1. IL PICCOLO GENIO DI RADCLIFFE

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(Joseph pov.)

«Cosa si può dire di una ragazza di 25 anni che è morta? Una ragazza bellissima, intelligente, che amava Mozart. Amava Bach. Amava i Beatles. E amava me. Una volta, quando mi mise assieme a tutti questi importanti musicisti, le domandai quale ordine avesse seguito. Ero curioso davvero. Lei rispose sorridendo, col suo solito modo di fare provocatoriamente vago:
«Alfabetico».
Allora sorrisi anch'io. Ora, però, sto quí seduto, da solo, con gli occhi puntati alla sua foto, posata su quel pianoforte, che non emana più alcun suono, ormai da tempo. Il suo pianoforte! Sto quí a chiedermi se, la mia amata Gladys, in quella "lista" mi elencò col nome o col cognome. Ad ogni modo, non sarei stato comunque il primo. E la cosa mi secca tanto, sapete? Mi secca proprio, visto che sono cresciuto con la modesta convinzione di dover essere sempre e solo il numero UNO. Eredità di famiglia, mi spiego?»

«Ciao Gladys, ciao amore mio... un giorno ti riabbraccerò e non ci lasceremo mai più...
Tuo Joseph...»

Nell'autunno dell'ultimo anno di università, presi l'abitudine di andare a studiare alla biblioteca di Radcliffe. Non solo per sbirciare le belle ragazze della zona (perché è vero che lustrarmi gli occhi mi piaceva). Adoravo soprattutto il fatto che quella biblioteca fosse un posto molto tranquillo e i testi di consultazione erano davvero poco richiesti. Era il giorno prima di un mio importante esame di storia ed io non ero ancora riuscito ad aprire nemmeno il primo libro dell'elenco. Malattia endemica dell'Harvard University, purtroppo.
Al banco di consegna vi erano addette due ragazze. Avevo attentamente osservato entrambe: una alta, con lo stile tipico di una giocatrice di tennis. L'altra, invece, più simile ad un topolino con gli occhiali, secondo me. Nella mia testa, infatti, la soprannominai "Minnie Quattrocchi".
«Avete L'autunno del Medio Evo?», domandai io alle due addette.
Il "topolino con gli occhiali" mi lanciò un'occhiata quasi fulminante.
«Ma tu non ce l'hai la tua biblioteca?», domandò lei con un pizzico di prepotenza.
Visti i suoi modi poco accomodanti, anch'io la guardai stizzito e non persi tempo a controbattere.
«Sta' a sentire, quelli dell'Harvard ce l' hanno il diritto di usare la biblioteca di Radcliffe!», dissi in tutta sicurezza.
Ne ero sicuro perché era assolutamente vero!
«Il mio non è un discorso legale, Prep, bensì etico! Voi avete cinque milioni di libri, mentre noi quí ne abbiamo a malapena qualche straccio di migliaia!», osservò lei.
«Senti, quello stramaledetto libro mi serve, chiaro?!», dissi un po' più spazientito.
«Ti spiace evitare il turpiloquio, Prep?», domandò lei acida.
«Come fai ad essere così tanto sicura che ho frequentato la scuola preparatoria?», domandai indispettito.

(Prep è appunto un appellativo dispregiativo affibbiato agli studenti che hanno frequentato la PREPARATORY SCHOOL, scuola privata frequentata da alunni facoltosi)

«Perché hai l'aria stupida e ricca!», mi disse lei togliendosi gli occhiali.
«Ti sbagli invece, perché sono intelligente e povero!», protestai io.
«No, Prep, sei tu quello che si sbaglia! Tra me e te, io sono quella intelligente e povera!», continuò lei, come se stesse difendendo un indiscutibile titolo d'onore.
Lei mi guardava dritto negli occhi senza timore e senza indugio. I suoi erano scuri, esattamente come i lunghi capelli color cioccolato che le ricadevano sulle spalle. E va bene, forse ce l'avevo davvero l'aria da "ricco", ma di sicuro non avrei mai permesso ad una qualsiasi studentessa del Radcliffe di darmi del cretino (anche se la ragazza in questione aveva davvero un bel paio d'occhi)!
«Che cos'è che ti fa sentire tanto in gamba?», le chiesi provocatorio.
«Il fatto che non verrei mai a prendere un caffè con te!», rispose lei con aria da snob.
La guardai sbigottito. Questa era forte!
«Infatti, io non mi sognerei mai d'invitarti!», puntualizzai poi con un filo di risentimento.
«E proprio questo dimostra quanto tu sia stupido!», sentenziò lei.
Ecco, pace e bene!

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