04 - La lettera di Petunia

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Cokewort, Midlands, Gran Bretagna. 31 agosto 1971

Manca solo un giorno prima della mia partenza per Hogwarts e sono tutta un nervo a fior di pelle. Sono così emozionata che non faccio altro che saltellare su e giù per casa.
È come se mi trovassi sul ciglio di un confine invisibile il quale, una volta oltrepassato, mi catapulterà inevitabilmente dentro una nuova vita, totalmente diversa da quella che ho vissuto finora.

Ammetto che, in parte, questo mi spaventa un po'. Ho sempre saputo di essere diversa rispetto agli altri componenti della mia famiglia; nel profondo del mio cuore, temo che il mio ingresso a Hogwarts e, in generale, nel mondo magico renderà quelle velate differenze, che sino adesso ho avvertito come a malapena percettibili, assai più evidenti, insormontabili persino, segnando un allontanamento netto dai miei cari.

È un pensiero fisso ormai, che mi perseguita da giorni. Da quando abbiamo visitato il quartiere magico di Diagon Alley, per essere precisi. È stato allora che tale paura, dapprima latente, opportunamente sepolta nei meandri del mio animo, è divampata tutt'a un tratto, avvelenandomi i pensieri più allegri.
Mi sforzo di non darci troppo peso e mi concentro, invece, sulle mirabolanti avventure che vivrò a Hogwarts; la sola idea che presto potrò maneggiare la mia bacchetta, intenta ad apprendere magie straordinarie, è sufficiente a rinfrancarmi lo spirito, scacciando via sia dalla testa che dal cuore i pesanti timori che mi tormentano.

È un limpido martedì pomeriggio e i caldi raggi del sole, che brilla alto in cielo, penetrano prepotenti attraverso i vetri delle finestre, inondando ogni stanza della mia abitazione di pura luce.
Al momento, sono sola in casa: papà è al lavoro, mentre mamma ha dovuto accompagnare Petunia di corsa dal dentista, a causa di un principio di carie.

Nella mia silenziosa solitudine, ammazzo il tempo controllando per l'ennesima volta l'elenco di Hogwarts; mi accerto di aver inserito tutto il necessario dentro al baule, passo in rassegna i titoli dei libri di scuola e verifico che la mia preziosissima bacchetta magica sia ancora ben custodita all'interno della sua scatola.

Verso le tre, il campanello trilla squillante, annunciando l'arrivo di un visitatore.

Deve trattarsi senz'altro di Severus. Ho telefonato io stessa a casa sua, invitandolo da me per la merenda. Anche lui sarà in preda all'agitazione, in vista del viaggio di domani e ho pensato che sarebbe stata una buona idea stemperare la nostra tensione condivisa, trascorrendo qualche ora insieme a chiacchierare e a fantasticare su quel che ci aspetterà l'indomani.

Inoltre, è da parecchio tempo che io e Severus non ci incontriamo nel nostro solito boschetto in riva al fiume e muoio dalla voglia di sapere dei suoi acquisti a Diagon Alley.

Non appena sento il campanello strimpellare, corro giù di sotto ad aprire la porta.

«Sev! Che bello che sei passato!» lo accolgo con sincero entusiasmo, facendogli segno di entrare in casa. Severus, dal canto suo, varca la soglia esitante, guardandosi attorno intimidito.

«I miei non sono in casa. E nemmeno mia sorella» mi affretto a spiegare con fare spiccio, «Andiamo di là, così ti offro qualcosa da mangiare.»

Ci sistemiamo comodi in cucina, seduti al tavolo rettangolare che campeggia in mezzo alla stanza. Senza farci troppi scrupoli, ci avventiamo sugli invitanti biscotti al cioccolato, sfornati stamattina, che mia madre ha accuratamente disposto su un bel piatto in porcellana.

Spiluccando e sgranocchiando, Severus ed io ci aggiorniamo sulle ultime vicende, in particolar modo sulle rispettive spese fatte a Diagon Alley.
Al termine dei miei racconti, non posso fare a meno di condividere con il mio migliore amico ciò che è accaduto con mia sorella e, soprattutto, la strana reazione di Petunia quando l'ho sorpresa a scribacchiare chissà cosa alla sua scrivania.

I was Lily EvansDove le storie prendono vita. Scoprilo ora