9. LA TERRIBILE NOTIZIA

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Non è poi così facile fare un bambino. Rischia di diventare addirittura un'ossessione. E può spogliare di tutta la naturalezza e spontaneità l'aspetto più glorioso che caratterizza una vita matrimoniale felice. Insomma, costringe a programmare l'atto d'amore in base a regole, calendari e strategie. Ma quando ci si accorge che tutti i nostri sforzi, sani e normali, non mietono nessun successo nel precetto del "crescete e moltiplicatevi", nella mente possono instaurarsi i pensieri più orribili e inaccettabili.
«Come indubbiamente sai, Joseph, la "sterilità" non ha niente a che fare con la "virilità"!».
Così parlò il dottor Mortimer Sheppard, durante il nostro colloquio, dopo che Gladys ed io avevamo finalmente deciso di rivolgerci finalmente ad un esperto.
«Mio marito lo capisce, dottore...», rispose Gladys al posto mio.
Sapeva benissimo che per me la sola idea di poter essere sterile era insopportabile. Nella sua voce percepivo addirittura la speranza che, semmai ci fosse veramente un deficit da scoprire in uno dei due, in realtà questo deficit fosse suo! Il medico, però, ci aveva semplicemente spiegato, senza troppi giri di parole, come stavano le cose, mettendo davanti sempre il peggio... Per poi continuare, dicendo che c'erano anche buone probabilità che in realtà noi potessimo essere invece entrambi soggetti sani e che presto saremmo potuti diventare finalmente due genitori felici. Prima però era necessario che entrambi ci sottoponessimo ad una serie di esami. Eseguimmo le analisi un lunedì. Gladys durante il giorno, io dopo il lavoro. Il venerdì successivo, il dottor Sheppard contattò nuovamente Gladys spiegando che la sua infermiera aveva combinato un mezzo caos e che aveva bisogno di fare ancora un altro paio di controlli. Quando Gladys mi raccontò della seconda visita, cominciai a sospettare che il dottore avesse già scoperto che, in realtà, il "deficit" fosse proprio di mia moglie. E penso che anche Gladys sospettasse la stessa cosa. La sua intelligenza e perspicacia non erano mai da sottovalutare. La storiella dell'infermiera pasticciona dunque era sicuramente un alibi ritrito. Quando il dottor Sheppard mi telefonò da Jonas e Marsh, ne fui quasi sicuro. Mi chiese se potevo fare un salto nel suo studio prima di ritornare a casa. Nel sentire poi che il nostro colloquio non sarebbe stato a tre («Ho già parlato con la signora Sanders questa mattina!»), i miei sospetti furono del tutto confermati.
Il problema è che non riuscivo proprio a concentrarmi sul lavoro, tanto che mi parve assurdo aspettare fino alle 17:00. Cosicché, ricontattai Sheppard e gli chiesi se poteva ricevermi nel primo pomeriggio. Accettò senza problemi.
«Ha scoperto di chi è la colpa?», domandai senza troppi preamboli.
«Non userei la parola "colpa", Joseph!», disse lui.
«D'accordo. Ha scoperto chi dei due non funziona?», mi corressi.
«Sí, Gladys...»
Ero più o meno preparato a sentirmelo dire, ma il tono definitivo usato dal medico mi sconvolse ugualmente. Non aggiunse altro e credo che, a questo punto, si aspettasse un qualsiasi commento da parte mia.
«Va bene, pazienza. Vorrà dire che adotteremo dei bambini. La cosa importante è che ci amiamo, no?», dissi io cercando di consolarmi da solo.
Cosicché, lui riprese la parola e me lo disse.
«Joseph, il problema purtroppo è più grave di quanto pensi. Gladys è molto malata!», disse.
«La prego di precisare cosa intende con "molto malata"!», dissi io.
«Che... sta per morire!»
«No, è.. è impossibile!», risposi io, quasi sicuramente a tratti.
Aspettavo che il medico mi dicesse che era solo uno scherzo orrendo.
«Purtroppo è vero, Joseph...», mormorò «Sono veramente desolato, ma era giusto dirtelo!».
Ancora incredulo, insistetti. Doveva per forza esserci uno sbaglio. Magari, quella incompetente della sua infermiera aveva combinato qualche altro casino e gli aveva dato i referti sbagliati. Ripeté, con tutta la pietà di cui era capace, che le analisi del sangue di Gladys erano state ripetute 3 volte! Purtroppo, non c'era alcun dubbio sulla diagnosi. Ovviamente, avrebbe mandato me e Gladys da un ematologo. Anzi, ci consigliava di andarci...
Alzai una mano per farlo tacere. Avevo bisogno di stare in silenzio per un minuto. Solo di un po' di silenzio per mandare giù quello che avevo appena sentito e quel groppone che mi si era fermato in gola. Un brivido ni passò lungo la schiena. Che scherzo era? In quale incubo mi trovavo in qual momento? Poi mi venne un pensiero improvviso.
«Che cosa ha detto Gladys, dottore?», chiesi.
«Che state bene entrambi...»
«E... E ci ha creduto?», gli chiesi ancora.
«Penso di sì...»
«Quando pensa che dovremo dirle la verità?»
«A questo punto, dipende da te, Joseph!», disse.
Da me...! A questo punto, io avevo smesso anche di respirare. Come poteva dipendere da me? Il medico mi spiegò che la terapia conosciuta per la forma di leucemia di Gladys era solo un semplice palliativo. Poteva alleviare, poteva ritardare... ma non poteva curare. Non poteva risolvere! Quindi, a questo punto, dipendeva da me... da me che stavo già sprofondando in un buco nero. Poteva aspettare un po', prima di iniziare la terapia. In quel momento, però, riuscivo a pensare solo a quanto fosse osceno tutto questo. Perché tutto ciò? Che senso aveva questo tragico risvolto nella mia vita?
«Ha solo 24 anni!», dissi al medico.
Penso che glielo urlai proprio. Lui assentí con estrema pazienza. La conosceva benissimo l'età di mia moglie e capiva perfettamente anche tutto il dolore che mi stava lacerando l'anima. Alla fine, mi resi conto che non potevo restarmene ancora là, nello studio di quell'uomo. Perciò gli chiesi consiglio su come dovevo comportarmi. Io non ne avevo la più pallida idea. So solo che mi stavo lentamente frantumando dentro! Il dottore mi rispose di essere il più naturale possibile, per più tempo possibile. Fosse stato facile! Lo ringraziai e me ne andai. Nella mia testa le parole "normalità" e "naturalezza" dovevano padroneggiare quanto mai. Che maschera avrei dovuto indossare?

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