Capitolo 8

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Melanie

Volevo fargli male, per esorcizzare questa paura che mi corrode dentro. Volevo punirlo per tutto quello che scatena in me, per il battito forsennato del mio cuore che mi martella nelle orecchie ogni volta che sono accanto a lui, per il desiderio bruciante che scorre sotto la mia pelle ogni volta che lui mi sfiora. Invece sono io a stare malissimo. 

Lo seguo senza pronunciare una sola parola all'interno della casa di Milton, che spicca sfarzosa e sfacciata con i suoi stucchi bianchi, come una grande torta a più piani tra le umili case del circondario. Saliamo la scalinata in marmo rosa passando tra le statue dorate di satiri e baccanti, credo di non aver mai visto niente di più kitsch nella mia vita. Suoniamo il campanello vicino alla grande porta istoriata, provocando un festoso scampanio degno della messa di Natale. 

Rende bene fare il pappone, eh? 

Guardo Dylan, ma lui evita ostinatamente il mio sguardo. Ha un'espressione dura in viso, mi rendo conto che ancora una volta ci eravamo avvicinati e io ho rovinato tutto. Lui tira sempre fuori il peggio di me, accidenti!

–Benvenuti, il signore vi sta aspettando– sono stupita dall'atteggiamento compito e professionale del maggiordomo, che sembra non notare l'incongruenza dietro questo lusso volgare e non preoccuparsi della sua livrea che sembra uscita da un film in costume settecentesco.

Veniamo introdotti in un enorme salone con il pavimento a mosaico e una grande piscina circolare. Il padrone di casa ci accoglie in accappatoio e a un suo cenno compare una cameriera che ci serve dei cocktail decorati con frutta tropicale.

–Benvenuti nella mia umile dimora, miei cari –esordisce lui, in tono mellifluo –Amico mio, è un piacere rivederti! E ovviamente è un piacere rivedere anche lei, avvocato.

–Dov'è Jordan? –le labbra di Dylan sono una fessura orizzontale. Milton indica con un cenno del capo un enorme divano in velluto rosso all'altro capo della sala, dove nostro figlio sta dormendo della grossa. Corro verso di lui, felice e sollevata. Ha l'aria tranquilla ed è perfettamente incolume.

–Amore, svegliati –gli sussurro accarezzandogli i capelli biondi –Dobbiamo andare a casa.

Lui spalanca gli occhioni azzurri, così simili a quelli di suo padre da strizzarmi il cuore come uno straccio vecchio. Mi sorride allegramente.

–Ciao mamma! Scusa, mi sono addormentato!

–Ma come ti è venuto in mente di scappare così? –lo rimprovero –Hai idea di quanto sono stata in pena? Sei in punizione, niente playstation per una settimana!

–Ma mamma! Ti ho lasciato lo zaino per farti capire che sarei tornato presto! Nessuno scappa di casa senza zaino!

–Non farlo mai più– la voce di Dylan alle mie spalle è categorica –Non devi mai più andare in giro da solo, mi sono spiegato?

–Papà, ma cosa ti sei fatto alla mano?

–Non è niente, ho rotto per sbaglio un bicchiere– un rapido sorriso passa sulla sua bocca splendida, così veloce che ho paura di essermelo immaginato –Ma la mamma si è presa cura di me.

–Io voglio che si prenda sempre cura di te, e tu di lei!

–Jordan, questo non è possibile... – intervengo, cercando le parole giuste.

–Invece sì! – insiste lui, scambiando uno sguardo di intesa con Milton. Ecco, mio figlio è diventato amico di un criminale! – Mamma, ho scoperto tutto!

–Che cosa intendi dire? –possibile che mio figlio in poche ore abbia scoperto qualcosa su cui io mi sono arrovellata senza sosta? Milton gli avrà detto chi è stato a pagare perché Dylan venisse a letto con me? Guardo il mio cliente che sorride sornione e fa cenno a Jordan di tenere la bocca chiusa.

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