolo prima di ricevere tutte le tue preziose risposte?» mi aveva messa all'angolo. Per un momento quasi credetti di riuscire a odiarlo, ma alla fine cedetti.

«D'accordo!» sbuffai e lui assunse un'espressione fastidiosamente compiaciuta.

Non dovemmo aspettare molto prima che la cena fosse servita in tavola e, apparentemente, tutti all'interno di quella casa sembravano perfettamente consci di chi fossi io e di chi fosse lui. Era raccapricciante eppure così liberatorio non doversi più nascondere. Non dover più mentire.

A cena parlammo del più e del meno: se la zuppa era di mio gradimento, se avrei preferito avere una stanza che dava sul parco o sul lago, di che colori avrei preferito i miei nuovi abiti e così via. Era passato appena un giorno da quella che era la mia vecchia vita eppure sembravano già trascorsi secoli. Una volta terminata la cena lui si ritirò per un bagno e mi invitò a fare lo stesso. In effetti, puzzavo di cavallo.

Più tardi Melina mi scortò nella mia stanza, dall'altra parte del corridoio ne faceva capolino un'altra  con una porta tutta nera. Nessun simbolo inciso sopra, ma capii che quella doveva essere la sua stanza.

«Non esiti a chiamarmi signorina Starkov, per qualsiasi cosa.» aveva detto la donna prima di fare un mezzo inchino e sparire giù per le scale. Chissà perché, le mie stanza alla fine erano sempre al secondo piano.

«Ebbene?» una voce tenue squarciò quell'attimo di apparente silenzio ed io mi voltai di scatto, l'Oscuro era appoggiato alla soglia della porta e mi guardava con uno sguardo imperscrutabile.

«Cosa?»

«La stanza, è di tuo gradimento?» domandò e notai un velo di trepidazione nella sua voce. Forse temeva che non fossi tanto impressionabile quanto una volta?

La stanza era vagamente simile a quella che avevo avuto al Piccolo Palazzo, non tanto per i colori o che, quanto più per la disposizione dei mobili. Non doveva essere un caso.

«Lo è. Ti ringrazio»

«Bene.» disse lentamente e per qualche istante rimanemmo a guardarci, senza proferire verbo,  poi lo vidi sparire nel corridoio. Rimasi interdetta, perché se ne stava andando?
«Aspetta! Credevo... credevo dovessimo parlare» esitai. Anche dopo quasi cento anni quell'uomo aveva uno strano effetto su di me. Lo vidi stringere i pugni e un campanello d'allarme risuonò nella mia testa.

Ma che sto facendo? mi chiesi. Lui era l'Oscuro, l'uomo che aveva creato la Faglia d'Ombra, che aveva accecato la propria madre, rovinato Genya, lasciato che una delle sue creature infettasse Nikolai. Senza considerare che quelle erano solo alcune delle atrocità con cui si era sporcato le mani. E io ero lì, con lui. Ero stata felice di vederlo, lo avevo pianto e per tutti quei decenni ogni anno ero andata a cercarlo disperatamente e...

«Alina?» mi chiamò vedendomi indietreggiare.

«Sta lontano da me.» 

A suo tempoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora