3. UN PADRE ESIGENTE

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Durante la partita col Cornell, purtroppo rimasi ferito. In realtà, fu colpa mia. In un momento particolarmente "caldo", commisi il maledetto errore di dare del "cane canadese" al loro centrattacco. La mia distrazione consistette anche nel fatto di non ricordare che ce n'erano quattro, di canadesi, nella loro squadra. E tutti patriottici, ben piazzati e con un udito perfetto. Lo imparai a mie spese. Ebbene sì! Al danno poi si aggiunse la beffa: la penalizzazione fu inflitta a me. Mi diedero 5 minuti di punizione per carica irregolare. Intanto, mentre salivo in panchina di penalizzazione, Jack Felt, il nostro allenatore, si strappava i capelli. Arrivò sparato verso di me e solo allora mi resi conto di avere tutto il lato destro della faccia ridotto in una mostruosa poltiglia sanguinante.
«Oh, mio Dio! Mamma mia!», continuava a gemere Jack, mentre mi lavorava la faccia con la matita emostatica.
Me ne restai in silenzio, con lo sguardo fisso e perso nel vuoto. Sinceramente, mi vergognavo a guardare il campo, dove ben presto tutte le mie paure si materializzarono: il Cornell segnò e adesso eravamo in parità. Aveva proprio tutte le probabilità di vincere la partita e, con la partita, anche il titolo!
Dall'altra parte del campo, intanto, il misero gruppetto di tifosi dell'Harvard era cupo e silenzioso. Ormai, i tifosi delle due parti mi avevano dimenticato. Solo uno spettatore teneva lo sguardo fisso sulla panchina di penalizzazione, precisamente su di me. Ebbene sì, lui c'era.

«Se la riunione finisce presto, farò tutto il possibile per venire a Cornell!»

Dunque, lui era là. Seduto tra gli scalmanati di Harvard (ma senza scalmanarsi ovviamente), c'era Joseph Sanders III. Oltre la distesa di ghiaccio, il vecchio "Faccia di Sasso" (come lo definivo sempre io) guardava impassibile, in silenzio, mentre il sangue sulla faccia del suo unico figlio veniva tamponato fino all'ultima goccia. Che cosa pensava, vi domanderete? Secondo me, quasi sicuramente, "Faccia di Sasso" si stava abbandonando al suo solito autoincensamento:
"Guardate, stasera gli spettatori di Harvard si contano sulle dita di una mano, eppure io sono tra loro. Io, Joseph Sanders III, uomo dai mille impegni, con banche da dirigere, eccetera eccetera... ho trovato il tempo di venire fino a Cornell, per assistere ad una stupida partita di hockey!"
Che meraviglia! Ma per chi? Di certo, non per me!
La folla intanto esultò. Il Cornell aveva segnato un altro punto. Erano passati in testa ed io avevo ancora altri 2 minuti di penalizzazione da scontare! Davey Johnston filava spedito verso la loro porta. Era proprio inferocito. Mi passò davanti agli occhi, come una scheggia, senza degnarmi nemmeno di uno sguardo. A me parve addirittura che avesse le lacrime agli occhi. Ok, ne andava il titolo, ma addirittura piangere?
D'altronde, Davey, il capitano della nostra squadra, aveva alle spalle un primato incredibile: in 7 anni non aveva mai giocato in una squadra perdente. Né al liceo, né all'università. La sua, infatti, era una specie di leggenda. Inoltre, frequentava l'ultimo anno e quella era l'ultima partita importante. Partita che purtroppo perdemmo 6 a 3!
Dopo la partita, una radiografia constatò che, per fortuna, non avevo ossa rotte. Poi, Richard Selzer, medico chirurgo, mi diede 12 punti sulla guancia. Mi lavai piano, facendo molta attenzione a non bagnare la parte malconcia. L'effetto della novocaina stava iniziando ad attenuarsi. Però, in un certo senso, ero contento di sentire il dolore. Avevamo perduto il titolo e il nostro primato era svanito assieme a quello di Davey. Forse la colpa non era tutta mia, però mi sentivo comunque in parte responsabile.
Gli spogliatoi erano vuoti, sicuramente erano andati già tutti al motel. Per un momento pensai che nessuno volesse rivolgermi la parola, ecco! Feci subito la valigia e uscii. Fuori, nello squallore invernale della parte più settentrionale dello Stato di New York, c'erano solo due tifosi dell'Harvard.
«Come va la guancia, Sanders?»
«Bene, signor Jencks», risposi.
«Hai bisogno di una bistecca però!», affermò una voce a me molto familiare.
Questo mi disse Joseph Sanders III. Solo lui poteva consigliare un così vecchio rimedio per un occhio pesto.
«Grazie, papà, ma ci ha già pensato il medico a curarmi!», risposi io indicando la garza che copriva i 12 punti applicati da Selzer.
«In realtà, intendevo per lo stomaco, figliolo!», precisò lui.
A cena, la tipica pseudoconversazione che contraddistingueva i nostri incontri, cominciava con frasi tipo "COME TE LA SEI PASSATA?" e si concludeva con altre frasi tipo "HAI BISOGNO DI QUALCOSA?".

IO E GLADYS Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora