Quando Ade riaprì gli occhi, si ritrovò circondato da tanto colore che fu costretto a chiuderli nuovamente.
Gli inferi erano bui, tetri, l’unico tocco di colore era l’oro presente nel suo palazzo. Lì attorno invece c'era ogni colore dell'arcobaleno. Attraverso le dita con cui si era coperto gli occhi intravedeva il cielo azzurro, il verde delle foglie, il giallo, rosso, bianco, rosa dei fiori.
Non poté che chiedersi dove fosse finito. Non era sul campo di battaglia dove aveva chiuso gli occhi. Non doveva averli solo chiusi, doveva essere svenuto, eppure non ricordava alcun tipo di malessere. Non ne provava neanche in quell'istante.
Dov'era però? Non era in un posto che conosceva. Guardandosi intorno con più cautela, concluse che doveva essere in un giardino.
Ade girò la testa e osservò l'erba sotto al suo corpo, poi pensò a come alzarsi senza toccarla. Ogni cosa viva che toccava era destinata a morire, che si trattasse di un uomo, di un animale o di un fiore, e anche se era al governo degli inferi non gli piaceva portare distruzione se poteva evitarlo.
Alla fine allargò il chitone nero sotto di sé e si appoggiò su di esso per mettersi a sedere.
Era in mezzo ad un prato che era stato recentemente tagliato. Si guardò attorno, vedendo che si trovava di fatto in una specie di enorme giardino delimitato da un muro e da una cupola fatta di assi di legno e rose. Rose intrecciate, come poteva vedere dal muro più vicino, tutte di colori diversi: rosse, bianche, arancioni, rosa.
Girandosi a sinistra vide che in mezzo al giardino c'era una struttura di quattro piante che intrecciano i loro bracci verdi fino a formare un tetto. Pareva una sorta di gazebo naturale. Sotto c'era una panchina bianca e alle sue spalle c'era una fontana in pietra dalla quale zampillavano fiotti d’acqua.
Ancora oltre, verso la parete di rose opposta, vide svariati cespugli verdi e bianchi.
Decise quindi di alzarsi e notò che era a piedi nudi. L'erba per qualche motivo non appassì sotto i suoi piedi, quindi stabilì che poteva muoversi liberamente lì dentro.
Ciò che vide immediatamente era che non pareva esserci alcuna uscita da quel giardino. Tutte le pareti che riusciva a vedere erano coperte dai rami spinosi delle rose e dalle assi che li reggevano. Ovunque guardasse, non riuscì a vedere fessure che fossero più grandi del suo pugno.
Percorse il perimetro di quella specie di gabbia floreale con lentezza, respirando il profumo delle rose. Non sentiva quel profumo da così tanto tempo che sentiva il naso pizzicare per l'intensità. Poteva però dipendere anche dal fatto che stava respirando aria pulita e non quella soffocante del sottosuolo.
Respirò il profumo di una delle rose chiudendo gli occhi per imprimere nella sua mente quel piacevole odore, poi si girò verso il gazebo.
Si accorse solo in quell'istante che non aveva visto tutto ciò che quel giardino conteneva. Si diresse verso il gazebo, tenendo gli occhi fissi su qualcosa alla sua destra.
Un laghetto. C'era un laghetto. Su di esso galleggiavano delle ninfee e sotto poteva vedere dei pesciolini colorati nuotare sereni.
Si accovacciò davanti ad esso e per un momento li osservò, ipnotizzato. Si distrasse solo quando sentì un fruscio poco lontano da lui.
Girò la testa verso i cespugli bianchi. Oltre ad essi vide una figura china.
Ricordò la donna sul campo di battaglia. Riconobbe in lei gli stessi capelli castano chiaro e la stessa pelle scura.
Si alzò e andò verso di lei. La vedeva a pezzi, celata dalla parete di rose.
La vide girare la testa verso di lui e lui si fermò, incantato. Non aveva visto i suoi occhi quando era sul campo di battaglia, ma li vedeva ora. Erano azzurri, brillanti, vivi.
