6. MARITO E MOGLIE

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Restava da sistemare la questione di Cranston Rhode Island, una città spostata più a sud di Boston di quanto Ipswich lo sia a nord. Dopo il fallimento della presentazioni di Gladys ai suoi presunti suoceri («E adesso come li chiamo, SUOCERASTRI, mi domandò), io non avevo la benché minima fiducia nell'incontro con suo padre. Ma più nera della mezzanotte non poteva essere!
Quí, sapevo che avrei sbattuto la testa contro la famosa sindrome italo-mediterranea del troppo amore, aggravata dal fatto che Gladys fosse figlia unica e, per giunta orfana di madre. Il che significava legami affettivi esasperati con il padre. Già, mi sarei trovato alle prese con quelle forze emotive descritte nei testi di psicoanalisi. A tutto questo, si aggiungeva il fatto che ero completamente al verde!
Dunque, facciamo un esempio: immaginiamo per un attimo, un ipotetico bravo ragazzo italiano di nome Giuseppe Sandrini, residente a Cranston Rhode Island, nello stesso isolato dei Morante. Il nostro Giuseppe si presenta al signor Morante, un pasticcere della città che si guadagna da vivere col sudore della fronte, e dice: «Vorrei sposare la sua unica figlia, Gladys!».
Quale sarà la prima domanda del vecchio babbo? (Sicuramente non metterà in dubbio l'amore di Sandrini, visto che, verità universale, conoscere Gladys significa solo es esclusivamente amarla). No, il signor Morante direbbe qualcosa tipo: «Sandrini, come farai a mantenerla?».
Ora, però, immaginate la reazione del bravo signor Morante, se Sandrini gli dicesse che, per i prossimi 3 anni, la situazione sarà capovolta: bensì toccherà a sua figlia mantenere il marito!
Il signor Morante, non metterebbe forse Sandrini alla porta? O, se Sandrini non fosse della mia stazza, non lo sbatterebbe fuori a calci nel sedere? Potete scommetterci eccome!
Questo potrebbe servire a spiegare perché, quella domenica pomeriggio di maggio, mentre ci dirigevamo a sud della Statale 95, rispettavo tutti i segnali di limite di velocità. Gladys, che alla fine aveva imparato ad apprezzare la velocità che tenevo abitualmente, ad un certo punto iniziò, a lamentarsi del fatto che andavo a 60 all'ora in una zona nella quale era concesso prendere i 70. Risposi che la macchina aveva bisogno di una registrazione, ma lei parve non crederci neanche un po'.
«Raccontami di nuovo, Gladys!», dissi io.
La pazienza non era una delle sue grandi doti e si rifiutò di infondermi coraggio, rispondendo per l'ennesima volta a tutte le domande stupide che le avevo già fatto.
«Un'altra volta sola, amore, ti prego...», supplicai io.
«Gli ho telefonato. Gliel'ho detto. Ha risposto che va bene. In inglese perché, come ti ho già spiegato (anche se tu non ci credi), mio padre non conosce una sola parola in italiano, tranne qualche imprecazione!», disse lei esasperata.
«Ma cosa significa "va bene"?», domandai io.
Gladys s'impitosì e, per l'ennesima volta, ebbe la carità di ripetermi i dettagli della conversazione con suo padre. Era contento. Quando l'aveva mandata a Radcliffe, non pensava certo che lei sarebbe tornata a Cranston per sposare il ragazzo della porta accanto. In un primo momento, non voleva credere che il nome del futuro sposo fosse proprio Joseph Sanders IV.
«Ma lo sa che sono povero?», domandai.
«Certo che sì!»
«E non gliene importa?», continuai.
«No perché, se non altro, tu e lui avete almeno una cosa in comune!», disse lei.
«Però, se avessi qualche quattrino, sarebbe sicuramente più contento. O no?», domandai ancora poco più insistente.
«Perché, tu non lo saresti?», domandò.
Per il resto del viaggio, rimase silenziosa. Gladys abitava in una strada che si chiamava Hamilton Avenue. Una lunga fila di case in legno, con tanti bambini davanti e pochi alberi striminziti. Mi bastò percorrerla in cerca di un parcheggio per l'auto, per avere la sensazione di ritrovarmi in un altro mondo. Oltre ai bambini intenti a giocare, c'erano proprio intere famiglie sedute sotto ai porticati che pareva non avessero niente di meglio da fare, in quella domenica pomeriggio, che guardare me mentre parcheggiavo la mia MG.
Gladys scese per prima. Quando gli "spettatori" si resero conto di chi fosse realmente la passeggera, vi fu una clamorosa manifestazione d'accoglienza. Nientemeno che la grande Morante! Per poco venni sopraffatto da un senso di disagio nel scendere dall'auto. Quasi certamente, non sarei potuto passare nemmeno per sbaglio per l'ipotetico Giuseppe Sandrini!
«Hei, Gladys!», urlò animatamente un donnone giunonico.
«Salve, signora Capodilupo!», urlò Gladys di rimando.
Finalmente, mi decisi a scendere dall'auto. Mi sentivo tutti gli sguardi addosso e questo era fonte d'imbarazzo per me.
«Hei, cara... E chi è il giovanotto?», domandò strillando la donna mastodontica.
(Delicatezza pari a zero da queste parti!)
«Non è niente!», rispose urlando Gladys e non vi dico il coraggio che mi trasmise.
«Può darsi...», disse la donna voltandosi verso di me «Ma la ragazza che si porta appresso, quella sì che è importante!», osservò poi.
«E lui lo sa benissimo, che lo sono!», disse Gladys che si voltò dall'altro lato per riservare la sua attenzione anche agli altri vicini «Eccome se lui lo sa!», ripeté ancora anche a questi.
Poi mi prese per mano e mi trascinò su per le scale del numero 189 A di Hamilton Avenue.
Certo che lo sapevo che era importante... importante per me!

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