«Padre, che piacere rivederti.»
Zeus fumava di rabbia. Ade non l’aveva mai visto così arrabbiato in effetti, e sentì una profonda soddisfazione nel sapere di essere lui la causa di quella furia. Mentre entrava nella sua gabbia, Ade cambiò posizione: si mise a gambe incrociate, appoggiò il gomito sulla coscia e posò la guancia sulla mano stretta a pugno. Sentì che il potere ora era tornato, ardente come una fiamma, ma non vi badò.
«Buongiorno, fratello. Non mi dire, hai deciso di fare il tuo dovere una volta tanto?»
«Da che pulpito! Tu sei responsabile dei morti e la gente non sta più morendo! Il mondo è nel caos!» urlò Zeus.
«Credo ti abbiano già messo al corrente che non è colpa mia. Non potevo uscire di qui.» replicò Ade.
«Darti quel ruolo era anche troppo, se non sei nemmeno in grado di uscire da una prigione di fiori!»
Ade si alzò, fronteggiandolo. «Siete stati tu e Poseidone a darmi il comando degli inferi. Io non l’ho mai voluto, fratello. Se dici che sono incompetente, significa che dài dell’incompetente a te stesso per avermi dato quel ruolo.»
Guardò poi oltre la sua spalla e vide che c’era anche Demetra. Stava discutendo con la figlia.
«Come ti permetti di parlarmi così?! Io sono il re dell’Olimpo, Ade, e anche re tuo!» urlò Zeus, e nella sua mano destra vide che brillava la folgore.
«Non c’è nemmeno un trono per me nell’Olimpo, credi davvero di essere il mio re?» chiese Ade, fissandolo negli occhi grigi. «Credi davvero di poter dire di essere il mio re, tu che hai paura anche solo a rivolgermi la parola a meno che non ci sia qualche grandissima rottura di scatole che rischia di minare la tua autorità? Per favore, Zeus, hai così poca fiducia in me che credevi avessi abdicato. Non ti interessa nulla di me.»
Zeus si gonfiò di rabbia, gli occhi che sparavano scintille, e Ade fu certo lo avrebbe folgorato. Non aveva paura, tanto non poteva morire, al massimo poteva soffrire atrocemente, ma la prospettiva non lo terrorizzava quanto probabilmente avrebbe dovuto.
Poi la folgore nella sua mano sfavillò e scomparve. Zeus fissò la propria mano assolutamente sconvolto. Ade spostò lo sguardo e vide Persefone vicino all’entrata della prigione, ora chiusa.
«Cosa…» disse Zeus cercando di richiamare la propria folgore. Ade sorrise, poi gli diede le spalle e tornò a sedersi sulla coperta, stavolta a gambe aperte leggermente piegate e le braccia appoggiate sulle ginocchia. Il suo potere ora non lo sentiva più.
«Persefone!» esclamò la voce di Demetra.
«Oh, scusami madre. Vorrei evitare qualunque tipo di problema. Se papà desse di matto distruggerebbe tutto, e mi darebbe un gran fastidio se incenerisse i miei fiori o il mio ospite.» disse Persefone superando la madre e poi il padre. Guardò entrambi con un sorriso, poi si sedette tra le gambe di Ade, il quale non batté ciglio.
Demetra pareva sul punto di avere un infarto. «Ade, ma che cavolo?! Lei è la mia bambina, come osi?!»
«Sono stata io a rapirlo e portarlo qui, madre. Temo proprio che nessuno di voi possa accusare Ade di quanto è successo.» disse Persefone con un sorriso, appoggiando la testa contro il suo petto e piegando un braccio fino a riuscire a far passare le dita tra i suoi capelli neri.
«Allora è il momento che finisci questa pazzia e lo fai tornare agli inferi.» intervenne Zeus, guardando con aria disgustata Ade.
«Non può.»
Persefone sorrise, poi tolse la mano dai capelli di Ade e la aprì. Ade alzò la mano destra e aprì il pugno, riempiendo quella della dea di semi di girasole.
STAI LEGGENDO
Girasoli || Ade e Persefone
FantasyAU DEL MITO DI ADE E PERSEFONE A seguito di una guerra, agli inferi arrivano un gran numero di umani da smistare. Ade esegue il suo dovere, ma due cose non tornano: sono morti di guerra, ma per aver attraversato l'Acheronte qualcuno deve averli sepo...