La vide alzarsi e sorridere. «Oh, ti sei svegliato. Dormito bene?»
Ade sbatté gli occhi, cercando di riprendersi. Si leccò le labbra secche, inumidendole, poi disse: «Dove sono?»
«Sei a casa mia. Nel mio giardino, per la precisione.» disse la donna. La vide avvicinarsi di più alle rose e osservarlo con curiosità.
«Non sai chi sono, non è vero?» chiese con leggerezza.
«Dovrei, non è così?»
«Io sono Persefone, la dea della primavera.» disse lei, e tutti i fiori parvero farsi più rigogliosi a quelle parole. «Probabilmente almeno il mio nome ti è noto.»
Ade annuì. Sapeva che Zeus e Demetra avevano avuto una figlia, e lui sul momento aveva preso la notizia con lo stesso interesse di una delle storie di amore e tradimenti di Afrodite: scarso interesse.
Era già tanto se gli dei si erano degnati di farglielo sapere. Non si aspettava naturalmente che la loro figlia fosse una tale bellezza e splendesse così tanto di vita.
«Non ho mai avuto modo di vederti di persona.» disse Ade.
«Lo so. Mamma non mi avrebbe nemmeno permesso di vederti, fosse dipeso da lei. E nemmeno papà, in effetti.»
Eppure lui era lì lo stesso. Ade la osservò un momento e osservò poi la barriera di rose che contornava il suo viso. Quando riportò lo sguardo su di lei disse: «È stata una visita assolutamente piacevole, non posso negarlo, ma temo ora di dover tornare agli inferi. Devo tornare al lavoro.»
«Mhm…» la sentì dire, osservandolo. Il sorriso si allargò e disse: «No.»
Ade sbatté gli occhi. «No?»
«No. Non tornerai agli inferi. Starai qua con me.»
Ade la guardò senza capire. Storse un momento la bocca, poi disse: «Persefone… Non puoi tenermi qui. Non credo mi dispiacerebbe, che sia ben chiaro, ma ho un lavoro che mi aspetta… Non posso prendermi una vacanza.»
«Posso, invece. Posso tenerti qui. Sei una vista che mi è totalmente gradita, quindi resterai qui.» disse lei semplicemente.
Ade sospirò. «Persefone, le tue rose e i tuoi fiori mi piacciono un sacco, ma sono disposto a farli morire se serve.»
E allora un sorriso allegro fece risplendere il volto della dea. «Prego, provaci.»
Non era la reazione che si aspettava. Ade si avvicinò a lei e posò entrambe le mani sui rami delle rose. Sentì le spine entrargli nella carne, affilate come pugnali, e si concentrò sul distruggere quelle piante.
Non accadde nulla. Ade guardò le rose con sorpresa mista a confusione, poi guardò le gocce di icore dorata che scivolavano lungo i rami. Infine guardò Persefone, che stava sorridendo.
«Già lo avevi capito che avevo abilità da maga, no? Beh, ci ho messo qualche anno per perfezionare il giardino in cui ti trovi e queste rose… Qua dentro nessun dio può usare le proprie abilità, tu incluso. Questo vuol dire che se non sarò io a volerlo, tu non uscirai di qui.»
Ade fisso la dea, le mani ancora strette attorno ai rami. Persefone infilò un braccio attraverso le spine e gli accarezzo una guancia.
«Goditi il giardino, vuoi?»
Poi ritirò il braccio e se ne andò, l'abito bianco che fluttuava dietro di lei nel vento. Ade rimase a guardarla finché non fu scomparsa.
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Girasoli || Ade e Persefone
FantasyAU DEL MITO DI ADE E PERSEFONE A seguito di una guerra, agli inferi arrivano un gran numero di umani da smistare. Ade esegue il suo dovere, ma due cose non tornano: sono morti di guerra, ma per aver attraversato l'Acheronte qualcuno deve averli sepo...