Capitolo 4

46 3 0
                                    

Melanie

Il predibattimento con il procuratore distrettuale per il caso Milton è stato un disastro. Un totale, completo, assoluto disastro. E, quel che è peggio, non me ne importa niente, non riesco a togliermi dalla mente un unico pensiero. L'incontro con Dylan di questa mattina, il suo corpo su di me, le sue labbra sulle mie. Mi sembra di vederlo ovunque tra la folla, ogni manifesto pubblicitario mi fissa con i suoi occhi, ogni frase captata nella metro ha il suono carezzevole della sua voce. 

Del resto, lui è sempre stato in grado di sconvolgermi. Sin dal primo momento in cui l'ho visto ho provato delle sensazioni terribilmente forti e, quel che è peggio, mi sono subito fidata ciecamente di lui. La facilità con cui ha rubato il mio cuore e ha sconvolto i miei sensi mi riempie ancora di stupore e di rabbia. Ancora di più perché dopo tanti anni ha ancora lo stesso effetto su di me. 

Come ha osato baciarmi? Cosa cazzo gli è venuto in mente stamattina?

Quando rientro in ufficio, Arthur mi aspetta con un'espressione da funerale. Lo guardo con irritazione, notando una volta di più i suoi bellissimi occhi verdi, i ricci scuri che gli incorniciano il viso fiero e il fisico statuario. 

Maledizione, perché non posso innamorarmi di lui? Sarebbe tutto più facile!

–Cazzo Melanie – esordisce, passandosi una mano sulla fronte – E adesso?

–Adesso siamo fottuti – replico, caustica – Se c'è un fondo di verità in quello che ha detto e se i suoi testimoni sono buoni la metà di quello che sembrano, al processo mi massacreranno! Milton si farà parecchi anni di carcere per sfruttamento della prostituzione.

–Dobbiamo chiedere un patteggiamento, Mel! – sbotta, tetro– Isaac Milton è un buon cliente, ma è uno stronzo! Se si dichiara colpevole possiamo ottenere una riduzione della pena.

–Non è colpevole fino a prova contraria – replico, cocciuta – Dobbiamo smontare i suoi testimoni e trovarne altri a nostro favore.

Mi dirigo verso il mio ufficio, piantando in asso Arthur. So di essere irragionevole. Credo nella giustizia e che tutti abbiano diritto ad una buona difesa. Milton è un uomo viscido e calcolatore ed è invischiato in un losco giro di prostituzione, dietro il paravento di un'innocua agenzia di servizi. Se fosse stato chiunque altro non avrei mai accettato il caso e l'avrei lasciato finire in prigione.

Ma lui non è chiunque altro. Non può essere colpevole. Non voglio che sia colpevole. Perché se lo fosse il mio peggiore incubo sarebbe realtà.

Mi lascio cadere sulla sedia e apro il fascicolo del caso per studiarlo per l'ennesima volta. I miei occhi fissano gli appunti senza guardarli, mentre la mia mente è lontana, persa tra i ricordi più dolorosi.

***

Il cielo illividisce all'arrivo dell'alba, illuminando la mia stanza d'albergo di un tenue chiarore. Lui è steso accanto a me, meravigliosamente nudo. Dorme tranquillo, supino, una mano intrecciata alla mia, una gamba piegata ad angolo retto. Non posso fare a meno di ammirare ogni dettaglio di lui con viva meraviglia. Ogni volta che lo guardo provo questo languido stupore: è perfetto. Ogni muscolo del suo corpo è cesellato come quello di una statua greca, dalle cosce tornite agli addominali scolpiti, dai pettorali ricoperti da una lieve peluria bionda ai bicipiti perfettamente delineati. 

Beh, non proprio come una statua greca! 

La vocina dentro di me non manca di attirare la mia attenzione su quella notevole parte del suo corpo capace di darmi così tanto piacere. Con un grande sforzo di volontà, porto il mio sguardo sul suo viso, solo per notare una volta di più che c'è qualcosa di commovente nel modo in cui le sue lunghe ciglia ombreggiano le sue guance, nella piega sensuale delle labbra, nei capelli biondi scompigliati dal sonno che gli donano un'aria fanciullesca. Sento in me un profondo turbamento a cui esito a dare un nome, perché l'unico nome che potrei dare a questo sentimento così repentino e totalizzante mi spaventa. 

La legge del cuoreDove le storie prendono vita. Scoprilo ora