Capitolo 6

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Melanie

–Ti avevo detto di tenere Jordan in camera! – sibilo a Stephanie, mentre con gran fatica stendiamo Dylan per terra. Mi è crollato addosso all'improvviso e non ho dubbi su quale sia la causa dello shock. La somiglianza tra lui e mio figlio è impressionante. 

Nostro figlio. Come suona strano anche solo pensare queste due parole. 

Recupero in tutta fretta un cuscino per sollevargli le gambe, sentendomi improvvisamente impotente e colpevole.

–Ho fatto qualcosa di male, mamma? – mi chiede preoccupato, guardando Dylan con un misto di paura e curiosità.

–No, tesoro. Stai tranquillo, il mio amico si sveglierà presto – gli faccio un debole sorriso, mentre schiaffeggio Dylan per cercare di farlo riprendere. Vederlo lì per terra, così pallido e indifeso mi strizza il cuore. Gli sposto una ciocca di capelli dalla fronte, in una leggera carezza.

–Melanie Susan Carter! Che diavolo stai facendo? – mia sorella mi guarda con occhi di brace e mi sento nuda davanti a lei. La sua espressione è scandalizzata, il suo viso riflette l'odio che ho provato per Dylan in questi anni. Non mi stupisce, lei ha raccolto le mie lacrime, è stata la mia confidente, il mio sostegno. 

A chi altri avrei potuto raccontare quella orribile storia? A mio padre? Il giudice tutto di un pezzo? Alla mia matrigna? Non riesco ad immaginare una persona più falsa. A Zach, il ragazzo con cui uscivo allora e che mi disprezzava perché a ventiquattro anni suonati ero ancora vergine? No, Stephanie era l'unica a potersi fare carico della mia sofferenza, l'unica di cui potessi fidarmi. E nonostante fosse poco più che adolescente le ho rovesciato addosso il mio dolore e ho alimentato in lei un rancore feroce verso Dylan. Quel rancore che credevo di provare anch'io. Ora non sono più sicura di quello che provo.

–Per favore, andate di là, io e Dylan dobbiamo parlare.

Sorrido coraggiosamente, ma le mie labbra si paralizzano in una smorfia quando mi accorgo che lui ha ripreso i sensi e mi fissa con uno sguardo che congelerebbe l'inferno. Mia sorella mi squadra con un misto di rabbia e disprezzo, ma asseconda la mia richiesta. So che me la farà pagare più tardi con una ramanzina con i fiocchi. Non appena restiamo soli, raccolgo tutto il mio coraggio e affronto quegli occhi di fuoco azzurro.

–Dobbiamo parlare? – la sua voce è incrinata dalla rabbia, non l'ho mai visto così sconvolto –Dobbiamo parlare? Dovevamo parlare parecchi anni fa! Come cazzo ti è venuto in mente di nascondermi una cosa simile per tutto questo tempo? – si tira su a sedere con un po' di fatica, sono costretta a sorreggerlo – Cristo Melanie, avevo il diritto di sapere che ho un figlio!

–Non ti volevo nella nostra vita! – sbotto, reprimendo l'impulso di abbracciarlo e mettendomi sulla difensiva –E non ti ci voglio nemmeno adesso!

–Non hai cercato nemmeno di negarlo... – il suo mormorio è un rantolo di dolore, mi sento profondamente colpevole.

–Mi avresti creduto? – al suo segno di diniego, la morsa del senso di colpa mi serra ancora di più lo stomaco – E comunque, non me ne frega niente! Non ti devo niente! Non hai nessun diritto, dopo quello che mi hai fatto!

–Mettiamo in chiaro una cosa! – esclama, alzandosi in piedi. Vacilla e sono costretta a tenerlo tra le braccia. Litigare furiosamente stando abbracciati è la cosa più assurda che abbia mai fatto –Io non ho niente da rimproverarmi! Qualcuno ha comprato il mio servizio e io ho eseguito il mio compito. E inoltre, mi sembrava che ti piacesse quello che ti ho fatto! – gira il coltello nella piaga, con un colpo da maestro, ma le sue parole fanno risuonare un allarme dentro di me.

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